è ancora in essere del contenzioso sul vecchio accertamento sintetico: ricordiamo che per tale tipo di accertamento il contraddittorio non era obbligatorio – parola di Cassazione
Con l’ordinanza n. 18903 del 26 settembre 2016 la Corte di Cassazione ha confermato che l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38 c. 4 D.P.R. n. 600/73, nella formulazione applicabile ratione temporis, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 78/2010, non postula la previa contestazione degli elementi e delle circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene ricostruito sinteticamente. Infatti, solo a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 22, D.L. n. 78/2010, in vigore dal 31 maggio 2010 e che non ha efficacia retroattiva, è configurabile l’obbligo di instaurazione preventiva del contraddittorio.
Brevi note
La sentenza che si annota ricalca sostanzialmente quanto già affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17427 del 30 agosto 2016: il vecchio sintetico “non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’Ufficio siano, in qualsiasi modo, preventivamente contestati al contribuente (Cass. 7485/2010; Cass. 27076/2009)”. Infatti, “solo a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 22 DI 78/2010, in vigore dal 31 maggio 2010 e che non ha efficacia retroattiva (Cass. 21041/2014), è configurabile l’obbligo di instaurazione preventiva del contradditorio, mediante invito del contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218”.
Nella vecchia formulazione, l’art. 38, c. 4, del D. P. R. n. 600/1973, consentiva all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, del citato D. P. R. n. 600/1973, di determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, quando il reddito accertabile si discostava per almeno un quarto da quello dichiarato; il successivo comma 5 disponeva che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.
Il contribuente ha facoltà di dimostrare, attraverso idonea e probante documentazione, sia prima che dopo la notificazione dell’avviso di accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
La regola del contraddittorio (pur inserita nel quadro del principio costituzionale del diritto alla difesa) mira a garantire la possibilità di far valere le proprie ragioni e di conoscere le ragioni dell’altra parte.
Tuttavia, in assenza di una norma generale che sancisca il diritto del soggetto passivo a partecipare al procedimento di accertamento, il contraddittorio (con il vecchio rito) è solo una facoltà dell’Amministrazione e non un obbligo.
Né è sostenibile utilizzare la nuova normativa (D.L. n. 78/2010) per imporre obbligatoriamente e retroattivamente il contraddittorio (oggi si obbligatorio), atteso che per espressa previsione normativa le modifiche apportate giocano solo “ ìper gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, cioè per i periodi d’imposta dal 2009 in poi.
Il sintetico nuovo non si applica, quindi, retroattivamente. In questo senso si è espressa la Cassazione nell’ordinanza n.22744 del 6 novembre 2015 (ud. 22 settembre 2015, con cui i supremi giudici hanno cassato la decisione del giudice di appello che aveva ritenuto applicabile al vecchio art.38, del D.P.R.n.600/73, il D.M. del 24 dicembre 2012, valevole, invece per le annualità dal 2009 in poi, in forza delle modifiche apportate dall’art. 22 del D.L.n.78/2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010. Né, osserva la Corte, può ritenersi applicabile il principio del favor rei, invocabile solo in presenza di norme sanzionatorie, e non nell’ambito di poteri di accertamento).
Né è possibile il confronto fra i due strumenti, se più vantaggioso per il contribuente, come per gli studi di settore. Già nel corso di Telefisco 2013, l’Amministrazione Finanziaria, rispondendo ad un apposito quesito con il quale si chiedeva se per effetto dell’applicazione del nuovo redditometro il reddito complessivo risulta inferiore a quello calcolato con i vecchi coefficienti, poteva valere la regola, come per gli studi di settore, che il metodo più recente ( evoluto e/o integrato) venga applicato se favorevole al contribuente, ha fornito una risposta negativa. Posizione, di fatto, successivamente confermata nella circolare n. 1/E del 15 febbraio 2013 (punto 1.3).
Il richiamo agli studi di settore non appare pertinente, atteso che in quel caso trattasi di evoluzione degli studi, tant’è che la circolare n. 30/E del 28 giugno 2011 ha evidenziato che gli studi di settore evoluti possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento, ove più favorevoli al contribuente ed a richiesta del medesimo, anche con riguardo a periodi d’imposta precedenti quello della loro entrata in vigore (cfr paragrafo 2.1 della circolare n. 23/E del 2006, richiamato anche dal paragrafo 5 della circolare n.34/E del 2010). Sul punto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22599 dell’11 dicembre 2012 (ud. 8 novembre 2012) ha ritenuto, viceversa, obbligatorio per l’Amministrazione procedere all’applicazione dello strumento presuntivo più evoluto, richiamando e facendo proprio il pronunciamento a SS.UU. (sentenza n. 26635/09).
Nel sistema delineato dal decreto, non è presente, infatti, come rilevato dalla circolare n. 24/2013, una disposizione analoga a quella prevista dall’art. 5, c. 3, u.p., del D.M. 10 settembre 1992, il quale (nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983) aveva previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l’accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del presente decreto”1).
Ciò determinato anche dalla portata innovativa del decreto2 che va, più in generale, considerata nella più complessiva rivisitazione dell’accertamento sintetico (diversa metodologia e fonti), laddove, invece, in materia di studi di settore, le procedure adottate sono tuttora comparabili. Il decreto, infatti, come rilevato dalla circolare n. 24/2013 “ha realizzato un effettivo intervento di sistema e non rappresenta la semplice ‘evoluzione’ di una metodologia statistica di ricostruzione del reddito”, che tende a misurare la spesa complessiva ed effettiva del contribuente, in relazione al dichiarato, non guardando più al solo possesso/disponibilità di beni o investimenti in quanto tali.
4 febbraio 2017
Gianfranco Antico
1 Al contrario, il nuovo decreto ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009”.
2 Anche nel Preambolo del D.M. 24 dicembre 2012 viene giustificata la riforma del metodo di accertamento con “la finalità di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente”.