Valutazione fiscale delle commesse pluriennali

sta per iniziare il periodo in cui si lavora per la definizione dei bilanci in chiusura al 31 dicembre: uno degli aspetti più complessi è quello della corretta gestione delle commesse pluriennali, sia dal punto di vista civilistico che dell’impatto sul reddito d’impresa; in questo articolo puntiamo il mouse sui fattori critici: i criteri fiscali di valutazione, il problema dei lavori svolti in subappalto, la gestione delle maggiorazioni di prezzo…

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Come noto, la disciplina fiscale per la determinazione del valore di fine esercizio delle opere, dei lavori e dei servizi in corso di esecuzione di durata ultrannuale ammette il solo criterio fondato sullo stato di avanzamento dei lavori alla data di chiusura del periodo d’imposta, di cui all’articolo 93 del TUIR.

Come stabilito, infatti, dal primo comma dell’articolo 93 del TUIR “le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, salvo il disposto del comma 4”. A norma del comma 4 “i corrispettivi liquidati a titolo definitivo dal committente si comprendono tra i ricavi e la valutazione tra le rimanenze, in caso di liquidazione parziale, è limitata alla parte non ancora liquidata. Ogni successiva variazione dei corrispettivi è imputata al reddito dell’esercizio in cui e stata definitivamente stabilita”.

Fiscalmente e differentemente da quanto avviene per la determinazione del valore da attribuire alle commesse con periodo d’imposta inferiore ai 12 mesi non ha alcuna rilevanza, quindi, la valutazione effettuata dall’impresa sulla base dei costi sostenuti.

Di seguito ci occuperemo di delineare gli ambiti applicativi della normativa tributaria e di analizzare le diverse problematiche connesse all’applicazione dell’articolo 93 del TUIR alle commesse pluriennali.

Il contratto di commessa

La valutazione delle rimanenze finali delle commesse pluriennali sulla base di quanto stabilito dall’articolo 93 del TUIR è applicabile solo se:

  • l’esecuzione delle opere, delle forniture e dei servizi pluriennali deriva da un contratto;

  • le obbligazioni contrattuali, sebbene distinte e individuabili singolarmente, sono oggettivamente collegate tra loro in modo da perdere autonoma rilevanza, costituendo un’unica complessa prestazione volta al conseguimento di un risultato diverso e ulteriore rispetto alle singole prestazioni rese1.

Durata ultrannuale

Oltre che dall’esistenza di un contratto di commessa, l’applicazione dell’articolo 93 del TUIR alle commesse pluriennali è vincolata all’esistenza di un termine di durata dei lavori superiore ai 12 mesi. Conseguentemente, si richiede il coinvolgimento di almeno due periodi d’imposta.

Sulla questione della durata superiore ai 12 mesi sono emerse però due posizioni dottrinali contrapposte.

Parte della dottrina propende, infatti, per l’irrilevanza della durata effettiva della commessa. Ciò che rileva per questi autori è il tempo intercorrente tra la data di inizio di esecuzione e quella di consegna dei lavori, ovvero di ultimazione dei servizi e delle forniture, così come stabilito contrattualmente. Unica eccezione ammessa è l’ipotesi di una proroga del termine oltre i 12 mesi, pur essendo stabilito contrattualmente una durata infrannuale.

Sul punto si deve osservare però che in linea di principio le sospensioni e le proroghe contrattuali non comportano una modifica del termine di durata inizialmente concordato a meno che non intervengano variazioni sostanziali, come ad esempio l’aggiunta di opere ulteriori. Pertanto il superamento del termine di 12 mesi imputabile a cause di forza maggiore, quali scioperi del personale, scoperta di reperti archeologici, ecc., non comporta l’obbligo di valutare le commesse infrannuali con i criteri stabiliti dall’articolo 93 del TUIR.

Secondo altri autori è necessario, invece, adottare il criterio della prevalenza della sostanza sulla forma. In linea di principio, quindi, ci si deve basare sul criterio della durata effettiva e solo quando non è possibile prevedere l’ultimazione dei lavori entro la fine del primo esercizio si deve fare riferimento esclusivo al contratto.

Conseguentemente, solo se il contratto non prevede un termine e la commessa ha una durata effettiva inferiore ai 12 mesi si dovranno valutare le rimanenze sulla base di quanto stabilito dall’articolo 92, comma 6 del TUIR, secondo il quale “i prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell’articolo 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale”.

L’orientamento dottrinale che privilegia il criterio della sostanza sulla forma, trova una diretta conferma anche nel comma 6 del successivo articolo 93, nella parte in cui si prevede che: “alla dichiarazione dei redditi deve essere allegato, distintamente per ciascuna opera, fornitura o servizio, un prospetto recante l’indicazione degli estremi del contratto, delle generalità e della residenza del committente, della scadenza prevista, degli elementi tenuti a base per la valutazione e della collocazione di tali elementi nei conti dell’impresa”.

Da ultimo si fa presente che dalla valutazione in base alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio restano escluse quelle commesse infrannuali in cui le parti, durante il primo anno di esecuzione dei lavori, hanno stipulato un successivo contratto modificativo della durata originaria e sostitutivo del termine inizialmente pattuito.

Criterio di valutazione fiscale

A seguito dell’abrogazione del comma 5 dell’articolo 93 del TUIR non è più possibile valutare le commesse pluriennali con la metodologia del costo. Come precisato dalla Risoluzione Ministeriale n. 129/E/2008 l’Agenzia delle Entrate ha però concesso la facoltà di utilizzare il criterio del costo per tutte quelle commesse pluriennali che al 31.12.2006 erano state iniziate, ma non erano ancora state ultimate. Per le commesse pluriennali che rientravano in questa ipotesi, l’utilizzo del criterio del costo richiedeva, comunque, di rispettare sempre le condizioni stabilite dall’abrogato comma 5, ovvero:

  • l’obbligo di contabilizzazione in bilancio delle opere, delle forniture e dei servizi ultrannuali con il metodo del costo;

  • l’autorizzazione, rilasciata dall’Agenzia delle Entrate a seguito dell’istanza del contribuente, per l’applicazione del medesimo metodo del costo anche ai fini della determinazione del reddito imponibile;

  • l’adozione del metodo contabile del costo per tutte le opere, le forniture ed i servizi ultrannuali.

Ad eccezione di queste particolari fattispecie, l’unico criterio fiscalmente riconosciuto dal 01.01.2007 è quello dei “corrispettivi pattuiti”, che, richiedendo l’imputazione a Conto Economico della parte dell’utile di commessa maturata al termine di ogni periodo d’imposta, consente di rispettare il principio di competenza, di cui all’articolo 109, comma 1 del TUIR.

Da un punto di vista prettamente operativo, quindi, le rimanenze finali delle opere, delle forniture e dei servizi pluriennali, sono valutate sulla base della percentuale di completamento, ovvero in misura pari al valore complessivo della parte realizzata dall’inizio dell’esecuzione del contratto, in relazione ai corrispettivi pattuiti e limitatamente alla quota non ancora liquidata in via definitiva e non coperta da stati di avanzamento lavori.

L’utilizzo della percentuale di completamento evita di concentrare nell’ultimo periodo d’imposta tutti i ricavi, riducendo il carico fiscale del periodo di ultimazione dell’opera, della fornitura o del servizio. Operando in tal senso, infatti, le rimanenze:

  • sono valutate imputando proporzionalmente ai corrispettivi pattuiti la parte di lavori già eseguita;

  • incorporano la quota di risultato economico relativo alla parte realizzata di pertinenza dell’esercizio.

Percentuale di completamento

In mancanza di specifiche indicazioni da parte del legislatore fiscale, per la determinazione dello stato avanzamento lavori (SAL) è necessario ricorrere ai metodi più diffusi nella prassi professionale, che devono, comunque, sempre rispettare il principio di competenza.

Operativamente per il calcolo della percentuale di completamento è necessario attribuire alla parte di lavori o servizi già realizzati il valore ottenuto moltiplicando il corrispettivo pattuito per la percentuale di avanzamento dei lavori.

Al termine di ogni periodo d’imposta si renderà poi necessario:

  • quantificare la parte di commessa realizzata rispetto al totale dell’opera, della fornitura e dei servizi;

  • moltiplicare la percentuale realizzata per il ricavo contrattuale;

  • attribuire il valore così ottenuto alla commessa in corso di esecuzione.

L’utilizzo della metodologia in questione richiede all’impresa di essere in grado di stimare in maniera attendibile i ricavi totali, i costi totali e i costi non preventivati inizialmente, che possono sorgere durante l’esecuzione dell’opera a causa di imprevisti. La stessa impresa nelle sue valutazioni dovrà tener conto anche dei ricavi pattuiti, in quanto questi possono variare nel tempo in seguito a diverse clausole contrattuali.

Ricavi definitivi

Come stabilito dal comma 4, dell’articolo 93 del TUIR “i corrispettivi liquidati a titolo definitivo dal committente si comprendono tra i ricavi e la valutazione tra le rimanenze, in caso di liquidazione parziale, è limitata alla parte non ancora liquidata. Ogni successiva variazione dei corrispettivi è imputata al reddito dell’esercizio in cui è stata definitivamente stabilita”.

Secondo la norma tributaria, quindi, sono considerati ricavi e per tale ragione esclusi dalla valutazione delle rimanenze i soli corrispettivi liquidati a titolo definitivo. La normativa fiscale, infatti, considera caratterizzate dal requisito della certezza solo le somme liquidate in via definitiva.

Diversamente, invece, integrano il valore delle rimanenze finali i corrispettivi liquidati a titolo provvisorio anche se fatturati dall’impresa esecutrice. In questi casi i corrispettivi non sono considerati ricavi, ma bensì acconti da clienti.

In altri termini, in presenza di una liquidazione parziale in corso d’anno sarà necessario distinguere tra importi definitivi e importi provvisori, in quanto gli importi definitivi dovranno essere contabilizzati tra i ricavi, mentre gli importi provvisori dovranno essere contabilizzati come acconti e andranno ad integrare il valore delle rimanenze finali delle commesse pluriennali.

In passato alcuni dubbi erano sorti in merito all’individuazione della data di liquidazione a titolo definitivo del corrispettivo.

Sulla questione, ma con riferimento ad una fornitura di macchinari “chiavi in mano” si è espressa in un primo momento l’Amministrazione Finanziaria con il documento di prassi n. 98/E/2000 dove è stato precisato che “l’appalto deve considerarsi ultimato solo quando il committente accetta l’opera e l’appaltatore matura il diritto al pagamento”.

La stessa Amministrazione in un secondo momento e in risposta ad un interpello formulato da una ditta esecutrice di lavori edili e stradali aveva ulteriormente precisato, con la Risoluzione Ministeriale n. 133/E/2005, che i ricavi derivanti da appalti pluriennali dovevano essere contabilizzati solo a seguito dell’emissione del certificato di collaudo provvisorio, rinviando a quanto stabilito dal D.P.R. n. 554/1999. Come noto, però, il provvedimento in questione si limita a disciplinare le modalità di collaudo e maturazione del diritto al corrispettivo negli appalti statali.

Come si può facilmente intuire, quindi, né la Circolare Ministeriale n. 98/E/2000 e né la Risoluzione Ministeriale n. 133/E/2005 sono state di particolare aiuto per risolvere i dubbi interpretativi, perché di fatto non trattano specificatamente la fattispecie dei pagamenti effettuati a titolo definitivo nelle commesse pluriennali private.

Di maggior aiuto alla risoluzione dei problemi collegati con l’individuazione della data di liquidazione a titolo definitivo del corrispettivo è, invece, l’orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 12885 del 01.06.2007, dove i giudici di legittimità hanno precisato che “l’omessa iscrizione, nel bilancio d’esercizio, del valore delle rimanenze finali della commessa pluriennale, dimostrando l’avvenuta ultimazione dei lavori, determina il momento nel quale i ricavi si considerano giuridicamente conseguiti a titolo definitivo, con conseguente annullamento delle rimanenze anteriormente esposte”.

Subappalto dei lavori

Talvolta la realizzazione di una commessa pluriennale necessita di affidare parte dei lavori a terze parti. L’affidamento di una parte dei lavori a soggetti terzi viene realizzato attraverso la stipulazione di un apposito contratto di appalto e configura sempre una prestazione di servizi, anche quando i materiali sono forniti dall’appaltatore. In principio, la particolarità dell’operazione di appalto nell’ambito di una commessa pluriennale aveva indotto l’Amministrazione Finanziaria ad escludere la fattispecie dal campo di applicazione dell’articolo 93 del TUIR. Con la Risoluzione Ministeriale n. 260/E/2009 l’Agenzia delle Entrate aveva affermato, infatti, che “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate”.

Secondo l’opinione dell’Agenzia, per l’appaltatore ciò che doveva rilevare ai fini della imputazione a Conto Economico dei ricavi e dei costi di appalto, era la data di accettazione, senza riserve, da parte del committente dell’opera eseguita o degli stati avanzamento lavori definitivi. Operando in tal senso, per il committente:

  • diventavano fiscalmente rilevanti solo i corrispettivi liquidati in via definitiva;

  • l’esborso provvisorio veniva considerato come un credito nei confronti dell’appaltatore e non come un costo. Di conseguenza il corrispondente onere rilevava fiscalmente in contropartita del credito iscritto in Stato Patrimoniale solo nel momento in cui si aveva l’effettiva accettazione.

L’orientamento in parola è stato in seguito meglio chiarito dalla stessa Agenzia con la Risoluzione Ministeriale n. 117/E/2010 dove è stata sottolineata l’opportunità di assoggettare ad imposizione fiscale la quota di utile di commessa riferita ad ogni periodo d’imposta interessato dalla realizzazione dell’opera. Nella stessa risoluzione è stato poi precisato che, in mancanza di uno specifico criterio fiscale per la determinazione dello stato avanzamento dei lavori e vista la necessità di osservare il principio della competenza economica, si ritiene accettabile l’utilizzo della metodologia del costo sostenuto, così come previsto dal principio contabile nazionale OIC n. 23, che include tra le varie tipologie di costo anche le spese relative ai lavori svolti dagli appaltatori.

In definitiva, quindi, sono considerati fiscalmente deducibili dall’appaltatore i costi sostenuti nel periodo, relativi agli stati di avanzamento liquidati in via provvisoria se inclusi tre le rimanenze finali delle opere ultrannuali nel bilancio dell’appaltante.

Maggiorazioni di prezzo

Come stabilito dall’articolo 93, comma 2 del TUIR “la valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati”.

La norma fiscale consente di integrare il corrispettivo inizialmente pattuito ma solo in due specifiche ipotesi:

  • quando è la legge a disporlo;

  • quando si è in presenza di precise clausole contrattuali, delle quali però se ne deve tener conto in misura non inferiore al 50% e fino a che non sono state approvate in via definitiva.

Conseguentemente, le maggiorazioni di prezzo accettate incondizionatamente dal committente devono essere incluse per l’intero ammontare tra i ricavi, così come devono essere incluse anche le liquidazioni parziali delle maggiorazioni di prezzo superiori al 50% del loro importo, accettate senza riserva o non sottoposte a verifica dallo stesso committente, perché costituiscono un implicito assenso alla richiesta2.

Per quanto attiene alla misura del 50% si deve osservare che detta percentuale deve essere riferita esclusivamente alla singola maggiorazione di prezzo, non essendo possibile:

  • commisurarla al totale delle richieste non ancora definite;

  • effettuare compensazioni con eventuali valutazioni maggiori effettuate in precedenza.

In caso di imputazione a bilancio di una maggiorazione di prezzo non definitiva superiore al 50% è consentito in sede di dichiarazione dei redditi apportare una variazione in diminuzione al reddito, pari alla differenza tra il 50% dell’ammontare consentito e il maggior importo imputato a bilancio. Nel recente passato, le maggiorazioni di prezzo sono state oggetto di approfondimento da parte dell’Associazione Nazionale dei Dottori Commercialisti di Milano. Con l’emanazione della norma di comportamento n. 157/2004, in risposta alle difficoltà riscontrate dalle imprese, l’Associazione in questione ha, infatti, escluso la rilevanza fiscale di ogni ulteriore maggiorazione connessa con le attività eseguite oltre le previsioni contrattuali non richieste specificatamente dal committente, ma comunque rese dall’appaltatore a titolo di risarcimento danno, ovvero per prolungamento di permanenza nel cantiere oltre i termini stabiliti.

Nella specie la norma di comportamento, richiamando il principio contabile nazionale OIC n. 23 ha evidenziato come le maggiorazioni di prezzo possono coinvolgere più anni e come spesso subiscano anche delle notevoli riduzioni delle pretese per l’oggettiva difficoltà di incassarle, dato l’elevato grado di incertezza sui tempi di recupero delle somme. Nel rispetto del principio di prudenza, quindi, l’Associazione Dottori Commercialisti di Milano sottolinea l’esigenza di contabilizzare solo le somme la cui liquidazione sia ragionevolmente certa. Così operando:

  • il committente considererà fiscalmente rilevanti solo le richieste avanzate dal prestatore d’opera caratterizzate dai requisiti di certezza e di obiettiva determinabilità;

  • l’appaltatore includerà tra i componenti positivi di reddito imputabili a Conto Economico solo le maggiorazioni pattuite in via definitiva.

Seguendo le raccomandazioni fornite dall’Associazione Dottori Commercialisti di Milano il comma 2 dell’articolo 93 del TUIR deve essere interpretato nel senso di considerare fiscalmente rilevanti le maggiorazioni di prezzo non imputabili a clausole contrattuali solo quando e se sono accettate dal committente. L’orientamento riportato trova conferma anche nella giurisprudenza di legittimità. Di seguito riportiamo alcune pronunce della Suprema Corte:

  • sentenza n. 13582/2002, con riferimento alle istanze dell’appaltatore, incluse le richieste di carattere risarcitorio, si precisa che “possono essere prese in considerazione soltanto qualora siano certe nell’esistenza e determinabili in modo obiettivo nell’ammontare, tali da non rappresentare mere attese unilaterali di ricavo, in ossequio al generale principio di competenza (articolo 109, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986)”;

  • sentenza n. 8628/2007, si afferma che “sino a quando non è intervenuta l’accettazione da parte del committente, le richieste dell’appaltatore – relative a varianti in corso di esecuzione di una commessa pluriennale – non rientrano nel campo di applicazione della predetta norma del TUIR”.

Prospetto delle commesse

Il comma 6 dell’articolo 93 del TUIR stabilisce che “alla dichiarazione dei redditi deve essere allegato, distintamente per ciascuna opera, fornitura o servizio, un prospetto recante l’indicazione degli estremi del contratto, delle generalità e della residenza del committente, della scadenza prevista, degli elementi tenuti a base per la valutazione e della collocazione di tali elementi nei conti dell’impresa”.

Sulla base di quanto stabilito dalla citata norma è necessario allegare alla dichiarazione dei redditi, distintamene per ciascuna opera, fornitura o servizio un prospetto contenente:

  • gli estremi del contratto;

  • le generalità e la residenza del committente;

  • la scadenza prevista;

  • gli elementi presi a riferimento per la valutazione e la corrispondente collocazione nei conti dell’impresa.

Contrariamente a quanto prescritto dalla normativa tributaria, nella pratica il prospetto non deve essere allegato, ma deve essere obbligatoriamente conservato come precisato nelle istruzioni al modello UNICO.

In qualsiasi momento ma, comunque, entro i termini di prescrizione dell’attività di accertamento l’Amministrazione Finanziaria può, infatti, richiederne l’esibizione. La mancata esibizione o l’incompletezza del prospetto costituiscono violazioni di legge e sono sanzionabili ai sensi dell’articolo 53, comma 1, n. 4 del D.P.R. n. 600/1973.

Si ricorda, inoltre, che in caso di mancata acquisizione dei dati, l’Ufficio può procedere alla rettifica delle valutazioni fatte dall’impresa anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Commesse pluriennali in valuta

A seguito dell’abrogazione del comma 7 dell’articolo 93 del TUIR, per opera dell’articolo 6, comma 5, lettera b, del D.lgs. n. 247/2005, a decorrere dal 01.01.2005 le commesse pluriennali in valuta estera sono assoggettate alla norma di carattere generale contenuta nell’articolo 110, comma 2 del TUIR, che stabilisce che: “con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’articolo 9”.

A tal riguardo si ricorda che ai sensi dell’articolo 9, comma 2 del TUIR assume rilevanza il tasso di cambio del giorno in cui i corrispettivi sono stati percepiti o maturati, ovvero il cambio del giorno antecedente più prossimo o in mancanza il cambio del mese. Come chiarito, inoltre, dall’Amministrazione Finanziaria con la Risoluzione Ministeriale n. 249/E/2009 si deve prendere a riferimento solo il tasso di cambio del giorno in cui l’operazione è stata effettuata.

Coerentemente con la disciplina civilistica, di cui all’articolo 2426, n. 8-bis) del Codice Civile, per la valutazione delle commesse pluriennali si deve fare riferimento, quindi, al tasso di cambio alla data di chiusura dell’esercizio. Sul punto l’Agenzia delle Entrate ha anche escluso che possano formarsi più valori stratificati delle rimanenze, per effetto della valutazione della commessa in ogni periodo di esecuzione, perché a differenza dei beni fungibili, le commesse pluriennali richiedono una valutazione globale dell’intera opera riferita:

  • all’inizio dell’esecuzione del contratto;

  • al netto dei corrispettivi liquidati a titolo definitivo;

  • già comprensiva dell’eventuale oscillazione dei tassi di cambio.

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27 dicembre 2016

Alessandro Marcolla e Gianfranco Costa

1 Come precisato dalla Risoluzione Ministeriale n. 342/E/2002 si ricorda, inoltre, che la pattuizione di un corrispettivo unitario non rappresenta una condizione sufficiente per inquadrare l’esecuzione delle opere, delle forniture e dei servizi tra le commesse pluriennali

2 Si veda la Circolare Ministeriale n. 36/9/1918 del 22.09.1982