Rottamazione cartelle: la definizione delle sanzioni da delitti non colposi fiscalmente rilevanti

la sanzione collegata alla produzione di ricchezza derivante da atti o fatti aventi rilevanza di illecito penale e qualificabili come delitto non colposo, per come oggi ancora normati dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012, è ammessa di diritto tra le masse definibili ai sensi dell’art. 6 dell’ex D.L. n. 193/2016, vediamo perchè…

CTvertiLa definizione agevolata dei carichi pendenti al 31 dicembre 2016, in attesa di maggiori chiarimenti Ufficiali dagli enti preposti,  lascia molteplici dubbi irrisolti (Cfr. art. 6 del D.L. 193/2016 convertito con modificazioni in legge n. 225/2016).

L’unica certezza che oggi sembra profilarsi è la necessaria disponibilità finanziaria in capo al debitore per poter adempiere al debito residuo in un massimo di quindici mesi (07/17 – 09/18) e con un massimo di cinque rate, di cui quattro coincidenti con il periodo di pagamento delle ordinarie imposte annuali. Di tale disponibilità finanziaria nulla osta che l’amministrazione finanziaria ne possa tenere conto per altri fini per esempio, una eventuale maggiore quantificazione della capacità contributiva (cfr. art. 38 DPR n. 600/1973). Non è da trascurare infatti che a partire dall’1 luglio 2017, come ricorda il D.L. 193/2016, il core business della riscossione ritorna all’Agenzia delle Entrate, con una apposita società di riscossione, e la possibilità di interscambio più agevole dei dati in possesso (cfr. Artt. 1 e 3 D.L. n. 193/2016 convertito con modificazioni in legge n. 225/2016).

Per quanto attiene alla presente trattazione, merita attenzione quanto escluso dalla definizione ai sensi dell’art. 6 comma 10 ed in particolare:

a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione;

b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015;

c) i crediti derivanti da pronunce di condanna della Corte dei conti;

d) le multe, le ammende e le sanzioni pecuniarie dovute a seguito di provvedimenti e sentenze penali di condanna;

e) (lettera abrogata, a decorrere dal 3 dicembre 2016, dalla legge di conversione 1° dicembre 2016 n. 225);

e-bis) le altre sanzioni diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi relativi ai contributi e ai premi dovuti dagli enti previdenziali.

La lettera e bis) citato articolo 6 comma 10, introdotta in sede di conversione del decreto in legge, da un lato prevede la facoltà di definire le sanzioni collegate ad una violazione tributaria (i.e. sanzione per scontrini) dall’altro lato, per effetto della previsione esplicita, la esclude per le sanzioni la cui determinazione non proviene dalla violazione di norme tributarie. Tale statuizione pone qualche dubbio di applicabilità se letta in combinazione con la lettera d dello stesso comma (divieto di definizione delle sanzioni pecuniarie a seguito di sentenze penali di condanna); infatti, tra le norme sanzionatorie comminabili ai contribuenti da parte dell’amministrazione finanziaria ve ne sono anche alcune che solo apparentemente originano da una disposizione fiscale ma che di fatto sono commisurate e definitivamente irrogate solo a seguito di condanna penale. Trattasi, in questa sede commentate, della sanzione azionabile quando collegate alla produzione di ricchezza derivante da atti o fatti aventi rilevanza di illecito penale e qualificabili come delitto non colposo per come oggi ancora normati dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012, convertito con modificazioni dalla legge 44/2012, attraverso il quale provvedimento si è ridisegnato l’art. 14, c. 4-bis della legge 537/1993 (vedi anche la circolare 42/E del 2005 che caratterizza la materia come “indirettamente sanzionatoria”).

Come noto, in sintesi, in presenza di costi sostenuti per attività delittuose non colpose i medesimi non sono deducibili prevedendosi, in luogo della tassazione dei correlati ricavi conseguiti, al fine di salvaguardare il principio della capacità contributiva, una sanzione speciale pari ad un minimo del 25% ad un massimo del 50% di quest’ultimi (Circolare 32/E del 2012).

La specialità della sanzione qui in commento che trova luogo in presenza di operazioni inesistenti è data dalla sua asistematicità (non si applicano gli istituti del concorso e della continuazione di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 472/1997), dalla sua non specialità e dalla sua definitività collegandola non ad un precetto fiscale (i.e. violazione delle disposizioni concernenti la determinazione della base imponibile D.p.r. n. 917/1986) quanto unicamente all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero o qualora comunque il giudice abbia emesso il decreto che ne dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 del c.p.p., o la richiesta di giudizio immediato art. 453 c.p.p., o un decreto di condanna art. 459 c.p.p., l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 447 c.p.p., un giudizio direttissimo art. 449 c.p.p., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione per prescrizione prevista dall’art. 157 c.p.p..

La disposizione sui costi da reato prevede, tuttavia, che da un lato l’amministrazione finanziaria non può comminare nessuna sanzione se non dopo l’attivazione dell’autorità giudiziaria che ne qualifichi, anche in via provvisoria, la configurabilità di reato perseguibile mentre dall’altro lato, nell’ipotesi in cui l’imputato dovesse essere scagionato con qualsiasi formulazione, allo stesso andranno restituite le maggiori somme anticipate non potendosi applicare l’impianto di cui all’art. 8 del D.L. n. 16/2012, con impossibilità derivata di comminare la sanzione sin dall’origine.

Tutto ciò premesso, a parer di chi scrive, pur permanendo dubbi sulla corretta qualificazione della sanzione del predetto art. 8, la stessa è annoverata tra quelle di chiaro stampo tributario1, ancorché la sua parametrazione non è preordinata alla violazione di una norma chiaramente tributaria o ad una imposta evasa ma quanto ad un elemento esso stesso corpo del reato ovvero elemento collegato al reato comunque sia qualificato tale in funzione di un precetto di natura penale.

La qualificazione della detta sanzione quale tributaria la ammette di diritto tra le masse definibili ai sensi dell’art. 6 dell’ex D.L. n. 193/2016 sortendo effetti (magari voluti solo celatamente) premiali di cui all’art. 13bis del D.Lgs. 74/2000 che disciplina le attenuazioni delle pene, le stesse per le quali, come visto, torna applicabile la sanzione dell’art. 8 del D.L. 16/2012.

Fermo restando che l’effetto premiale di non incriminazione e della dilazioni di pagamento secondo le disposizioni del nuovo art. 13 del D.lgs. 74/2000, D.lgs. n. 158/2015) non può applicarsi alle operazioni fraudolente previste dagli artt. 2, 3, 8 e 10-quater, c. 2, del medesimo decreto, l’effetto premiale di cui all’art. 13-bis c. 1 (circostanze del reato) verrebbe conseguito ugualmente per effetto della definizione agevolata prevista dal D.L. 193/2016, con la possibilità di ridurre fino alla metà le pene attualmente previste (fino ad anni 6 di carcere) e beneficiare inoltre, dell’inapplicabilità delle pene accessorie di tipo contrattuale o quelle di interdizione dai pubblici uffici (art. 12) e non incorrere nella confisca del bene o dell’equivalente ricchezza, procedure azionabili per effetto degli artt. 12-bis e 18-bis del D.Lgs. n. 74/2000.

19 dicembre 2016

Giuseppe Bennici

Articolo redatto a titolo personale

1 In sede dei lavori parlamentari ed in particolare la relazione illustrativa (A.S. 3184) ha precisato che la sanzione è una sanzione pecuniaria amministrativa specifica e volta a colpire l’antigiuridicità dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.