in quali casi il Fisco può sospendere i rimborsi IVA richiesti dai contribuenti
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Premessa.
Con la Circolare del 22 luglio 2016, n. 33/E, l’Agenzia delle Entrate ha commentato la nuova normativa sull’esecuzione dei rimborsi IVA, di cui all’art. 38-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, alla luce delle novità introdotte dai decreti legislativi n. 156 e 158 del 24 settembre 2015.
Tra i chiarimenti che sono stati forniti, molto interessanti sono quelli relativi alla possibilità concessa dagli Uffici di sospendere il rimborso IVA richiesto dai contribuenti.
In particolare, al paragrafo 2, viene ricordato che l’art. 16, comma 1, lett. h) del Decreto legislativo n. 158 del 2015, recante la riforma del sistema sanzionatorio, ha modificato il comma 1 dell’articolo 23 del Decreto legislativo n. 472 del 1997, ampliando il campo di applicabilità della sospensione e della compensazione dei rimborsi.
Nello specifico il nuovo art. 23 prevede, al comma 1, che: “Nei casi in cui l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido, vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi. La sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all’atto o alla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo” e al comma 2, rimasto invariato, che: “In presenza di provvedimento definitivo, l’ufficio competente per il rimborso pronuncia la compensazione del debito”.
Con la modifica apportata dal citato Decreto legislativo n. 158, secondo l’Agenzia delle Entrate viene prevista la possibilità di sospendere e, in caso di provvedimento definitivo, compensare il credito chiesto a rimborso ai fini IVA, non solo con gli importi dovuti a titolo di sanzioni, come disposto dal testo previgente dell’art. 23, ma con tutti gli importi dovuti in base all’atto (imposta e interessi).
Pertanto, nel caso di atti, ancorché non definitivi, relativi a tributi, sanzioni e interessi, il rimborso del credito potrebbe essere temporaneamente sospeso e, una volta che l’atto sia divenuto definitivo, il credito potrebbe essere compensato. In alternativa, potrebbe essere richiesto al contribuente di garantire i carichi pendenti mediante presentazione di una fideiussione a tempo indeterminato.
Inoltre, al paragrafo 3, l’Agenzia si occupa dell’applicabilità ai rimborsi IVA del fermo amministrativo di cui all’articolo 69 del regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440.
In particolare, viene precisato che il fermo amministrativo, quale istituto di carattere generale nell’ambito della contabilità pubblica, può trovare applicazione esclusivamente in via residuale, in tutte quelle ipotesi nelle quali non siano utilizzabili gli specifici strumenti di tutela del credito erariale disciplinati dalla normativa tributaria, quali: la sospensione di cui all’art. 23 del Decreto legislativo n. 472 del 1997 o la sospensione di cui al comma 8 dell’articolo 38-bis nei casi di fattispecie penalmente rilevanti.
Conseguentemente, a seguito di questi chiarimenti, emerge come l’Agenzia delle Entrate ritenga che, per la sospensione dei rimborsi IVA, non siano applicabili esclusivamente le disposizioni specifiche ex art. 38-bis del D.P.R. 633/1972, ma anche le altre normative di carattere generale che si applicano a tutti tributi, confermando del resto il proprio orientamento già espresso in altre occasioni (cfr. ad esempio, Risoluzione n. 86/E del 12 giugno 2001).
A tale interpretazione, però, si potrebbe obiettare che l’estensione di tale facoltà di sospensione non sarebbe giustificata nell’ambito IVA, considerato che tale imposta è un tributo speciale, il cui rimborso, oltre ad essere limitato in caso di contestazione di reati tributari, è subordinato alla presentazione di specifiche garanzie, qualora al contribuente siano stati notificati degli atti impositivi.
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La sospensione dei rimborsi nella normativa IVA
L’art. 38 bis del D.P.R. 633/1972 è stato recentemente modificato dall’art. 38-bis dal D.Lgs. del 21 novembre 2014, n. 175. Infatti, il comma 8 del nuovo artiolo 38-bis prevede che: “Nel caso in cui nel periodo relativo al rimborso sia stato constatato uno dei reati di cui agli articoli 2 e 8 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’esecuzione dei rimborsi di cui al presente art. è sospesa, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta indicata nelle fatture o in altri documenti illecitamente emessi od utilizzati, fino alla definizione del relativo procedimento penale”.
Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 30/E del 30 dicembre 2014, paragrafo 3, l’attuale comma 8 recepisce la disposizione contenuta nel comma 3del previgente art. 38-bis, aggiornando i riferimenti normativi relativi alle fattispecie penali (il vecchio testo richiamava l’art. 4, c. 1, n. 5, del D.L. 10 luglio 1982, n. 429).
Pertanto, anche dopo tali modifiche, non sembrerebbero cambiati i presupposti per procedere alla sospensione del rimborso, rispetto alla precedente versione dell’articolo: infatti, è necessario che siano contestati determinati reati tributari.
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Alcune considerazioni.
Da quanto sopra esposto, è evidente come la normativa IVA prevede una specifica procedura di sospensione dei rimborsi. Ciò potrebbe portare alla conclusione che l’unica normativa da considerare, per la sospensione dei rimborsi di tale imposta, sia quella prevista dall’art. 38-bis in commento, essendo una norma speciale.
A questo punto si deve fare presente come il diritto al rimborso dell’IVA derivi dall’esercizio di una facoltà (ovvero, la detrazione) che ha rilievo fondamentale nel meccanismo applicativo del tributo, perché consente di assicurarne la neutralità e la trasparenza.
E’ noto a tutti che l’Imposta sul valore aggiunto grava in senso economico sui consumi.
Il relativo gettito non viene assicurato dagli imprenditori (e professionisti), ma dai consumatori finali: in particolare, i primi si sottraggono all’onere del tributo, da un lato trasferendolo al cessionario o committente (attraverso la rivalsa), e dall’altro esercitando la detrazione sull’IVA assolta a monte sugli acquisti.
Il rimborso dell’IVA, pertanto, non si origina da un indebito, ma dall’esercizio della detrazione, che rappresenta un meccanismo di funzionamento tipico del tributo.
E’ evidente, dunque, che solo in senso formale si potrà parlare di un debito dello Stato verso il contribuente, in quanto in realtà l’Erario assume solo la veste di soggetto obbligato al pagamento, in virtù del congegno applicativo di tale imposta.
Il rimborso del credito IVA non è collegato, né all’esistenza di un indebito pagamento, né ad alcuna attività dell’Amministrazione Finanziaria: l’eccedenza di detrazione deriva solo dal complesso delle operazioni commerciali poste in essere dal soggetto passivo nel periodo considerato nei confronti di altri soggetti d’imposta, o del consumatore finale.
L’effettuazione del rimborso da parte del Fisco, quindi, non costituisce l’estinzione di un debito dello Stato verso il contribuente, ma rappresenta lo strumento attraverso il quale il legislatore ha inteso tutelare il contribuente che vanti eccedenze di detrazione, garantendo la sussistenza dei mezzi di provvista per l’erogazione della somma costituiti dai versamenti degli altri contribuenti.
Per tale ragione i soggetti che maturano un credito IVA,nell’esercizio della propria attività commerciale, vantano un pieno diritto al rimborso, indipendentemente dalla verifica di ulteriori fattori esterni, non attinenti alla sfera dell’Imposta sul valore aggiunto (come la sussistenza di carichi pendenti, ad esempio).
E tale considerazione è confermata proprio dal disposto dell’art. 38-bis, comma 8, del Decreto IVA, che prevede la sospensione dell’esecuzione dei rimborsi solamente in presenza di uno dei reati penali ivi elencati.
A questo punto, si potrebbe ipotizzare che la sospensione del rimborso del credito IVA possa avvenire utilizzando anche altri strumenti concessi dalla normativa per la sospensione dei tributi in generale, quali quelli indicati nella Circolare in commento.
Tale orientamento, però, si scontrerebbe con il fatto che il sistema dell’IVA prevede una serie di regole specifiche sulle garanzie, che tutelano l’interesse erariale nell’eventuale recupero di quanto dovesse risultare indebitamente percepito dal contribuente.
Infatti, come precisato anche dalla Circolare 33/E del 2016 in commento, il contribuente, a cui sia stato notificato un avviso di accertamento o di rettifica nei due anni precedenti la richiesta del rimborso, è considerato a rischio se non provvede spontaneamente a definire le proprie pendenze.
Qualora il venire meno del debito non si verifichi, il rimborso viene concesso solo se vengono presentate specifiche garanzie.
Pertanto, tutte le altre norme generali che prevedono forme cautelari a beneficio dell’Amministrazione Finanziaria, come ad esempio l’istituto del fermo amministrativo di cui all’art. 69 citato, non dovrebbero trovare applicazione, in quanto si porrebbero in contrasto con una disposizione speciale (l’art. 38-bis, per l’appunto), che già prevede una specifica forma di garanzia.
Parte della giurisprudenza ha dimostrato, ragionevolmente, di condividere tale linea di pensiero.
La Corte di Cassazione, ad esempio, ha sostenuto che: “In merito alla legittimità della sospensione del rimborso, in applicazione della disciplina del fermo amministrativo prevista dall’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, deve rilevarsi come l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 preveda un sistema di prestazioni di garanzie … che non giustifica l’applicazione alla fattispecie dell’istituto del fermo amministrativo” (Corte di Cassazione, sentenza del 25 giugno 2003, n. 10199).
Nella stessa occasione, è stato precisato che: “La stessa norma contempla espressamente un’ipotesi di sospensione dell’esecuzione dei rimborsi, in presenza di contestazioni penali per il reato di cui all’art. 4, comma 1, n. 5), del D.L. 10 luglio 1982, n. 429…”.
La stessa Suprema Corte, poi, ha puntualizzato anche che: “L’esistenza di tale specifica disposizione induce a ritenere che il legislatore, da un lato, abbia implicitamente escluso che la disciplina del fermo amministrativo possa applicarsi all’ipotesi del rimborso di credito Iva, perché altrimenti la citata disposizione sarebbe sostanzialmente priva di utilità, e dall’altro che, anche per la previsione di un sistema di prestazione di garanzie, abbia inteso limitare la sospensione dell’esecuzione del rimborso alla sola ipotesi di contestazione di specifici reati nei confronti del contribuente creditore”.
In caso contrario, sarebbe negato un diritto ad un contribuente in applicazione di una normativa estranea al sistema delle garanzie offerte nell’ambito IVA, che, considerata la natura dell’imposta, sono specifiche.
Recentemente sulla sospensione dei rimborsi IVA e sull’applicazione della norma speciale ex art. 38-bis, si è espressa la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sede di Milano (sentenza n. 3900 del 9 marzo 2016, depositata il 4 luglio 2016), la quale ha accolto le eccezioni di una società, a cui era stato notificato un processo verbale di constatazione al momento della richiesta di rimborso e, per questo motivo, era stata predisposta la sospensiva, malgrado non fossero stati contestati reati tributari.
In tale pronuncia, è stato precisato che l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 è la norma speciale che regola la sospensione dei rimborsi in questione, ma, essendo subordinata la sua efficacia all’ esistenza di reati, nel caso in cui, come in quello in esame, non sussistano tali condizioni, il rimborso non può essere sospeso.
E’ necessario rilevare che, nel caso esaminato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate non aveva proceduto alla sospensione del rimborso IVA ai sensi dell’art. 23 del D.Lgs. 472/1997.
Pertanto, ci si chiede se ai rimborsi IVA si possa applicare tale norma, come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate.
Secondo parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la risposta dovrebbe essere affermativa.
In particolare, in una sentenza è stato precisato che la “sospensione del procedimento di esecuzione del rimborso” del credito d’imposta rimane assoggettata al principio di legalità e trova pertanto fondamento nella norma di legge attributiva del relativo potere; e se originariamente l’applicazione della misura cautelare era circoscritta all’unica ipotesi disciplinata dal D.P.R. n. 633/1972, art. 38-bis, c. 3, attualmente deve intendersi applicabile, non solo in seguito a contestazione di un “reato” ma anche in relazione alla contestazione di una qualsiasi violazione di norma tributaria integrante “illecito amministrativo“, in considerazione della più ampia previsione, concernente anche materie tributarie diverse dall’IVA, contenuta nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, c. 1.
Nella stessa pronuncia è anche stato affermato che tale disciplina normativa deve essere considerata speciale rispetto a quella generale del fermo amministrativo di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 69 (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 25764 del 5 dicembre 2014, ud. 12 maggio 2014).
Pertanto, da quanto emergerebbe da tali principi, ai rimborsi IVA potrebbe essere applicata anche la sospensione ai sensi dell’art. 23 in commento.
A conferma di tale conclusione, vi sarebbe anche il fatto che, quando il legislatore ha voluto non applicare ad una procedura di rimborso la sospensione prevista dall’art. 23, lo ha fatto esplicitamente, come nel caso previsto dall’art. 38-bis del D.P.R. 633/1972, che si occupa dei rimborsi di eccedenze di versamento a soggetti aderenti ai regimi speciali per i servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici.
Al contrario, secondo l’indirizzo giurisprudenziale in esame, non sarebbe applicabile ai rimborsi IVA il fermo ex R.D. 2440/1923, dal momento che l’art. 38-bis e l’art. 23 costituirebbero norme speciali e, come tali, dovrebbero prevalere sulla normativa generale.
Del resto, come sostenuto da altra parte della giurisprudenza, occupandosi di sospensione dei rimborsi, quando il legislatore ha introdotto delle norme specifiche del medesimo rango, quelle precedenti si dovrebbero considerare abrogate implicitamente (cfr. Corte di Cassazione, Ordinanza n. 7630 del 26 marzo 2013, ud. 17 gennaio 2013). Pertanto, l’art. 69 dovrebbe ritenersi superato dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni degli articoli 38-bis e 23 in commento.
In conclusione, pur continuando a ritenere che la procedura di sospensione contenuta nell’art. 38-bis sia comunque speciale rispetto agli altri istituti che concedono tale facoltà all’Amministrazione Finanziaria, sarebbe auspicabile un intervento legislativo che confermasse tale tesi, escludendo specificatamente i rimborsi IVA, già opportunamente tutelati, dalle fattispecie regolamentate dall’art. 23 in esame.
E questo potrebbe essere giustificato, come sancito dalla giurisprudenza(cfr. CTR della Lombardia, sede di Milano, del 24 giugno 2015, n. 2817/45/15), dal fatto che l’imposta sul valore aggiunto costituisce un tributo armonizzato che si fonda su di un principio non derogabile dagli ordinamenti degli stati nazionali, quello della “neutralità“. Il diritto al rimborso dell’IVA deriva dal predetto principio in capo al soggetto passivo di imposta, garantito dalla stessa disciplina, fondato sugli artt. 178 e seguenti della Direttiva 2006/112/CE e sancito dalla stessa Corte di Giustizia UE (cfr. causa C-228/05 del 14.09.2006.).
28 settembre 2016
Fabio Gallio