Le regole sulle deducibilità dei fondi e clausola contrattuale di "rendimento minimo garantito": attenzione al principio di competenza

in caso di accantonamenti, non rientranti tassativamente tra le ipotesi previste dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d’impresa contenute nel TUIR, i corrispondenti oneri sono deducibili esclusivamente se e nella misura in cui siano effettivamente sostenuti dal contribuente

domanda-ctLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6330 del 01.04.2016, ha chiarito una fattispecie contabile/fiscale particolarmente complessa.

Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, nell’ambito di una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso a carico di una srl, controllata da una società di diritto lussemburghese, per effetto della ripresa a tassazione di elementi negativi di reddito, indebitamente dedotti ai fini delle imposte dirette.

Con la sentenza impugnata era stata infatti confermata la decisione di primo grado, che aveva, in parte, accolto il ricorso della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere sia il gravame principale dell’Agenzia, sia quello incidentale della società contribuente, avevano tra le altre sostenuto, quanto all’appello dell’Ufficio, che, in relazione al rilievo concernente gli asseriti costi derivanti dal contratto di compravendita immobiliare sottoposto alla condizione del c.d. “minimo garantito”, trattavasi di contratto del tutto lecito, frequente nella prassi commerciale e rispondente ad un interesse economico di entrambe le parti (anche della venditrice, la quale aveva conseguito “una ingente liquidità, altrimenti non ottenibile“), i costi detratti, ad avviso della CTR, erano peraltro “certi nell’an e nel quantum e correttamente riportati nel bilancio di competenza” e le somme derivanti dalla clausola erano “tassate per IRES ed IRAP, in capo alla società acquirente“.

In relazione, poi, al rilievo concernente il disconoscimento del riporto delle perdite generate da partecipazione in altra società, non ricorreva, secondo la CTR, “la seconda condizione ostativa al riporto ex art. 84 comma 3 del TUIR, avendo la società dimostrato di non avere mal modificato l’attività principale“.

Esaminato, quindi, l’appello incidentale della contribuente, la CTR, nel respingerlo, affermava che il rilievo riguardante i proventi non dichiarati, a seguito di operazioni rientranti, secondo l’Ufficio, nel c.d. transfer pricing, andava confermato, non apparendo “convincente la ricostruzione del contribuente“.

Tanto premesso, in sede di legittimità, l’Agenzia delle Entrate ricorrente lamentava, tra le altre, in relazione al secondo rilievo, riguardante l’operazione di vendita di complesso immobiliare e gli effetti della clausola contrattuale di “rendimento minimo garantito”, la violazione e falsa applicazione degli artt.109 e 107 del TUIR, atteso che, da un lato, perché un elemento reddituale, in particolare un costo, acquisti rilievo ai fini fiscali, occorre la concorrenza di due elementi: la certezza, non soggetta a condizioni, dell’esistenza dell’elemento e l’obiettiva determinabilità riguardo all’ammontare, laddove, nella fattispecie, la certezza e determinabilità del costo poteva raggiungersi soltanto alla fine di ciascun anno, a seguito del raffronto tra quanto effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita dalla società venditrice, e, dall’altro lato, l’accantonamento “per altri rischi“, iscritto in bilancio, dell’intero importo dovuto nell’arco temporale di otto anni non rientrava nelle tassative ipotesi di cui all’art.107 del TUIR e dunque non era legittimo.

Proprio su quest’ultimo aspetto è interessante appuntare l’attenzione.

Tale motivo di censura, secondo la Suprema Corte, era infatti fondato, avendo la medesima Corte già chiarito che in tema di imposte sui redditi d’impresa, le garanzie del rendimento locativo minimo non rientrano tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d’impresa, sicché gli oneri in parola, realizzando costi futuri, sono deducibili solo se e nella misura in cui sono sostenuti, secondo i criteri di cui all’art. 109 del Tuir, mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità di costi non ancora effettivamente sostenuti e di cui è assolutamente incerto il sostenimento (Cass. nn. 3368/2013, 9068/2015 e 13252/2015).

Nel caso di specie la contribuente aveva dunque imputato, a fronte dei ricavi della vendita, i costi, inerenti alle garanzie del rendimento locativo minimo, iscrivendo, in bilancio, come costo, l’importo maturato a titolo di rendimento garantito e come “accantonamento per altri rischi“, l’importo residuo, che sarebbe stato corrisposto nei successivi otto anni a tale titolo.

Al riguardo la Corte evidenzia però che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (attuale art. 109) stabilisce, al comma 5, che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito…“.

Tale disposizione, sottolineano i giudici, è stata peraltro costantemente interpretata nel senso che i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i requisiti di effettività, inerenza, certezza, determinatezza (o determinabilità) e competenza, deducendosi che, in mancanza di diverse disposizioni specifiche, laddove vi sia incertezza nell’an o indeterminabilità nel quantum, il principio di cassa soppianta quello di competenza.

In altri termini, i componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono essere imputati all’anno di esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza, o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza.

Peraltro, tale determinabilità non può essere rimessa alla mera volontà delle parti, con una scelta discrezionale dell’esercizio cui imputare il costo (Cass. n. 24526 del 2009), ma deve essere desumibile dall’indicazione contrattuale del corrispettivo e da ulteriori elementi (cfr., da ultimo, Cass. n. 9068 del 2015).

Quanto poi allo specifico disposto dell’art. 73, c. 4, vecchio T.U.I.R. (attuale art. 107), per cui “non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo” (il capo 6, che disciplina analiticamente le ipotesi legali di accantonamenti fiscalmente rilevanti), esso, evidenzia ancora la Corte, fissa la regola tassativa della inderogabilità degli accantonamenti fiscalmente deducibili.

Gli accantonamenti riflettono infatti, in generale, la stima di passività probabili, dovute in forza di obbligazioni già assunte e si tratta quindi di una norma che mira a contemperare i principi di certezza, caratteristici del sistema tributario, e le esigenze di valutazione fiscale di poste meramente prudenziali.

Se dunque è vero che alcuni costi possono essere imputati al conto economico attraverso un accantonamento per “rischi ed oneri“, vale a dire stanziando, fin dall’esercizio di competenza, a carico del risultato di gestione, le risorse economiche (cioè la quota di reddito) per far fronte a tali costi, con la conseguenza che, quando essi si manifesteranno in concreto, non andranno a carico del risultato dell’esercizio successivo, ma saranno, quanto meno nei limiti dello stanziamento in bilancio, coperti utilizzando l’apposito fondo accantonato nello stato patrimoniale, è del resto anche vero che, sotto il profilo fiscale, la disciplina degli accantonamenti riflette esigenze prevalenti di certezza e di univocità, che, come visto, richiedono di derogare alla tendenziale dipendenza del reddito imponibile dall’utile civile, prevedendo un regime differenziato per il corrispondente periodo d’imposta, in forza del principio di tassatività degli accantonamenti fiscalmente deducibili previsto dall’art. 73 (oggi 107), c. 4, Tuir.

Ove dunque si tratti , secondo i criteri di cui all’art. 109, c. 5, cit., mentre per i costi non ancora effettivamente sostenuti e di cui è incerto il sostenimento difettano i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità e dunque i presupposti di deducibilità.

Nel caso di specie, mancando la prova dei suddetti requisiti nell’esercizio di riferimento (n. 2003/2004) e trattandosi anzi di costi futuri, eventualmente sostenibili negli esercizi successivi (a seguito del raffronto tra quanto effettivamente incassato dalle locazioni e la cifra fissa garantita dalla società venditrice), la ripresa a tassazione risultava allora legittima.

28 giugno 2016

Giovambattista Palumbo