Utili extra-bilancio accertati in capo a persone fisiche e società: Fisco KO!

sempre più spesso il fisco presume che eventuali redditi accertati a società siano stati erogati in nero ai soci, estendendo a questi gli avvisi di accertamento; tale presunzione può essere validamente contrastata, vediamo come

adereddiLa presenza tra i soci della s.r.l. di altra società di capitale rende illegittima la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio agli altri soci, persone fisiche. E’ questo il principio espresso dai Giudici di C.T.P. Bergamo nella sentenza n. 764/02/15, secondo cui deve escludersi il presupposto della base ristretta quando nella compagine sociale figura un’altra società di capitali.

Nozione di società a ristretta base sociale

In dottrina non è presente una definizione giuridica di società a ristretta base sociale, né a base familiare.

Normalmente si fa riferimento alla “ristrettezza” della composizione societaria che determina la formazione di un’unica volontà, tipica di un gruppo ridotto di soci o legato da altri vincoli, quali quelli, per esempio, familiari. La legittimità o meno della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base societaria è, da anni, oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale (Corte di Cassazione, Sez. V Civile Tributaria 24/03/2015, ordinanza n. 5925) e dottrinario.

La prassi degli uffici finanziari, ampiamente condivisa e legittimata dalla Corte di Cassazione, è quella di ribaltare sui soci il maggior reddito accertato in capo alla società, pur in assenza di una minima prova in ordine alla effettiva distribuzione dell’utile stesso. L’accertamento in capo ai soci di società di capitali a ristretta base sociale può dipendere dalla rettifica eseguita nei confronti della società ma soltanto quando quest’ultima è divenuta definitiva (Corte di Cassazione, sez. Tributaria, 8/10/2010, sent. n. 20870).

Tuttavia, con precipuo riferimento alla nozione di ristretta base si è registrata una timida apertura dei Giudici del Supremo Collegio che, con sentenza 26/11/2014, n. 25115, legittimano la presunzione di distribuzione ai soci degli utili conseguiti alla necessaria dimostrazione, da parte dell’Ufficio della “…sussistenza di una ristrettezza della base sociale ‘qualificata’…”1.

L’approdo giurisprudenziale degli Ermellini riprende, in parte, le conclusioni cui era pervenuta la stessa Corte di Cassazione, sezione Tributaria 11/09/2013, n. 20806 secondo cui la ristretta base partecipativa societaria può, sì, costituire l’incipit di un iter accertativo che, però, acquisisce una sua concretezza e valenza, solo se supportato da altri elementi indiziari “concretamente” rilevanti: insomma, di per sé, la ristrettezza della base partecipativa societaria non può essere qualificata quale presunzione grave, precisa e concordante2.

Quale possibile strategia difensiva per il contribuente?

Litisconsorzio necessario

Uno dei motivi di doglianza alla rettifica riguarda la necessaria instaurazione del litisconsorzio tra le parti processuali.

In conformità a quanto stabilito dall’art. 42, D.P.R. 29/09/1973, n. 600, e dall’art. 7, L. 27/07/2000, n. 212, l’atto di rettifica del reddito dei soci deve infatti riprodurre gli elementi essenziali dell’accertamento emesso a carico della società di capitali partecipata.

Infatti, se i verificatori adottano un processo di equiparazione tra le società di capitali a ristretta base sociale e società personali è evidente, mutatis mutandis, come gli atti impositivi riguardanti la s.r.l. siano inscindibilmente connessi a quelli che ne scaturiscono in capo ai soci.

Da ciò deriva che i soci delle società di capitali a ristretta base devono essere messi nelle condizioni, al pari dei soci di società di persone, di articolare una difesa adeguata dal momento che la tassazione nei loro confronti rappresenta un fatto automatico derivante dal maggior reddito accertato alla società.

Se ciò non avviene il contribuente può eccepire l’omessa notifica dell’avviso di accertamento a carico della società, anche a nome del socio chiedendo ai Giudici di dichiarare nulla la rettifica in capo al medesimo.

E’ questa la soluzione adottata dal Collegio giudicante della sez. XXXVI, di C.T.R. Lombardia nella sentenza 21/06/2013, n. 82/46/2013, secondo cui “… l’ufficio avrebbe dovuto notificare dettagliatamente gli atti della società anche al socio perché … atti da quali discendevano i redditi da imputare ai soci…” .

Dello stesso tenore si segnala C.T.P. di Siracusa, 5.06.2013, sentenza n. 199/02/13, che ha accolto il ricorso del contribuente/socio che lamentava l’obbligo da parte dell’ufficio di notifica dell’accertamento in capo alla società, anche ai soci medesimi.

Accertamento ristretta base sociale e/o familiare

La presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati può operare a condizione che la ristrettissima base sociale o familiare della compagine sociale, cioè il fatto noto posto alla base della presunzione, abbia costituito oggetto di uno specifico accertamento probatorio: ed invero solo una volta che sia stato stabilito che la titolarità delle azioni e l’organizzazione aziendale sono concentrate in una ristretta cerchia personale o familiare, il giudice di merito non può escludere la distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, limitandosi a prender atto della inapplicabilità dell’art. 5 del D.P.R. n. 917 del 1986. In tal senso si è espressa, Corte di Cassazione, sez. VI, sentenza n. 8/7/2015, n. 14176.

Natura reddituale oggetto di rettifica

Il reddito accertato in capo alla società, occorre si riferisca a proventi suscettibili di tramutarsi in flussi di liquidità per il socio. Se, in linea teorica, ricavi omessi e costi inesistenti potrebbero astrattamente indurre i verificatori a presumere distribuzione di utili occulti, con riferimento ad alcune componenti negative di reddito quali:

  • accantonamenti non deducibili;

  • costi sostenuti non deducibili;

  • rettifiche concernenti rimanenze di magazzino, ovvero svalutazione di immobilizzazioni.

appare quantomeno bizzarro sostenere che possano rappresentare ipotesi di somme distribuite ai soci. Esemplare, a tal proposito, la pronuncia di C.T.R. Roma, sez. I, 29/09/2010 sentenza n. 574 ove si precisa che l’applicazione del principio della trasparenza, principio attraverso il quale opera una presunzione di distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, relativi a maggiori ricavi accertati ad una società a ristretta base sociale, prevede “… l’accertata esistenza di ricavi non contabilizzati, ovvero di costi inesistenti in capo alla società stessa…”. Uniche ipotesi in cui è logicamente presumibile che i soci abbiano materialmente appreso somme in nero.

In tali termini, l’accertamento di un maggior reddito in capo alla società per effetto del disconoscimento dei componenti negativi di reddito prima menzionati rende inapplicabile il principio della trasparenza con conseguente illegittimità dell’avviso di accertamento. Lucidamente i Giudici Regionali del Lazio hanno osservato come “ … E’ vero che sul piano tecnico il mancato riconoscimento di costi sostenuti produce un maggior utile sociale ma difficilmente in questo caso può valere la doppia presunzione di un maggior utile e della loro distribuzione ai soci anche se si tratta di una società a ristretta base azionaria…”.

Assenza di prova nella distribuzione degli utili occulti

Come noto, l’art. 44 del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, dispone che gli utili societari concorrono alla formazione dell’imponibile in quanto effettivamente percepiti dai soci, in base quindi al cd. criterio di cassa. Tale disposizione, non prevede quindi presunzione di distribuzione e percezione a differenza di quanto espressamente sancito dall’art. 5 per gli utili delle società di persone e di quanto previsto dagli artt. 115 e 116 per le società di capitale in regime opzionale di trasparenza fiscale.

E’ quindi evidente, come osservato in dottrina, che la mancanza di elementi esterni che, anche solo per via indiziaria, confermino la presunta distribuzione degli utili al socio (come ad esempio, disponibilità finanziarie o patrimoniali ingiustificate rispetto ai redditi dichiarati) contrasti con l’intero impianto della tassazione in capo alla persone fisica. Ciò, in quanto mancherebbe un fumus di possesso in grado di legittimare la tassazione del dividendo presuntivamente attribuito al socio.

Mancata o ridotta percezione degli utili

La tesi consolidata della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, Sez. VI Ordinanza 5/02/2015, n. 2090) sostiene che l’onere di dimostrare la distribuzione degli utili extrabilancio in capo ai soci di una società a ristretta base partecipativa non incomba sull’ufficio finanziario, bensì sul contribuente onerato di fornire la prova che i maggiori ricavi accertati non sono stati distribuiti (Corte di Cassazione, Sez. V Civile Tributaria, 15/02/2008, sentenza n. 3896) ma accantonati o reinvestiti. Evidentemente, attribuire al contribuente il compito di attestare la mancata percezione degli utili extra-bilancio rappresenta, a parere di chi scrive, una probatio diabolica. Per tale ragione la tesi dominante del Supremo Collegio, che sposta l’onere probatorio dall’Amministrazione finanziaria al contribuente, è stata aspramente criticata in alcune pronunce emesse dai Giudici territoriali.

Osserva, ad esempio, C.T.P. Reggio Emilia, sez. III, sent 14/04/2014, n. 186/3/2014, come non possa essere condiviso il ragionamento presuntivo elaborato dall’Ufficio secondo cui il reddito occulto accertato in capo alla società ben può essere girato automaticamente a (tutti) i soci a ristretta base partecipativa.

In assenza della “… rilevazione di movimenti finanziari non giustificati tra la società ed il socio che riceve l’accertamento…”, ovvero di altri elementi indiziari concretamente rilevanti, alcun significato probatorio assume l’affermazione del fisco sull’incasso da parte del contribuente del maggior utile accertato extra contabilmente alla S.r.l..

Sotto diverso profilo ed in particolare sulla necessità di considerare l’eventuale quantum imputabile al socio non solo rispetto alla percentuale di partecipazione al capitale sociale, ma anche avendo riguardo alle modalità di tassazione si segnalano le soluzioni adottare da C.T.R. sentenza n. 309/29/2013, nonché C.T.P. Treviso, 16/04/2013, sentenza n. 31/04/13, che hanno dichiarato l’illegittimità della tassazione piena in luogo della esenzione prevista dall’art. 47, D.P.R. 22/12/1986, n. 917.

C.T.P. di Bergamo, Sent. n. 764/02/15

La presenza tra i soci della s.r.l. di altra società di capitale rende illegittima la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio agli altri soci, persone fisiche. E’ questo il principio espresso dai Giudici di C.T.P. Bergamo nella sentenza n. 764/02/15, secondo cui deve escludersi il presupposto della base ristretta quando nella compagine sociale figura un’altra società di capitali (3).

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate di Bergamo accertava, in relazione all’anno d’imposta 2009, un maggior reddito ad una S.p.a. ribaltando l’utile extra contabile ai sensi dell’art. 14, co. 4, l. 537/93, ai soci persone fisiche in misura non proporzionale alle quote di partecipazione possedute.

Infatti a fronte di partecipazioni societarie possedute dai soci persone fisiche – pari complessivamente al 9,18% del capitale sociale – l’ufficio presumeva la distribuzione dell’utile extra contabile accertato in misura pari al 34,31% dei proventi illeciti, pari ad € 354.740,37. Alcuna presunzione di distribuzione veniva operata in capo all’altro socio società di capitali che partecipava al capitale sociale in misura pari al 90,82%.

Nelle motivazioni dell’atto impositivo l’ente accertatore osservava come “… non si era tenuto conto del socio persona giuridica in quanto non rilevante in tale tipo di recupero, tanto più in considerazione della sua natura di società non operativa, ma di mera gestione finanziaria ed amministrativa…”.

I contribuenti incisi dalla rettifica proponevano tempestivamente ricorso alla commissione tributaria competente contestando le argomentazioni erariali.

Motivi della decisione

I Giudici tributari del collegio bergamasco hanno escluso (indipendentemente dall’arbitraria ripartizione dell’utile extra contabile accertato) che potesse applicarsi la presunzione di ristretta base sociale o familiare perché solo in tal caso poteva presumersi la percezione da parte dei soci persone fisiche. Secondo gli insegnamenti dei Giudici di Legittimità, (Cass. Sez. VI, sentenza n. 8/7/2015, n. 14176 “… affinché operi la presunzione di riparto degli utili extracontabili tra i soci di una società di capitali, occorre che la ristretta base sociale e/o familiare, ossia il fatto noto alla base della presunzione abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio…”.

Nel caso esaminato dalla commissione di prime cure risultava, invero, accertato che il 90,82% del capitale sociale della S.p.A. faceva capo ad altra società di capitali di cui non si conosceva la composizione sociale. In tale direzione, conclude il collegio, non è stato possibile ritenere accertato “…il fatto posto a fondamento della presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio alle persone fisiche, tantomeno nella proporzione arbitraria proposta dall’ufficio accertatore…”.

19 maggio 2016

Antonino & Attilio Romano

1 T. LAMEDICA, Società a ristretta base e utili extracontabili, Corriere Tributario n. 9/2015, pag. 713 Secondo l’A. occorrerebbe accertare l’esistenza della ristrettezza della base sociale – quali per esempio, il vincolo del reciproco controllo dei soci, ovvero l’adozione di decisioni informali da parte dei soci legati da vincoli familiari – e successivamente, provare la concreta distribuzione di utili extracontabili.

2 A. ROMANO, T. LONGOBARDO; S.r.l a ristretta base societaria, La Settimana Fiscale, 3/06/2015, n. 22.

3 Il testo integrale della sentenza è stato pubblicato da ITALIA OGGI 7, Base ristretta esclusa dal socio di capitali, annata 2015, con commento di B. FUOCO.