Gli effetti fiscali del fallimento

L’apertura di una procedura fallimentare genera spesso dubbi agli operatori: a chi spettano gli obblighi dichiarativi? Come si determina il reddito della procedura? Come si recupera l’eventuale credito IVA? Ecco una guida pratica ai principali aspetti del fisco nel fallimento

Ai sensi dell’art. 2221 del codice civile, gli imprenditori commerciali, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso d’insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali.

La disciplina del fallimento si rinviene nel R.D. 16.3.1942, n. 267 [legge fallimentare], mentre quella della liquidazione coatta è incardinata nelle singole leggi speciali.

Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione controllata gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori.

La legge fallimentare è stata innovata con il D.L. 14.3.2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14.5.2005, n. 80, attraverso il quale è stato introdotto l’art. 182-bis, relativo agli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Inoltre, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, quinto comma, della predetta legge di conversione, è stato emanato il D.Lgs. 9.1.2006, n. 5, relativo alla riforma organica delle procedure concorsuali. Un’ulteriore evoluzione normativa è quindi intervenuta a seguito dell’emanazione del decreto legislativo «correttivo» 12.9.2007, n. 169.

 

 

Riforme del fallimento

In epoca recente, il D.L. 27.6.2015, n. 83 [convertito dalla L. 6.8.2015, n. 132] ha introdotto alcune significative novità in materia di fallimento, in relazione, in particolare, alla disciplina:

  • del programma di liquidazione, stabilendo che, fermo restando il termine di 60 giorni dalla redazione dell’inventario, il programma di liquidazione deve essere predisposto, in ogni caso, non oltre 180 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento. L’inosservanza di tale termine, senza giustificato motivo, costituisce una giusta causa di revoca del curatore;

  • della chiusura del fallimento in presenza di giudizi pendenti, precisando che la chiusura del fallimento, nel caso di compiuta ripartizione dell’attivo, non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi di giudizio.

La Commissione ministeriale istituita dal Ministero della Giustizia con decreto 28.1.2015, nota come «Commissione Rordorf», ha elaborato uno schema di disegno di legge delega recante «Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza», che revisiona interamente la disciplina delle procedure concorsuali all’interno di un quadro sistematico.

 

 

 

Cosa accade all’impresa in fallimento?

La procedura fallimentare è finalizzata a impedire che il soggetto insolvente chiuda la propria attività senza previamente soddisfare i creditori; lo stesso è tuttavia estromesso dalla gestione dell’attività stessa con l’inizio del percorso amministrativo necessario ai fini della tutela dei creditori.

In questo contesto la posizione IVA dell’impresa deve essere mantenuta aperta, mentre il codice fiscale serve a identificare la società stessa fino a quando, una volta chiusa la procedura concorsuale, sarà possibile chiederne e ottenerne la cancellazione dal registro delle imprese.

Per le operazioni effettuate anteriormente alla dichiarazione di fallimento, gli obblighi di fatturazione e registrazione, sempreché i relativi termini non siano ancora scaduti, sono adempiuti dal curatore entro quattro mesi dalla nomina [art. 74-bis, comma 1, D.P.R. n. 633/1972].

Per le operazioni effettuate successivamente all’apertura del fallimento, gli adempimenti IVA, anche se è stato disposto l’esercizio provvisorio, devono essere pure eseguiti dal curatore. Le fatture devono essere emesse entro 30 giorni dal momento di effettuazione delle operazioni e le liquidazioni periodiche devono essere eseguite solo se nel mese o nel trimestre sono state registrate operazioni imponibili.

 

 

Determinazione del reddito

Secondo l’art. 183, comma 1, del TUIR, in caso di fallimento il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento è determinato in base al bilancio redatto dal curatore.

Il comma 2 dell’articolo in rassegna aggiunge che il reddito di impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti.

Quanto alla determinazione del patrimonio netto iniziale, questa va effettuata mediante il raffronto, secondo i valori riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi, tra le attività e le passività risultanti dal bilancio iniziale.

 

 

Qualche precisazione

Secondo la relazione di accompagnamento al TUIR del 1986, le liquidazioni concorsuali, ancor più di quelle ordinarie, presentano quanto ai profili fiscali problematiche complesse per la cui soluzione si impone uno sviluppo unitario delle norme sostanziali e di quelle relative agli obblighi dichiarativi, alla riscossione, alla responsabilità.

Quanto alla problematica dell’eventuale autonoma soggettività tributaria che si sarebbe potuta riconoscere alla procedura concorsuale, il Testo Unico optava per la soluzione negativa, confermando – in armonia con la normativa previgente -, che il curatore fallimentare o il commissario liquidatore agisce come organo di gestione liquidatoria del patrimonio del fallito, ferme restando la titolarità di quest’ultimo sul patrimonio stesso e la sua qualità di contribuente direttamente inciso dal prelievo tributario.

Ciò era considerato ovvio per quanto riguardava la frazione di esercizio antecedente l’apertura del procedimento concorsuale, dato che il relativo bilancio deve essere redatto dal curatore o dal commissario liquidatore, ma il reddito [o la perdita] d’impresa che ne risulta è imputato al soggetto fallito.

Se quest’ultimo è un imprenditore individuale o una società di persone, il reddito o la perdita) concorre a formare il reddito complessivo dell’imprenditore ovvero [nella proporzione di cui agli artt. 5 e 8] quello dei familiari partecipanti all’impresa o dei soci nel periodo di imposta in corso alla data della dichiarazione di fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione.

Per ciascuno di tali contribuenti il periodo di imposta conserva la sua naturale scadenza, e per tale periodo il reddito complessivo dell’imprenditore e dei soci persone fisiche illimitatamente responsabili [ai quali il fallimento si estende] è formato, oltre che dal reddito d’impresa della suddetta frazione d’esercizio, solo dai redditi inerenti ai beni e ai diritti non compresi nel fallimento.

D’altro canto, che neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura e la chiusura del procedimento concorsuale si determini la nascita di un autonomo soggetto d’imposta risulta dal comma 3 dell’articolo, secondo il quale anche il risultato attivo o passivo del procedimento è imputato al soggetto fallito, e per le società di persone ai loro soci.

La liquidazione concorsuale, che non suscita le preoccupazioni di cautela fiscale cui si deve il metodo di tassazione per esercizi provvisori adottato per la liquidazione ordinaria, è considerata come produttiva di un unico reddito [o perdita] quale ne sia la durata e anche se vi è stato esercizio provvisorio.

L’eventuale reddito del periodo di durata della procedura concorsuale:

  • per gli imprenditori individuali e per le società di persone non forma oggetto di autonoma tassazione, ma viene imputato all’imprenditore o (pro – quota) ai soci nel loro normale periodo d’imposta nel corso del quale si è concluso il procedimento concorsuale, e in relazione a tale periodo d’imposta concorre insieme con gli altri redditi a formare il reddito complessivo soggetto a IRPEF, o è tassato separatamente a norma dell’articolo 17 se ricorrono le condizioni a tal fine richieste; se invece la liquidazione si chiude in perdita, questa è ammessa in deduzione dal reddito complessivo del periodo d’imposta e può essere riportata ai periodi d’imposta successivi;

  • per le società di capitali – relativamente alle quali il periodo di durata del procedimento costituisce un autonomo periodo d’imposta sia ai fini della determinazione dell’imponibile, sia ai fini del pagamento del tributo – in caso di ripiano del residuo attivo ai soci, può essere imputato al normale periodo d’imposta di ciascuno di essi e, se ne ricorrono le condizioni, sottoposto a tassazione separata.

 

 

In relazione alle problematiche connesse agli aspetti tributari delle procedure concorsuali, occorre considerare le seguenti peculiarità:

  • il patrimonio dell’impresa va determinato sulla base di valori fiscalmente rilevanti; la tassazione è dunque possibile solo quando le procedure concorsuali si chiudono con un risultato positivo in termini di reddito imponibile;

  • ai fini del calcolo della differenza con il residuo attivo, l’art. 18, comma 2, del D.P.R. 4.2.1988 n. 42, prevede che il patrimonio netto iniziale negativo, per eccedenza delle passività sull’attività, si consideri pari a zero;

  • il reddito prodotto dalle società di capitali, nel periodo della procedura concorsuale, va assoggettato a tassazione a cura del curatore o del commissario liquidatore; gli eventuali utili imputati ai soci a seguito del riparto del residuo attivo concorrono alla formazione del reddito complessivo nel periodo in cui si è avuto il riparto.

 

Obblighi dichiarativi

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Per quanto disposto dall’art. 5, commi 3 e 5, del D.P.R. 22.7.1998 n. 322 dopo le modificazioni apportate dall’articolo 5 del D.P.R. 7.12.2001 n. 435, nei casi di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa le dichiarazioni dei seguenti soggetti:

  • imprese individuali;

  • società o associazioni di cui all’art. 5 del TUIR;

  • società o enti soggetti all’IRES;

sono presentate dal curatore o dal commissario liquidatore, esclusivamente in via telematica, avvalendosi del servizio telematico Entratel, entro:

  • l’ultimo giorno del nono mese successivo a quello, rispettivamente, della nomina del curatore e del commissario liquidatore, relativamente alle dichiarazioni valevoli per il periodo antecedente la procedura concorsuale [inizio periodo d’imposta – inizio procedura];

  • l’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura del fallimento e della liquidazione, relativamente alle dichiarazioni presentate per il periodo corrispondente alla procedura concorsuale.

Se la procedura fallimentare o la liquidazione coatta amministrativa si prolungano oltre il periodo d’imposta in corso alla data in cui ha inizio la procedura fallimentare o la liquidazione, le dichiarazioni relative alla residua frazione del detto periodo e quelle relative ad ogni successivo periodo d’imposta sono presentate, nei termini ordinari, esclusivamente ai fini dell’IRAP e solamente se vi è stato esercizio provvisorio.

 

 

Rimborsi IVA

Per quanto riguarda i rimborsi IVA risultanti dalle dichiarazioni annuali [art. 30, D.P.R. n. 633/1972], ordinariamente deve essere prestata garanzia in forma di cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, ovvero di fideiussione o di polizza fideiussoria, nonché in altre forme speciali per particolari tipologie di soggetti [art. 38-bis, commi 4 e 5].

La garanzia deve essere prestata, tuttavia, solamente se i rimborsi sono superiori a 15.000 euro e vengono richiesti da:

  • soggetti passivi che esercitano attività di impresa da meno di due anni, diversi dalle start-up innovative;

  • soggetti passivi diversi ai quali, nei due anni antecedenti la richiesta di rimborso, sono stati notificati avvisi di accertamento o rettifica al di sopra di determinate soglie in termini assoluti e percentuali;

  • soggetti passivi il cui credito – chiesto a rimborso – è privo del visto di conformità o della dichiarazione alternativa, o non presentano la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;

  • soggetti passivi che richiedono il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante all’atto della cessazione dell’attività.

 

In presenza di procedure concorsuali operano tuttavia disposizioni speciali di carattere agevolativo.

L’art. 74-bis, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, stabilisce infatti che i rimborsi IVA non ancora liquidati alla data della dichiarazione di fallimento e quelli successivi sono eseguiti senza la prestazione delle prescritte garanzie per un ammontare non superiore a lire cinquecento milioni [euro 258.228,45]. Si veda anche al riguardo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 30.12.2014 [paragrafo 5.3].

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 54/E del 19.6.2002 [punto 16.11] precisava al riguardo che le garanzie che possono essere omesse in caso di procedure concorsuali sono proprio quelle fideiussorie di cui all’articolo 38-bis del D.P.R. n. 633 del 1972.

Ciò è stato confermato nella successiva risoluzione n. 202/E del 3.8.2007, che indicava tali garanzie in quelle di cui al comma 1 dell’articolo 38-bis secondo il testo allora vigente, corrispondenti a quelle richieste dall’attuale comma 4.

 

Più di recente è intervenuta la circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014, che al paragrafo 5.3 reca le seguenti precisazioni:

«ai sensi del terzo comma dell’articolo 74-bis, i rimborsi previsti dall’articolo 30 non ancora liquidati alla data della dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa e i rimborsi successivi sono eseguiti senza la prestazione delle prescritte garanzie per un ammontare non superiore a 258.228,45 euro».

Tale limite deve intendersi riferito a tutti i rimborsi IVA riferibili alla procedura concorsuale, e non ai singoli periodi di imposta.

«Al fine di stabilire la sussistenza e la misura del diritto all’esonero dalla prestazione della garanzia, occorre verificare l’ammontare dei rimborsi richiesti anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento o della liquidazione coatta amministrativa, ma non ancora erogati, e di quelli richiesti ed erogati nell’ambito delle anzidette procedure».

Se pertanto il credito IVA si è generato nel corso della procedura di fallimento, esso può essere chiesto a rimborso anche successivamente alla sua chiusura senza che occorra prestare le garanzie ordinariamente richieste.

 

 

Sostituzione di imposta

Il curatore è espressamente annoverato tra i sostituti di imposta dall’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, ed è quindi tenuto a effettuare le ritenute e agli obblighi strumentali previsti per tale figura agli effetti delle norme tributarie.

In tale veste lo stesso curatore opera anche in sede di eventuale riparto supplementare, sempre che sussistano i presupposto per dal luogo a tale riparto in base alle disposizioni di riferimento della legge fallimentare e secondo quanto deliberato dal tribunale fallimentare e dal giudice delegato.

 

 

Riparto supplementare

L’art. 183, comma 2, del TUIR, fa riferimento alla «chiusura della procedura concorsuale» quale momento nel quale viene a chiudersi il periodo di imposta «speciale» [che inizia con l’apertura della procedura stessa].

Il citato D.L. n. 83/2015, all’art. 7, ha innovato alcuni articoli della legge fallimentare.

A seguito di questo intervento, secondo quanto affermato dall’art. 118, co. 2, nel testo attualmente vigente, successivamente alla chiusura della procedura

«le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all’articolo 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento».

Aggiunge più avanti l’art. 120, ultimo comma, anch’esso innovato dal D.L. n. 83/2015, che

«nell’ipotesi di chiusura in pendenza di giudizi ai sensi dell’articolo 118, secondo comma, terzo periodo e seguenti, il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini di quanto ivi previsto. In nessun caso i creditori possono agire su quanto è oggetto dei giudizi medesimi».

 

 

Transazione fiscale

La transazione fiscale costituisce una particolare procedura «transattiva» tra il contribuente e l’Amministrazione, che può aver luogo in sede di concordato preventivo, venendo a costituire una parte integrante del piano di risanamento di cui all’art. 160 della L.F. e della domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, nonché delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione dei debiti già previsti dal succitato art. 182-bis, e attualmente consentiti in forza della nuova disposizione contenuta dal D.Lgs. n. 169/2007, vigente dal 1° gennaio 2008 con riferimento alle procedure concorsuali aperte successivamente a tale data.

L’istituto della transazione fiscale, nella sua versione attuale, ha sostituito il previgente regime di cui all’art. 3, terzo comma, del D.L. 8.7.2002, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 8.8.2002, n. 178, poi abrogato dall’articolo 151 del medesimo D.Lgs. n. 5 del 2006.

Precisando che la «versione fiscale» dell’istituto civilistico della transazione rappresenta una deroga al principio di indisponibilità del credito tributario, la circolare afferma che essa – in coerenza con l’art. 14 delle «preleggi» –

«è di stretta interpretazione e non è suscettibile di interpretazione analogica o estensiva».

È altresì osservato nella circolare che, attualmente, la transazione fiscale risulta inserita nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione, e di conseguenza essa è

«assistita da garanzie di controllo da parte di organi giudiziali, all’interno di una procedura che vede la partecipazione dei creditori».

A differenza di quanto si verificava nel previgente regime, la proposta di transazione non può essere presentata dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, ma esclusivamente dal debitore.

Entro 30 giorni dalla presentazione della domanda di transazione, l’Ufficio, previa verifica del rispetto dei requisiti di ammissibilità della transazione, deve provvedere ai necessari adempimenti connessi con l’attività di controllo (liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e notifica delle relative comunicazioni di irregolarità; notifica degli avvisi di accertamento).

Prima del decorso del termine di 30 giorni, l’ufficio deve quindi predisporre e trasmettere al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tributario.

In assenza di qualsiasi ipotesi preclusiva per le attività di controllo dell’Amministrazione, dette attività possono effettuarsi anche nel caso in cui sia avvenuta la transazione fiscale, con la conseguente possibile determinazione di un debito tributario superiore rispetto a quello attestato nella certificazione rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della procedura di transazione fiscale.

Anche l’agente della riscossione, nel termine di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda e della relativa documentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo, scaduto o sospeso (comprensivo di imposte, sanzioni e interessi).

Una copia della certificazione attestante l’entità del debito deve essere inviata dal concessionario anche al direttore del competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, allo scopo di consentire allo stesso di porre in essere l’attività demandatagli dalla norma .

La proposta di transazione può prevedere la dilazione del pagamento, anche in termini eccedenti i limiti di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973. Sia che la dilazione sia stata proposta con il piano di cui all’articolo 160 della L.F., sia che essa sia stata proposta nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis, la valutazione della stessa deve tener conto della presenza (o, in negativo, della mancanza) di un’idonea garanzia.

Sotto il profilo delle modalità del versamento, il contribuente può adempiere:

  • per i tributi iscritti a ruolo, presso l’agente della riscossione;

  • per i tributi ancora non iscritti ancora iscritti a ruolo, utilizzando i modelli F23 e F24.

Il comma 2 dell’art. 29 del D.L. 31.5.2010 n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122, ha modificato il primo comma dell’art. 182-ter della L.F., prevedendo tra l’altro che in sede di transazione fiscale le ritenute d’imposta effettuate e non versate possano essere solo oggetto di dilazione e non di falcidia.

 

 

9 maggio 2016

Fabio Carrirolo