La società semplice: profili civilistici e fiscali

La società semplice è uno strumento molto interessante, soprattutto per le gestioni immobiliari: in questo articolo approfondiamo le problematiche civilistiche, le attività esercitabili, il regime di responsabilità dei soci, il calcolo del reddito, l’eventuale plusvalenza in fase di cessione delle quote di partecipazione

la società sempliceIn generale, la società è lo strumento approntato dall’ordinamento per consentire in forma strutturata e collettiva l’esercizio di attività di impresa. Il diritto italiano conosce, così come quello di altri Paesi, forme societarie con personalità giuridica [dotate di una spiccata autonomia patrimoniale] e senza personalità giudica.

Nel contesto dei tipi societari disciplinati dal codice civile, la forma – base, sulla quale si costruiscono le strutture più complesse, è costituita dalla società semplice. Si tratta di una società che non può esercitare attività commerciale, e che sotto il profilo fiscale rientra tra i soggetti «trasparenti» di cui all’art. 5 del TUIR.

I redditi da essa generati non devono quindi essere autonomamente dichiarati, giacché vengono imputati ai soci in capo ai quali sono tassabili come proventi di partecipazione [senza che si renda necessaria alcuna formale distribuzione].

 

 

Le società semplici secondo il codice civile

Il contratto di società è il negozio in base al quale due o più persone [fisiche o giuridiche] conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili [art. 2247, c.c.].

Dallo schema elementare del contratto di società originano i vari tipi di società, i quali, se finalizzati all’esercizio di attività commerciale, devono costituirsi secondo le disposizioni degli artt. 2291 e ss., c.c.; se si tratta invece di soggetti aventi oggetto non commerciale, essi devono adottare la forma della società semplice [art. 2249, c.c.].

Nel contesto delle operazioni di trasformazione cui le società possono essere assoggettate, qualche problematica peculiare si accompagna al tema della trasformabilità da e verso le società semplici.

Tali soggetti non sono infatti «abilitati» all’esercizio di attività commerciale [art. 2249, commi 1 e 2, c.c.], pur costituendo – per così dire – l’«embrione» normativo delle società personali.

Per la stipula del contratto di società semplice non si richiedono forme particolari [art. 2251, c.c.], sicché è sufficiente anche il «fatto concludente», senza espresse deliberazioni scritte o verbali.

Nei fatti, tale tipologia societaria è risultata adottabile, oltre che per le attività agricole, per la gestione immobiliare a scopo di mero godimento.

In tale prospettiva risulta di fatto consentito il mantenimento di società semplici con le caratteristiche delle società «di comodo»: tali soggetti, infatti, non consentendo l’ammissione al regime del reddito d’impresa e lo specifico trattamento IVA delle attività commerciali, sono state ritenute non suscettibili di produrre effetti sfavorevoli per le ragioni erariali.

Non sembrano sussistere ostacoli espliciti o impliciti per la trasformazione di una società semplice sia in altre forme societarie a base personale, sia in società di capitali, con l’avvertenza che, in molti casi, avverrà però la contestuale variazione dell’oggetto sociale.

In particolare, l’oggetto sociale deve per forza mutare se la società semplice è trasformata in società «ordinaria», che esercita attività commerciale [S.n.c., S.a.s., S.p.a., S.a.p.a., S.r.l.].

Si rammenta però che, ai sensi dell’art. 2249, comma 2, c.c., le attività diverse da quelle commerciali possono essere esercitate anche adottando una forma societaria non «semplice»: in tale evenienza, potrebbe accadere che la società semplice si trasformi in società personale o di capitali mantenendo il proprio oggetto sociale.

 

 

Attività esercitabili da una società semplice

La società semplice, forma più elementare di società, può avere per oggetto esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali.

Tale tipo societario può quindi prestarsi all’esercizio di:

  • attività agricole, con alcune limitazioni in quanto l’oggetto sociale non può essere costituito dal mero godimento di beni, ma dall’esercizio comune e concreto di attività economica;

  • attività di gestione immobiliare.

 

Un’altra caratteristica della società semplice è costituita dalla responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sociali, che però può escludersi, con apposito patto, se si tratta di soci sforniti di poteri di rappresentanza.

Nella società semplice il creditore può soddisfarsi sia sul patrimonio della società, sia sul patrimonio dei soci illimitatamente responsabili.

Occorre però precisare che, qualora sia stato richiesto direttamente al socio, per primo, il pagamento di quanto dovuto, quest’ultimo potrà richiedere al creditore che venga preventivamente escusso il patrimonio sociale, ovvero potrà indicare al medesimo i beni della società sui cui potersi agevolmente soddisfare [beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale].

 

 

Costituzione della società semplice

Quanto alla costituzione di una società semplice, è necessario osservare le regole e i criteri di seguito individuati.

Il contratto non è soggetto a forme particolari, fatte salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti e le limitazioni previste a fini probatori.

Affinché venga a esistenza una società semplice è sufficiente l’impegno reciproco dei soci di svolgere insieme un’attività economica lucrativa non commerciale.

La s.s. è soggetta all’iscrizione in un’apposita sezione speciale del registro delle imprese ed è priva di effetti giuridici, avendo solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.

L’assenza di forme speciali normativamente previste fa sì che il contratto di s.s. – ossia la costituzione di questa società – possa perfezionarsi anche verbalmente o per fatti concludenti [società semplice di fatto]: in tali ipotesi si pongono però evidenti difficoltà circa la prova dell’esistenza del vincolo.

 

È richiesta necessariamente la forma scritta quando:
  • si conferiscano beni immobili o altri diritti reali immobiliari;

  • si conferisca il semplice godimento degli stessi a tempo indeterminato o comunque per un periodo superiore a 9 anni.

Con la stipulazione del contratto di società, i contraenti assumono la qualità di soci, dalla quale derivano diritti e obblighi espressamente previsti dalla legge.

L’obbligo di conferimento è essenziale per l’acquisto di tale qualità. In particolar modo per le società semplice la legge stabilisce che il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale, che possono essere in denaro, in natura o in crediti.

Si possono inoltre conferire, in proprietà o in godimento, aziende, e anche prestazioni di garanzia [fideiussioni e avalli]. Può essere oggetto di conferimento anche l’obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa [manuale o intellettuale] a favore della società [socio d’opera].

 

Conferimenti: in particolare

cessione d'aziendaDal punto di vista civilistico, il conferimento costituisce un elemento essenziale del contratto societario, il quale ha natura di contratto associativo normalmente plurilaterale, caratterizzato dalla presenza di soggetti – i soci – che conferiscono determinati beni destinati al perseguimento di uno scopo comune.

In sede di costituzione della società, esso risponde all’obbligo dei soci di partecipare alla formazione del capitale societario fornendo denaro, beni, crediti, o – nelle S.r.l. – anche opere e/o servizi.

Nel contesto delle operazioni straordinarie d’impresa, la nozione di «conferimento» è riconducibile all’operazione mediante la quale determinate utilità – denaro, beni, crediti, etc. – sono apportati a un ente giuridicamente diverso rispetto al soggetto apportante.

Come contropartita, quest’ultimo riceve azioni o quote della società conferitaria.

Una fattispecie di particolare interesse è quella del conferimento d’azienda o di ramo d’azienda, nel quale tali peculiari tipologie di «beni» [o universalità di beni] sono apportati a una società.

Il conferimento è riconducibile, in tale accezione, a un’operazione mediante la quale un compendio aziendale funzionante è trasferito da un’impresa ad un’altra impresa, già costituita o sorta contestualmente al conferimento; se si tratta dell’unica impresa della conferente, o se sono conferite tutte le aziende detenute, la conferente può permanere in vita come società finanziaria, limitando la propria attività alla gestione delle partecipazioni ricevute.

La «remunerazione» di tale «apporto» consiste in azioni [o quote] della società conferitaria.

Relativamente ai conferimenti nelle società di persone [gruppo che comprende anche le società semplici], vale il riferimento all’art. 2253, c.c., a norma del quale il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale.

In tale contesto, può essere conferito ogni elemento suscettibile di valutazione economica, senza che siano richieste particolari procedure formali [perizie, relazioni di stima].

Ai sensi degli artt. 2254 e 2255, c.c.:

  • per le cose conferite dal socio a titolo di proprietà, la garanzia dallo stesso dovuta e il passaggio dei rischi dal socio alla società sono regolati secondo le norme previste per la vendita;

  • per le cose conferite dal socio a titolo di godimento, la garanzia dovuta segue le regole applicabili in materia di locazione;

  • per i crediti conferiti dal socio, quest’ultimo risponde dell’insolvenza del debitore, entro i limiti di cui all’art. 1267, c.c., ovvero limitatamente a quanto il socio ha ricevuto dal debitore conferito.

 

 

Trasformazione di società semplice

Secondo le norme attualmente vigenti, le varie tipologie societarie possono trasformarsi in altri tipi anche superando il carattere della commercialità: tipi commerciali possono quindi assumere forme non commerciali e viceversa.

È in questa prospettiva che il Consiglio Nazionale del Notariato [CNN], nello Studio n. 5619/I del 31.3.2005, ha esaminato le problematiche poste dalla società semplice e dalla trasformazione da e verso questa forma societaria.

Tale documento ravvisa due criticità, relative:

  • alle conseguenze sostanziali della trasformazione di s.s. in ordine alla posizione dei creditori particolari;

  • alla mancanza di un regime di pubblicità della società che si trasforma.

Relativamente ai creditori particolari, è affermato che essi, per effetto della trasformazione, perdono il diritto alla liquidazione in ogni tempo della quota del socio loro debitore di cui all’art. 2270 del c.c. Con un conseguente problema quanto alla loro tutela.

La risposta a questa criticità, secondo il CNN, va rinvenuta nel sistema delle società di persone, e in particolare nella regola dettata dall’art. 2307 del c.c. per l’ipotesi di proroga espressa della società, ritenuta applicabile in via analogica.

In questo contesto viene riconosciuto in capo al creditore particolare il diritto a opporsi alla trasformazione della società nel termine di tre mesi dall’iscrizione dell’atto di trasformazione: dall’accoglimento dell’opposizione discende il dovere della società di provvedere alla liquidazione della quota del socio [il quale viene escluso di diritto dalla società].

Quanto alla ragione formale che osterebbe alla trasformabilità delle società semplici [e anche delle società irregolari] in società commerciali, riferibile alla mancata iscrizione nel registro delle imprese, essa non ha ragione di esistere nel quadro post – riforma societaria, dato che per tutte le società di persone [implicitamente includendo anche le s.s.] è prevista la trasformabilità in società commerciali.

Del resto, ancor prima della riforma delle società di capitali, l’ordinamento aveva previsto forme di pubblicità della società semplice, che quindi può definirsi «non iscritta», ancorché inserita in una sezione speciale del registro delle imprese.

 

 

Trasformazione da società semplice in altri tipi societari

La società semplice, che non può avere oggetto commerciale, può estendere l’oggetto della propria attività adottando la forma giuridica di una società di tipo commerciale, sia di persone che di capitali.

Allo stato, non sussistono ostacoli giuridici per la trasformazione di una società semplice sia in altre forme societarie a base personale, sia in società di capitali; nella gran parte dei casi [salvo quello dell’esercizio di attività non commerciali da parte della società commerciale], si verifica però la contestuale variazione dell’oggetto sociale.

L’ipotesi inversa [trasformazione di società di tipo commerciale in società semplici] deve necessariamente accompagnarsi – fatta salva, sempre, l’ipotesi di soggetti che già esercitano attività non commerciali – a una speculare «compressione» dell’oggetto sociale.

Le società semplici non possono avere oggetto commerciale [art. 2249, commi 1 e 2, c.c.]; pur non sussistendo ostacoli normativi alla trasformazione di una società semplice sia in altre forme societarie a base personale, sia in società di capitali, occorre chiarire che – in tali ipotesi – si verifica la contestuale variazione dell’oggetto sociale [salvo che non si tratti di una società avente solamente forma «commerciale», ma esercente attività diverse da quelle commerciali, secondo quanto consentito dall’art. 2249, comma 2, c.c.1].

 

 

Responsabilità dei soci

La responsabilità patrimoniale dei singoli soci della società semplice in relazione alle obbligazioni sociali è regolata dall’art. 2267 del c.c.

Il comma 1 di tale articolo stabilisce che i creditori della società abbiano la possibilità di far valere i propri diritti sul patrimonio di quest’ultima. Il compendio patrimoniale della società costituisce dunque la garanzia primaria di quanti concedono credito alla società.

Secondo quanto di seguito affermato, per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci.

I soci sarebbero quindi gravati di una responsabilità per debiti altrui, rispondendo in qualità di garanti dei debiti facenti capo alla società, quale autonomo soggetto di diritto.

L’art. 2267 del codice contemplerebbe una responsabilità diretta di ciascun socio per debiti propri, la quale rinverrebbe il proprio fondamento sulla scorta del rilievo che sono i soci gli effettivi contitolari dell’impresa. Sarebbe quindi lecito affermare che il socio costretto a pagare un debito sociale avrebbe diritto di regresso nei confronti degli altri soci solo pro quota, secondo le proporzioni con cui ciascuno partecipa alle perdite.

La società si avvantaggerebbe così dell’estinzione di un proprio debito ad opera dei soci, avendo la possibilità di cancellarlo dal proprio passivo come se si trattasse di una sopravvenienza attiva.

Ciò contrasta però con il principio secondo il quale i soci non sono costretti ad effettuare conferimenti ulteriori a quelli pattuiti nel contratto sociale [art. 2253, c.c.].

L’applicazione di questo tipo di responsabilità farebbe anche sorgere un concetto di plusvalenza anomala, che contrasterebbe con la definizione di utile quale eccedenza dei ricavi rispetto ai costi.

Appare quindi preferibile la configurazione dei debiti sociali quali passività facenti capo esclusivamente alla società, mentre la concorrente responsabilità dei singoli soci dovrebbe essere reputata semplicemente sussidiaria e secondaria.

Secondo alcuni interpreti si tratterebbe di una fideiussione ex lege, mentre altri la considerano alla stregua di una obbligazione personale di garanzia, dotata di una disciplina propria e fondata sulla struttura della società semplice.

L’ultima parte del comma 1 dell’art. 2267 del codice, nel sancire la responsabilità personale e solidale dei soci che hanno agito in nome e per conto della società in ordine alle obbligazioni sociali, ammette una deroga pattizia per gli altri soci.

Chi dunque, pur appartenendo alla compagine sociale, non ha posto in essere atti di gestione esterni, può [con apposita convenzione inserita nei patti sociali] essere escluso da responsabilità patrimoniale.

La responsabilità dei soci di una società semplice in ordine alle obbligazioni sociali disposta dall’art. 2267 c.c. possiede carattere sussidiario rispetto a quella della società.

Al riguardo l’art. 2268 cod. civ. prescrive che il socio richiesto del pagamento di debiti sociali possa domandare, pure nel caso in cui la società si trovasse in stato di liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale.

 

 

Determinazione del reddito di una società semplice

Le società semplici pongono rilevanti problematiche anche in materia tributaria, pur essendo in termini generali includibile entro la «famiglia» delle società di persone.

In particolare la determinazione del reddito di queste società avviene secondo la metodologia prevista per le persone fisiche, ai sensi dell’art. 3 del TUIR, sommando i redditi appartenenti a ciascuna categoria, con esclusione di quelli assoggettati a ritenuta alla fonte o a imposta sostitutiva, al netto degli oneri deducibili.

Per quanto riguarda i redditi fondiari, deve essere applicato il corpo normativo contenuto negli artt. da 25 a 43 del TUIR, con talune precisazioni.

È infatti dubbio che alle s.s. risulti applicabile l’art. 41 del Testo Unico, laddove è previsto l’incremento di 1/3 della rendita catastale da dichiarare nei casi in cui le unità immobiliari siano utilizzate direttamente, anche come residenze secondarie, dal possessore o dai suoi familiari o siano comunque tenute a disposizione.

La determinazione dei redditi di capitale – e soprattutto l’assoggettamento degli stessi a ritenuta o a imposizione sostitutiva – pone spesso le società semplici su un piano differente rispetto alle persone fisiche.

In linea generale, i redditi di capitale derivanti dal possesso delle più comuni attività finanziarie [esempio: obbligazioni di società, titoli di Stato] sono assoggettati a un prelievo alla fonte a titolo di imposta o a imposta sostitutiva, e pertanto non trovano spazio nel modello Unico presentato dalla società.

Il regime di tassazione dei dividendi presenta differenze rispetto a quanto previsto per le persone fisiche.

Mentre, infatti, per le persone fisiche il regime di tassazione è legato all’entità della partecipazione detenuta [partecipazioni qualificate / non qualificate], per tutte le società di persone, società semplici incluse, il reddito imponibile è invece determinato in ragione del 49,72% dell’utile percepito.

Gli utili erogati alle società semplici non sono soggetti a ritenuta alla fonte [circolare dell’Agenzia delle Entrate 16.6.2004, n. 26/E], anche se di fonte estera.

Per le plusvalenze di natura finanziaria, anche per le società di persone assumono rilievo le soglie di qualificazione, così che:

per le operazioni sulle partecipazioni qualificate, le relative plusvalenze concorrono alla formazione della base imponibile Irpef [e sono, quindi, imputate per trasparenza ai soci nel limite del 49,72% per cento dell’ammontare];

per le operazioni su partecipazioni non qualificate, la società semplice [e non i soci] è il soggetto tenuto ad assolvere l’imposta sostitutiva del 26% [artt. 3 e 4 del D.L. 24.4.2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla L. 23.6.2014, n. 89].

Anche le plusvalenze di tipo immobiliare sono soggette in capo alle società semplici al regime previsto per le persone fisiche che non detengono questi beni in regime d’impresa. In particolare:

  • non costituisce fattispecie imponibile la cessione di immobili acquisiti dalla società semplice da più di cinque anni;

  • costituisce sempre fattispecie imponibile la cessione di aree fabbricabili, indipendentemente dalla data e dalle modalità di acquisizione dell’area.

 

Il reddito prodotto dalle società semplici viene imputato ai soci per trasparenza, in base alle quote di partecipazione agli utili di ciascun socio.

Le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionali al valore dei conferimenti, se non risultano diversamente determinate dall’atto di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura privata autenticata di data anteriore all’inizio del periodo d’imposta; inoltre, se il valore dei conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono uguali.

 

 

Cessione delle quote

La cessione delle quote di società semplice determina, ai fini delle imposte dirette, un reddito che dipende dalla natura del soggetto cedente:

  • se la cessione è posta in essere da soggetti non imprenditori [persone fisiche, altre società semplici], si originano plusvalenze tassate secondo l’ordinario regime dei capital gain [artt. 67 e 68 del TUIR];

  • il socio che procede alla cessione delle quote sconta l’imposizione ordinaria [con applicazione delle aliquote IRPEF] sul 49,72% del provento realizzato [pari alla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione], se la partecipazione detenuta è qualificata;

  • il socio sconta invece l’imposizione sostitutiva del 26% sull’intero provento realizzato, se la partecipazione detenuta è non qualificata;

  • se la cessione origina minusvalenze, a queste è riservato il trattamento previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, del TUIR [compensazione con altri redditi della medesima massa e riporto dell’eventuale eccedenza nel quinquennio];

  • se il soggetto cedente è un’impresa [imprenditore individuale o ente non commerciale che detiene le quote in regime d’impresa, ovvero società commerciale, di persone o di capitali], la cessione delle quote della s.s. [così come l’eventuale assegnazione ai soci] origina una plusvalenza patrimoniale determinata a norma dell’art. 86, comma 2, del TUIR [corrispettivo di cessione – o valore normale della quota, nel caso di assegnazione – meno costo fiscalmente riconosciuto della quota di partecipazione].

In ragione probabilmente del carattere non commerciale di questi soggetti, per le cessioni delle relative quote viene esclusa la participation exemption [pex].

 

 

Scioglimento di una società semplice

Lo scioglimento della società semplice causa conseguenze reddituali in capo ai soci: a tale riguardo si osserva che:

  • ordinariamente, i redditi percepiti dal socio all’atto della liquidazione delle società [di capitali] costituiscono utili, e sono quantificati come differenza tra le somme percepite – o il valore normale dei beni assegnati – e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione;

  • l’art. 20-bis del TUIR ha esteso questo principio anche ai redditi che si originano dallo scioglimento delle società di persone;

  • il reddito derivante dalla liquidazione [la componente reddituale dell’importo emergente] costituisce reddito di impresa [circolare 13.2.2006, n. 6/E], ma ciò dovrebbe valere per le sole società commerciali;

  • per quanto attiene invece alle società semplici, non commerciali, il reddito generato dalla liquidazione dovrebbe poter rientrare nelle varie distinte categorie reddituali di origine [fondiari, finanziari, etc.].

 

13 aprile 2016

Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 Art. 2249, comma 2, c.c.: «Le società che hanno per oggetto l’esercizio di una attività diversa sono regolate dalle disposizioni sulla società semplice a meno che i soci abbiano voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e seguenti di questo titolo».