Attenzione alle fatture troppo generiche quali ad esempio "servizi professionali", si rischia l'indeducibilità del costo!

se la descrizione della fattura è troppo generica, in caso di controllo potrebbe scattare l’indeducibilità delle fatture considerate generiche ai fini fiscali per il cessionario

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21980 del 28.10.2015, ha stabilito importanti principi in tema di contenuto delle fatture, ai fini della loro deducibilità.

Nel caso di specie, a seguito di un controllo compiuto da propri funzionari, l’Ufficio di Milano notificava ad una società tre distinti atti di contestazione, a mezzo dei quali irrogava le sanzioni previste dall’art. 9. D.1g. 471197 per l’irregolare compilazione delle fatture da essa emesse nei confronti di una s.p.a., stante la generica indicazione del loro oggetto descritto con la locuzione “servizi professionali, magazzinaggio, trasporto, tenuta contabile, marketing e promozione vendite”.

La CTR della Lombardia, a cui aveva proposto appello l’ufficio, avverso la sentenza di primo grado favorevole alla contribuente, rigettava il gravame, ritenendo che, sebbene si dovesse rilevare “l’estrema genericità ed ampiezza della casistica relativa alle prestazioni effettuate“, proprio in funzione di questa caratteristica andavano ritenute “accettabili” le ragioni addotte, secondo cui, trattandosi di collaborazioni correnti in molti anni, la descrizione poteva anche ricomprendere quelle effettivamente prestate nei vari periodi e pertanto anche quelle prestate, nel caso di specie, negli anni 2001, 2002 e 2003.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione sulla base di due motivi.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia eccepiva l’errore di diritto compiuto dal giudice d’appello nell’applicazione dell’art. 21, comma secondo n. 2 del D.P.R. 633/72, vigente ratione temporis, e ciò in ragione del fatto che la descrizione delle prestazioni recata dalle fatture esaminate non poteva considerarsi regolare ai sensi della norma richiamata “data l’estrema genericità delle indicazioni“.

Secondo i giudici di legittimità il motivo era fondato e la sua fondatezza determinava l’assorbimento del secondo motivo, a mezzo del quale la ricorrente intendeva far valere la contraddittorietà della motivazione adottata del provvedimento impugnato, atteso che, una volta riscontrata la genericità ed ampiezza del contenuto delle fatture, i secondi giudici avrebbero dovuto riconoscerne anche la difformità alla legge e, pertanto, confermare le sanzioni irrogate.

Quanto al motivo accolto la Suprema Corte evidenziava pertanto che, com’è noto, le prescrizioni recate dall’art. 21, comma secondo, n. 2, D.P.R. 633/72, sotto l’intitolazione “Fatturazione delle operazioni“, in base alle quali: “Per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili. La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte. La fattura deve essere datata e numerata in ordine progressivo e deve contenere le seguenti indicazioni: … 2) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione“, rispondono ad un’oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, “essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’amministrazione finanziaria e, segnatamente, in questa ottica, a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione ida indicarsi specificandone natura, qualità e quantità”.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, un’indicazione generica dell’operazione fatturata, che, come nella specie, accorpi indistintamente in un’unica descrizione attività assai disparate sotto il profilo del loro contenuti, spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinaggio), ad attività d’ordine (tenuta contabilità), ad attività a più alto contenuto di professionalità (promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi professionali e marketing), non soddisfa le finalità conoscitive che la norma intende assicurare, sicché era da considerarsi conseguentemente errata la decisione del giudice di merito, il quale, peraltro, neppure poteva richiamare il fatto che le parti interessate fossero in relazione d’affari da “molti anni”, valorizzando così un profilo del tutto estraneo alla qualificazione normativa della vicenda.

L’ufficio, quindi, laddove la fatturazione non sia correttamente effettuata, potrà contestare l’inerenza del costo dedotto (il cui onere della prova è, come noto, a carico del contribuente).

Visto, infatti, che il diritto tributario soggiace a regole formali (che tuttavia assumono valore sostanziale) ben precise, in mancanza di corretta documentazione di un costo, lo stesso, difettando il requisito di certezza, non può essere dedotto.

Quindi, senza una documentazione idonea a dare dimostrazione del costo dedotto, il relativo onere potrà essere ripreso legittimamente a tassazione.

E questo in base agli ordinari principi di cui all’art.109 del Tuir, dovendo il contribuente dimostrare la sussistenza die presupposti richiesti per la deducibilità del costo, laddove il primo ed imprescindibile (anche se non sufficiente) mezzo per tale dimostrazione è naturalmente la fattura.

Con riguardo specifico al valore della regolarità formale della fattura, la Sentenza della CGCE dell’8/5/2013 causa C-271/12, ha del resto espressamente negato la detrazione IVA allorquando ci si trovi in presenza di una fattura contenente una descrizione troppo generica delle prestazioni.

Se dunque è vero che senza una fattura ben documentata il costo non potrà essere dedotto, è del resto anche vero che una fattura idoneamente compilata non sarà comunque elemento di garanzia per la deduzione dello stesso costo, dato che, come noto, la regolarità contabile (da considerarsi quindi elemento necessario, ma non sufficiente) non è di alcun limite all’esame da parte del giudice dell’insieme degli indizi gravi precisi e concordanti eventualmente offerti dall’Ufficio per dimostrare la loro inattendibilità sostanziale.

Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti a fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità (non insorgendo il diritto alla deduzione e quello alla detrazione fiscale per il mero fatto dell’indicazione in fattura dell’operazione commerciale: v. C.G. 31.1.2013 in causa C – 642/11, punto 30, e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata), così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate.

Ancora, la sentenza della Corte di Cassazione n.23325/2013, sul valore della fattura, così si esprime: “Ai sensi del Dpr n. 633 del 1972, art. 21, la fattura è, infatti, documento idoneo a rappresentare operazioni rilevanti ai fini fiscali, ma, in presenza di elementi seriamente inducenti a ritenere l’insussistenza di corrispondente prestazione commerciale, perde detta idoneità (non insorgendo il diritto alla deduzione e quello della detrazione fiscale per il mero fatto dell’indicazione in fattura dell’operazione commerciale, v C.G. 31.1.2003 in causa C – 642711, punto 30 e l’ulteriore giurisprudenza ivi richiamata), così determinandosi il passaggio sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni rappresentate (cfr. Cass. n. 6229/13 cit.).”.

Senza però neppure la loro idonea compilazione le fatture rischiano di restare un “pezzo di carta” davvero poco rilevante.

13 gennaio 2016

Giovambattista Palumbo