Regime dei minimi o regime fiscale forfettario di vantaggio: ennesima riforma

il regime dei minimi sarà soggetto ad un’ennesima riforma (almeno così promette il progetto di legge di stabilità 2016) nel tentativo di conciliare le esigenze, inconciliabili, alla semplificazione di piccoli professionisti e piccoli imprenditori con le esigenze di cassa dello stato italiano

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perché c’è un antro che ne magna due

Il Consiglio dei ministri, nella sua seduta del 15 ottobre 2015 di approvazione della prima bozza di legge di stabilità 2016, ha modificato la norma per ampliare l’accesso al regime fiscale forfettario di vantaggio.

Le novità previste

La soglia di ricavi per l’accesso a tale regime viene aumentata di 15.000 euro per i professionisti (portando così il limite a 30.000 euro) e di 10.000 euro per le altre categorie di imprese.

Viene estesa la possibilità di accesso al regime forfettario ai lavoratori dipendenti e pensionati che hanno anche un’attività in proprio a condizione che il loro reddito da lavoro dipendente o da pensione non superi i 30.000 euro.

Per l’apertura di nuove imprese viene previsto un regime di particolare favore con l’aliquota che scende dall’attuale 10% al 5% applicabile per 5 anni (anziché 3 anni).

Le prime valutazioni

La ristrutturazione dei regimi utilizzabili per imprenditori e professionisti di piccole e piccolissime dimensioni era attesa, anche perchè promessa ad inizio 2015, in quanto il nuovo regime forfettario per i contribuenti di minori dimensioni previsto della Legge di stabilità 2015 aveva fortemente deluso, soprattutto i professionisti. Vediamo ora i possibili vantaggi e le criticità della nuova proposta legislativa.

I vantaggi

1) In particolare il regime prevedeva un limite di fatturato per i liberi professionisti irrealistico: il limite dei ricavi era (è) di 15.000 euro annuali; appare evidente che salvo casi particolari tale limite di fatturato impone al professionista un reddito disponibile al disotto della soglia di sopravvivenza.

La versione demo 2016 (visto che ora si iniziano i passaggi parlamentari) ritorna indietro e riporta (per i professionisti) il limite di fatturato per accedere al regime di vantaggio al vecchio limite di 30mila euro previsto in origine per il regime dei minimi ed innalza di 10mila euro le soglie massime di fatturato previste nel 2016 per le altre categorie di contribuenti dal nuovo regime forfettario.

2) Inoltre la proposta di inserita nella legge di stabilità 2016 prevede la possibilità di utilizzare tale regime agevolato in presenza di contemporanei contratti di lavoro dipendente o di percepimento di assegno pensionistico solo quando il reddito da lavoro dipendente o assimilato è inferiore a 30mila euro.

Anche questa previsione sembra chiarire un aspetto oscuro del regime forfettario del 2015: quello della prevalenza del reddito da lavoro dipendente o assimilato sul reddito da impresa/lavoro autonomo. Se il parametro diventa un limite monetario quantificato con certezza è più facile per gli operatori muoversi per una pianificazione contabile e fiscale.

3) Viene unificata l’agevolazione previdenziale ai fini INPS con la previsione di uno sconto del 35% rispetto a quanto dovuto senza agevolazioni dai contribuenti che utilizzano il normale regime Iva. Se questa norma può pesare sui contribuenti assoggettati ai minimali contributivi INPS, concede tuttavia uno sconto ai contribuenti iscritti alla Gestione Separata.

4) Il regime è naturale; pertanto sarà utilizzabile da tutti i piccoli contribuenti con partita Iva a prescindere dall’anzianità della partita IVA: si ritorna all’impianto originario del “vecchissimo” regime dei minimi. In pratica tutti i contribuenti che ne hanno i requisiti (oggettivi e soggettivi) possono accedere al regime, per i contribuenti che aprono una partita Iva vi è l’aliquota di favore al 5% per i primi 5 anni.

Gli svantaggi

La revisione del regime continua a nascondere delle aree critiche.

1) Il regime viene presentato come una soluzione che permette ai contribuenti di azzerare i costi di gestione contabile, ma in realtà non è vero; il contribuente che aderirà al nuovo regime forfettario dovrà comunque presentare il modello UNICO, liquidare i contributi previdenziali ed effettuare i versamenti con modalità telematica… Il rischio è che la proposta legislativa nasconda una pillola amara per i contribuenti: l’assistenza sarà ridotta e sarà più economica rispetto a chi liquida l’IVA trimestralmente, ma un compenso ai fiscalisti sarà dovuto in base alle attività svolte. Avevamo già segnalato sulle nostre pagine il problema delle ritenute d’acconto da non effettuare (leggi articolo del 7 ottobre scorso) e dell’eventuale iscrizione al MOSS (leggi articolo del 16 ottobre scorso).

2) La supersemplificazione appare quasi controproducente: in assenza di un regime intermedio vi è il rischio che il contribuente che aderisce a tale regime si trovi in difficoltà in fase di uscita: ad esempio, se un contribuente libero professionista fattura 29.800 euro all’anno continua a mantenere il diritto al regime di favore, se ne fattura 30.100 è “condannato” ad un regime con molti più adempimenti, un maggior carico fiscale e contributivo ed un maggior costo burocratico a fronte di un incremento reddituale esiguo o inesistente.

3) La forfettizzazione del reddito nasconde un’ingiustizia di base: il regime ragiona come la media del pollo di Trilussa, quindi il contribuente calcolerà la ridotta imposta sostitutiva ed i contributi previdenziali non in base al reddito prodotto, ma in base al reddito stimato dal fisco per via tabellare. Appare evidente che i contribuenti con spese maggiori vengono palesemente penalizzati, mentre sono agevolati quelli che hanno spese per produzione del reddito basse.

4) La gestione dei contributi previdenziali lascia aperte due questioni: la prima è quella dei liberi professionisti iscritti a Cassa di Previdenza, che non sono soggetti a riduzione a differenza degli iscritti INPS. La seconda riguarda gli esiti previdenziali: la riduzione dei contributi versati darà un beneficio momentaneo al contribuente, ma avrà pesanti ripercussioni sulle future prestazioni pensionistiche.

20 ottobre 2015

Luca Bianchi