Le novità in materia di raddoppio dei termini per l’accertamento: i termini ordinari, i termini già decorsi, le innovazioni, le criticità

in presenza di violazioni comportanti l’obbligo di denuncia per reati tributari, il legislatore ha disposto il raddoppio degli ordinari termini decadenziali per l’accertamento: ecco tutte le regole aggiornate per capire il funzionamento del meccanismo del raddoppio dei termini

 

Aspetti generali

In presenza di violazioni comportanti l’obbligo di denuncia per reati tributari, il legislatore ha disposto il raddoppio degli ordinari termini decadenziali per l’accertamento.

La questione, alla quale si ricollegano non poche problematiche interpretative e applicative, è stata spesso oggetto delle riflessioni dei giudici in sede di merito e di legittimità e ha trovato alcuni essenziali chiarimenti nelle circolari dell’Agenzia delle Entrate.

Con il c.d. decreto certezza del diritto – o decreto abuso [D.Lgs. 5.8.2015, n. 128] -, attuativo della legge delega n. 23/2014, è stata modificata la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento in caso di violazioni penali, stabilendo che il raddoppio non opera se la denuncia viene presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini.

I termini di decadenza ordinari

In via ordinaria, gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, e gli avvisi di rettifica ai fini dell’IVA, devono essere effettuati entro il 31dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione1.

Questo termine si applica alle ipotesi di infedele dichiarazione, cioè quando la rappresentazione fornita dal contribuente nella dichiarazione fiscale è difforme rispetto a quanto viene accertato dall’ufficio fiscale.

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla (ai fini IRES-IRPEF/IRAP/IVA), l’avviso di accertamento può essere invece notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

La previsione di specifici termini decadenziali per l’esercizio delle attività di accertamento risponde a concrete esigenze di garanzia nei confronti dei contribuenti, che non possono essere assoggettati a un potere di rettifica indeterminato nel tempo.

I termini di decadenza si legano altresì alle norme che prevedono, ad esempio, la possibilità di impiego fiscale delle perdite a scomputo del reddito degli esercizi successivi a quello di formazione, etc., nel cui contesto scatta un vincolo di inutilizzabilità se si esce dal periodo soggetto al potere di rettifica dell’amministrazione.

Fino alla scadenza di tali termini le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi2.

Il raddoppio dei termini

L’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 è stato integrato a opera dall’art. 37, comma 24, del D.L. n. 223/ 2006 [c.d. Visco-Bersani], convertito in L. n. 248/2006, con la previsione che, in caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia per reati tributari a norma dell’art. 331 del c.p.p., i termini ordinari «sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione». L’identica previsione è stata inserita nel testo dell’art. 57, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, relativamente ai termini valevoli in ambito IVA.

Tali disposizioni sono applicabili a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del suddetto decreto-legge (4.7.2006) erano ancora pendenti i termini ordinari.

Secondo quanto ha puntualizzato l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 28/E del 4.8.2006, la norma ha il fine di garantire all’amministrazione, a fronte di fattispecie che assumono rilevanza penale, l’utilizzabilità degli elementi istruttori per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto a pena di decadenza per l’accertamento.

È stato al riguardo osservato che l’art. 331 del c.p.p. si occupa delle ipotesi in cui i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno notizia di un reato perseguibile d’ufficio nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, con il derivante obbligo di farne denuncia per iscritto.

In tali ipotesi l’amministrazione può notificare gli avvisi di accertamento:

  • in caso di dichiarazione infedele, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione;

  • in caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

L’ampliamento dei termini vale solamente per il periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione penale, mentre non si estende ad altri periodi d’imposta, per i quali continuano ad applicarsi gli ordinari termini per l’accertamento.

 

La notizia di reato

L’esigenza di ampliare i termini per l’esercizio dell’attività di accertamento è sorta dalla necessità di coordinare i tempi necessari all’ufficio per la formalizzazione e la notificazione delle rettifiche e delle sanzioni con quelli più ampi concessi all’Autorità Giudiziaria per procedere in caso di fattispecie aventi rilevanza penale.

Ci si trova qui in un’area caratterizzata da comunicazioni bilaterali, tra uffici fiscali e giudiziari [accertamenti con rilievi penali e condotte penalmente rilevanti con riflessi fiscali], ma dall’asimmetria sia dei tempi che delle modalità istruttorie.

Le fattispecie in vista delle quali il legislatore ha inteso garantire l’attività amministrativa di accertamento, sono di seguito individuate:

  1. attività di polizia tributaria e/o giudiziaria posta in essere dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate o dai reparti della G.d.F., nel corso delle quali sia sorto l’obbligo di trasmissione della notizia di reato all’A.G.;

  2. trasmissione dall’A.G. agli uffici dell’Agenzia delle Entrate degli elementi di provenienza penale ritenuti di interesse tributario ai fini dell’accertamento.

Per quanto riguarda le ipotesi del primo tipo, può affermarsi che, per le fattispecie di reato che hanno come elemento costitutivo l’evasione dell’imposta oltre le soglie normativamente previste, la notizia di reato sorge dopo aver delineato la posizione reddituale del contribuente, che ha permesso di determinare l’imposta evasa: solo in tale momento nasce per i verificatori l’obbligo di informare la Procura della Repubblica3.

Nei casi dubbi, per le conseguenze che ne derivano, è quindi sicuramente opportuno, che i verificatori, prima di informare il P.M., sentano l’ufficio territorialmente competente (per i funzionari civili, si tratterà semplicemente di acquisire in sede «interna», ossia dall’ufficio, le informazioni necessarie sulla quantificazione delle imposte).

Nei casi non ancorati a soglie di evasione [ci si riferisce alle fattispecie previste dagli artt. 2, 8, 10 e 11 del D.Lgs. n. 74/2000], la notizia di reato deve essere invece inviata immediatamente, all’insorgenza dei primi indizi di reato.

La trasmissione senza ritardo della notizia di reato fa capo ai funzionari delegati alla firma degli atti impositivi. Se però l’ipotesi di reato è rilevata in sede di verifica, tutti i componenti il nucleo devono sottoscrivere la denuncia; in tal caso, l’obbligo della trasmissione della notizia di reato sorge nel momento della constatazione del fatto costituente reato4.

La prassi interpretativa

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 54/E del 23.12.2009 ha focalizzato le problematiche interpretative riguardanti i casi in cui:

  • le indagini penali si concludano con un decreto di archiviazione;

  • in presenza di un rinvio a giudizio, il processo si concluda con una sentenza di proscioglimento (non luogo a procedere, non doversi procedere o assoluzione).

La pronuncia di prassi conferma che, in base alla testuale formulazione della norma (e tenendo conto dell’art. 12 delle «preleggi»), l’ampliamento dei termini opera «a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale che consegua alla denuncia».

Inoltre, «anche utilizzando il diverso – e sussidiario – criterio interpretativo della mens legis, ossia della finalità della disposizione, si giunge alle medesime determinazioni, non sembrando ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia del procedimento tributario di accertamento – e delle risultanze istruttorie ivi raccolte – al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la pronuncia di condanna penale del contribuente».

A ciò può aggiungersi la considerazione che il raddoppio del termine decadenziale non rappresenta un’ulteriore sanzione (oltre a quelle specificamente previste dalle norme sanzionatorie penali e amministrative), bensì (come illustrato dalla prassi e sopra rammentato) una garanzia di utilizzabilità (per il fisco) degli elementi emergenti in seno all’istruttoria e al procedimento penale.

A tale riguardo l’Agenzia valorizza il principio del «doppio binario», ossia della separazione netta tra il procedimento amministrativo di accertamento e il procedimento penale (ex art. 20, D.Lgs. n. 74/2000).

 

In breve: il decreto sanzioni del 2015

La legge-delega fiscale [L. 11.3.2014, n. 23] ha previsto la revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, prevedendo in particolare la configurazione di ipotesi di reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa.

Sono state inoltre previste una più puntuale definizione delle fattispecie di elusione ed evasione fiscale [abuso del diritto] e delle relative conseguenze sanzionatorie, nonché la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo, al fine di correlare meglio le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti.

Con il D.Lgs. 24.9.2015, n. 158, relativo alla revisione del sistema sanzionatorio [decreto sanzioni], emanato in attuazione della delega, è stato posto in essere un intervento di sensibile modifica dell’impianto sanzionatorio amministrativo e penale.

Con riferimento alle fattispecie penali, il decreto ha previsto un inasprimento delle condotte fraudolente [pene più severe per l’omessa presentazione della dichiarazione, l’occultamento o distruzione di scritture contabili e l’indebita compensazione di crediti inesistenti; è stato inoltre introdotto il reato di omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta] e un alleggerimento di quelle ritenute meno gravi [ad esempio, sono elevate le soglie di punibilità, da 50 mila a 250 mila, per l’omesso versamento dell’Iva, da 50 mila a 150 mila euro per la dichiarazione infedele, da 30 mila a 50 mila per l’omessa dichiarazione].

Sono state inoltre circoscritte le definizioni di «documenti falsi», di «mezzi fraudolenti» e di «operazioni simulate».

La disciplina penale della dichiarazione infedele è stata attenuata: non sono infatti più punibili penalmente le valutazioni che, singolarmente considerate, si scostano in misura inferiore al 10% da quelle corrette.

È stata prevista la non punibilità in caso di assolvimento del debito tributario prima del dibattimento, per i reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento delle ritenute e dell’IVA; in caso di pagamento del debito per gli altri reati le pene sono diminuite fino alla metà e non vengono applicate le pene accessorie e le circostanze aggravanti.

Anche la possibilità di far operare il raddoppio dei termini per l’attività di accertamento deve ora essere coordinata con le predette novità intervenute in tema di sanzioni, con riferimento, chiaramente, alle attività di controllo formalizzate nella vigenza delle disposizioni innovate dal decreto sanzioni [la cui entrata in vigore è fissata al 22 ottobre 2015].

 

I termini già decorsi

La Corte Costituzionale è intervenuta in materia con la sentenza n. 247 del 25.7.2011, la quale ha sostanzialmente chiarito che il raddoppio dei termini conseguente alla presenza di violazioni penali deve ritenersi legittimo anche se gli elementi integranti il fumus di reato emergono in un momento in cui gli ordinari termini per l’accertamento sono già decaduti.

Secondo la Consulta, in realtà la normativa in esame non proroga, né riapre, termini decadenziali ormai scaduti.

I termini raddoppiati infatti, secondo la Corte, sono «termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione».

Insomma, agli uffici non è stato attribuito il potere di far «rivivere» i «poteri di accertamento ormai esauriti», giacché «i termini “brevi” e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi termini di accertamento».

Quanto ai termini per la conservazione dei documenti contabili, che vengono coinvolti nella questione di legittimità costituzionale, osserva la Corte che:

  • l’obbligo di conservazione delle scritture contabili non sussiste solamente fino alla scadenza del termine ordinario per l’accertamento, bensì per tutta la durata rispettivamente consentita dal terzo comma dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dal terzo comma dell’art. 57 del decreto IVA;

  • il termine «raddoppiato» concesso agli uffici in presenza di violazioni penali non deve ritenersi né indeterminato né irragionevolmente ampio, dato che: a) esso è determinato in modo in equivoco dalla normativa; b) esso è di poco superiore al termine di prescrizione dei reati tributari (sei anni), «e la sua entità è adeguata a soddisfare la ratio legis di dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari, i quali, avendo rilevanza penale, sono stati non ingiustificatamente ritenuti dal legislatore particolarmente gravi e, di norma, di complesso accertamento».

Come risulta dalla logica delle affermazioni della Corte, il termine raddoppiato si rivela quindi particolarmente funzionale a consentire l’esercizio delle attività di rettifica ai fini amministrativi tributari nelle more del procedimento penale avente a oggetto reati tributari.

Quanto all’asserita arbitrarietà del potere dell’amministrazione di «dilatare» i termini per l’accertamento, secondo quanto è affermato dalla Consulta «il raddoppio non consegue da una valutazione discrezionale e meramente soggettiva degli uffici tributari, ma opera soltanto nel caso in cui siano obiettivamente riscontrabili, da parte di un pubblico ufficiale, gli elementi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgenza dell’obbligo di denuncia penale».

Tale obbligo, secondo la «costante giurisprudenza della Corte di cassazione», «sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione o di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita».

Inoltre il pubblico ufficiale, che acquisisca la notitia criminis nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia, ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia (omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale).

La sussistenza del reato viene sottoposta al controllo delle giurisdizioni tributarie (c.d. «prognosi postuma»), nell’ambito del quale è verificata la ricorrenza del reato stesso, «accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento».

Le innovazioni del 2015

In forza di quanto disposto dall’art. 2 del sopra richiamato D.Lgs. n. 128/2015 [«Modifiche alla disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento»], con entrata in vigore il 2.9.2015:

 

1. All’articolo 43, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti.».

2. All’articolo 57, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti.».

3. Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015.

4. Ai fini della causa di non punibilità di cui all’articolo 5-quinquies, commi 1 e 2, del decreto-legge 26 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, si considerano oggetto della procedura di collaborazione volontaria anche gli imponibili, le imposte e le ritenute correlati alle attività dichiarate nell’ambito di tale procedura per i quali è scaduto il termine per l’accertamento.

L’articolo in esame, innovando sia l’art. 43 del decreto accertamento, sia l’art. 57 del decreto IVA, esclude il raddoppio dei termini per le rettifiche in caso di reato tributario se la denuncia da parte dell’amministrazione finanziaria è stata presentata o trasmessa all’autorità giudiziaria oltre la scadenza ordinaria dei termini.

La norma esplicita tuttavia che vengono fatti salvi gli effetti degli atti impositivi notificati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame.

Le criticità rilevate

Come è facile osservare, le innovazioni del 2015 sono orientate, più che a salvaguardare indefinitamente i poteri di accertamento, a garantire ai contribuenti condizioni di certezza del diritto e di serenità mediante il ripristino del termine assegnato dalla legge per la chiusura delle attività di accertamento.

Questo tipo di scelta si inserisce nel complessivo riorientamento manifestato dalla delega e dai relativi decreti attuativi, in direzione «pro-attiva» rispetto allo sviluppo economico del Paese, ottenendo anche l’effetto di consolidare le garanzie complessive connesse all’attività di controllo [con riacquisto di una nuova centralità anche per lo Statuto del contribuente].

Secondo quanto è stato posto in luce in dottrina5, l’innovazione normativa del 2015 si pone in aperto contrato, superandolo, rispetto all’orientamento espresso dalla Consulta con la citata sentenza n. 247/2011, la quale aveva ritenuto compresenti, nell’ambito della disciplina sulla decadenza dell’azione impositiva, due termini autonomi ed indipendenti: quello breve e quello lungo ab origine, a seconda dell’esistenza o meno dell’obbligo di denuncia.

La novella legislativa chiarisce invece che, allo stato, esiste un solo termine, che può essere eventualmente prorogato (raddoppiato), ma solo prima della sua consumazione.

È stato inoltre rilevato che secondo il nuovo testo degli articoli citati la denuncia ex art. 331 c.p.p. non può più essere meramente potenziale, ma deve essere effettiva [dovendo essere effettivamente presentata o trasmessa]. È chiaro tuttavia che il riscontro sulla concreta sussistenza della fattispecie di reato non rientra nelle competenze dell’amministrazione finanziaria, bensì in quello dell’AG, che può avvalersi del supporto tecnico della polizia giudiziaria e tributaria.

La presentazione della notizia di reato deve avvenire anteriormente al decorso dei termini di accertamento, con l’onere in capo all’Agenzia delle Entrate [se intende avvalersi del raddoppio dei termini] di dimostrare la tempestività ed effettività nella presentazione della denuncia.

La denuncia deve essere presentata o trasmessa dalla sola amministrazione finanziaria – Agenzie fiscali e G.d.F. – , e non se la denuncia per un reato tributario viene inoltrata da un soggetto (ancorché istituzionale) differente.

Nel nuovo contesto, secondo quanto è stato rilevato6, sembrano venir meno le ragioni del raddoppio, giacché se l’amministrazione è in grado di inoltrare la notizia di reato entro il termine ordinario vuol dire che dispone già di elementi sufficienti e quindi è anche in grado di chiudere l’accertamento [rendendosi necessario forse un breve lasso temporale aggiuntivo, ma non il decorso di altri quattro o cinque anni che oltretutto potrebbero compromettere la tutela delle ragioni erariali].

A parere di chi scrive, la lettura contestuale della legge-delega, del decreto delegato e dei relativi lavori preparatori consente di riaffermare quanto detto sopra relativamente all’esigenza di approntare una fiscalità di sviluppo e di liberare il sistema da marchingegni normativi apparentemente utili in funzione anti-evasione ma in realtà pregiudizievoli per le garanzie e i diritti (certi) che devono accompagnare le attività economiche e non stabilire una anacronistica sudditanza nei confronti dello Stato.

19 ottobre 2015

Fabio Carrirolo

 

1 Cfr., per le imposte sui redditi, l’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, come modificato dal D.Lgs. 9.7.1997 n. 241, e per l’IVA l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972.

2 Gli uffici dell’Agenzia delle Entrate emettono normalmente avvisi di accertamento unici e globali con riferimento a uno specifico periodo di imposta, ma hanno la possibilità di emettere accertamenti successivi – sia ai fini IVA (art. 54, co. 3, D.P.R. 633/1972) che delle imposte sui redditi (art. 43, co. 3, D.P.R. 600/1973) – in presenza delle seguenti condizioni:

  • conoscenza sopravvenuta rispetto al momento di emissione dell’accertamento di nuovi elementi ma sempre entro i termini di decadenza;

  • notifica dell’accertamento integrativo entro gli ordinari termini di decadenza;

  • indicazione nell’atto, a pena di nullità, dei nuovi elementi (nonché degli atti o fatti per mezzo dei quali l’ufficio ne ha avuto conoscenza).

L’accertamento nullo non può però essere integrato o modificato, poiché un atto nullo non può essere sanato ma eventualmente solo rinnovato con effetto ex nunc.

La sopravvenuta conoscenza dei nuovi fatti, che legittima il nuovo accertamento, deve essere riscontrata con riferimento alla data di notifica dell’accertamento in rettifica e non alla data anteriore in cui è redatto e sottoscritto l’atto di rettifica (Cass. 11.4.1995 n. 4164; C.M. 23.5.1978 n. 23).

Per quanto chiarito dalla C.M. 1.8.2000, n. 150, l’avviso di accertamento o di rettifica integrativo o modificativo in aumento deve essere sempre corredato dell’avviso precedentemente notificato.

3 Cfr. sul punto la circolare del Comando Generale della G.d.F. n. 1/2008.

4 Ci si riferisce alla circolare ministeriale n. 154/2000.

5 Cfr. D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 – Profili di criticità e dubbi di opportunità nella revisione del raddoppio dei termini, di Andrea Carinci e Dario Deotto (in “il fisco” n. 36 del 28 settembre 2015, pag. 3407)].

6 Cfr. Carinci – Deotto, cit.