E' illegittimo l'avviso di accertamento emesso entro i 60 giorni dalla notifica del PVC

l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé (salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza) l’illegittimità dell’atto impositivo

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10584 del 22 maggio 2015, in linea con quanto già affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 18184 del 2013, ha stabilito che la disposizione di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, c. 7, laddove dispone che “l’avviso … non può essere emanato prima della scadenza…“, deve essere interpretata nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé (salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza) l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, trattandosi di termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi (di derivazione costituzionale) di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

 

In particolare è stato chiarito (cfr. Cass. n. 6057/2015) che il vizio invalidante non consiste tanto nella omessa enunciazione dei motivi di urgenza che hanno determinato l’emissione anticipata dell’atto, bensì nell’effettiva assenza di specifiche ragioni di urgenza, riferite al rapporto tributario controverso e non identificabili tout court nell’imminente spirare del termine di decadenza, pena l’inammissibile effetto di una generalizzata convalida di tutti gli atti in scadenza, quando è invece dovere dell’amministrazione attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Inoltre, la concreta ricorrenza, all’epoca dell’emissione, di detto requisito esonerativo dall’osservanza del termine, deve essere provata dall’Amministrazione interessata, la quale deve adire specifiche motivazioni, senza che neppure rilevi, per esempio, come nella caso affrontato dalla sentenza in commento, la generica affermazione per cui l’urgenza si evincerebbe dalla rilevanza delle somme e dalle circostanze penalmente rilevanti, trattandosi in realtà di aspetti che non escludono di per sé l’esigenza del contraddittorio preventivo e quindi inidonei a far ritenere l’urgenza in re ipsa.

 

Si evidenzia comunque, a tal proposito, che l’art. 12 L. 212/2000, nel fissare il termine di 60 giorni dal processo verbale di constatazione per l’emissione dell’avviso di accertamento, si riferisce specificamente ed esclusivamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali svolti nei locali destinati all’esercizio delle attività.

Il termine non rileva invece nel caso di un processo verbale di contraddittorio, a conclusione di un incontro avvenuto nell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate a seguito di invito a comparire.

In materia di ispezioni fiscali i diritti e gli obblighi dei contribuenti sono infatti individuati dallo Statuto dei diritti del contribuente, che enuncia i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifica.

In particolare, le disposizioni dell’art. 12, cc. 1 e 3, non sono volte però a garantire l’instaurazione del contraddittorio anticipato e l’esercizio dei diritti di difesa, quanto piuttosto a definire un’equilibrata composizione delle contrapposte esigenze delle parti attinenti alle concrete modalità di espletamento della verifica.

Il comma 1 dell’art. 12 della L. 212/2000, del resto, stabilisce che gli accessi si svolgono durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse, nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente, dando dunque per scontato che questi si svolgano nei locali dell’azienda.

 

La ragione, come anche affermato dalla Cassazione, con la sentenza n. 7957 del 4 aprile 2014, sta nel fatto che, in questi casi, lo Statuto fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, dando spazio ad una specifica esigenza di contraddittorio, e ciò in quanto, in queste ipotesi, è l’Amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili verificare.

Affinchè possa rilevare il termine dei 60 giorni dalla notifica, tale potere di impulso deve svolgersi appunto fuori dall’Ufficio.

Vero è che, come a suo tempo affermato dalla stessa Corte, con Ordinanza n. 19875 del 18 luglio 2008, anche in caso di notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, c. 7, L. n. 212/2000, resta comunque garantito al contribuente il diritto di difesa in via amministrativa (autotutela) e giudiziaria (ricorso alla Commissione tributaria).

E vero è che l’art. 12 citato non prevede, a differenza di quanto avviene per altre violazioni (v. artt. 6, c. 5, e 11, c. 2, L. 212/2000), la sanzione espressa di nullità, potendosi evincere, anche dai lavori preparatori della norma, come il legislatore non avesse voluto infliggere tale sanzione, essendo stato a suo tempo infatti respinto un emendamento diretto a inserire espressamente la nullità dell’atto come conseguenza della violazione del termine de quo.

 

Ma, come già affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10573/2010, vige comunque nel nostro Ordinamento un principio generale, per cui eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario quando, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo.

Pregiudizio nel caso di specie individuato dalla Corte proprio nella mancata garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, e quindi della violazione di quei principi costituzionali di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente, finalizzati, anche nell’interesse pubblico, al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Anche l’Ordinanza della Corte Costituzionale n. 244/2009 conferma del resto l’applicabilità della disciplina delle nullità della L. 241/90 agli atti tributari.

E questo non sotto il profilo della nullità strutturale di omissione della motivazione sull’aspetto contestato, laddove l’art. 42 DPR 600/73 sanziona espressamente con la nullità la carenza della sola “motivazione di cui al presente articolo”, ovvero afferente gli elementi essenziali dell’atto, come indicato al comma 2 dell’art. 42 cit.

 

Nel caso di specie infatti la carenza motivazionale attiene comunque ad un obbligo contenuto aliunde ed in ogni caso, come ancora specificato dalla Corte nella sentenza in commento, il vizio invalidante non consiste nella omessa enunciazione dei motivi di urgenza, bensì nell’effettiva assenza di specifiche e rilevanti ragioni di urgenza.

Trova dunque semmai applicazione la disciplina di cui all’art. 21 octies L. 241/90, valevole per tutti gli atti amministrativi, secondo cui è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora il suo contenuto avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Garantire quella fase procedimentale di precontraddittorio e dunque l’idonea valutazione delle ragioni eventualmente addotte dal contribuente, potrebbe infatti determinare un atto dal contenuto diverso (o addirittura determinare la mancata emissione di quell’atto).

Come noto, del resto, non vi è automatismo nella trasposizione del PVC (atto istruttorio) nell’accertamento (atto impositivo) e dunque la violazione del termine de quo potrebbe avere effetti concreti sul contenuto dell’atto, rilevando quindi, per tale motivo, anche sotto il profilo dell’eventuale nullità.

14 ottobre 2015

Giovambattista Palumbo