La responsabilità tributaria dell'amministratore della società, anche se "di fatto"

la responsabilità per atti di ‘mala gestione’ tributaria non ricade solo sugli amministratori in carica di una società di capitali, ma anche sul soggetto che formalmente non ha incarichi ma che tuttavia agisce in qualità di amministratore di fatto

 

Aspetti generali

L’art. 11 del DLgs. 472/97, nella parte in cui prevede una responsabilità solidale tra l’ente e l’autore materiale del fatto, è stato implicitamente abrogato per le società dotate di personalità giuridica dall’art. 7 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito dalla L. 24.11.2003, n. 326.

Secondo la disposizione normativa da ultima citata, nel caso di violazioni tributarie facenti capo a società dotate di personalità giuridica le sanzioni possono essere irrogate solo nei confronti della stessa, e non delle persone fisiche che le hanno materialmente commesse.

In attuazione di tale principio sono state annullate le sanzioni irrogate nei confronti dell’amministratore di fatto di una società di capitali (sentenza Cass. 10.6.2015 n. 12007).

Le disposizioni di riferimento

La disciplina generale in materia di sanzioni amministrative tributarie, i cui principi sono incardinati nel D.Lgs. n. 18 dicembre 1997 n. 472, delinea un profilo soggettivo dell’illecito tributario fondato sul principio di responsabilità personale, sull’imputabilità e sulla colpevolezza dell’autore materiale della violazione.

Nel quadro del sistema sanzionatorio introdotto dalla riforma del 1997, di chiara derivazione penalistica, l’illecito non è più riferibile al contribuente in quanto tale (soggetto passivo dell’obbligazione tributaria), bensì alla persona fisica che ha materialmente commesso la violazione.

In particolare per le imprese e le società, il contribuente e l’autore della violazione possono infatti essere diversi, fatta salva la responsabilità solidale del contribuente per il pagamento della sanzione nel caso di cui all’art. 11.

Con l’art. 7 del D.L. 30.9.2003, convertito con modificazioni dalla L. 24.11.2003, n. 326, è stato ribaltato il principio della diretta sanzionabilità dell’autore della violazione, con riferimento alle società ed enti con personalità giuridica; in luogo del manager viene quindi colpita la società, in quanto presumibile beneficiaria dall’illecito fiscale commesso.

I principi in materia di sanzioni

In forza del principio di legalità, pienamente accolto nella normativa sanzionatoria vigente (art. 3, D.Lgs. n. 472/1997):

  • nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione;

  • salvo diverse disposizioni di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile;

  • se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato;

  • se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, è applicata la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.

A questo principio si collega l’ulteriore canone del favor rei, secondo il quale la sanzione non può essere applicata per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più violazione punibile.

L’autore diretto

Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione; l’articolo 11, comma 2, aggiunge che, fino a prova contraria, si presume autore della violazione colui che ha sottoscritto o compiuto gli atti illegittimi.

L’autore della violazione deve essere capace di intendere e volere (art. 4, principio di imputabilità), mentre le violazioni commesse devono essere coscienti e volontarie, caratterizzate da dolo o colpa (art. 5, principio di colpevolezza).

L’autore mediato

Per disposto dell’unico comma dell’articolo 10 del D.Lgs. n. 472/1997, chi:

  • con violenza;

  • (o) minaccia;

  • (o) inducendo altri in errore incolpevole;

  • (ovvero) avvalendosi di una persona incapace, anche in via transitoria, di intendere e di volere;

causa la commissione di una violazione, ne risponde in luogo del suo autore materiale.

Il concorso di persone

L’art. 9 si occupa dell’ipotesi del concorso di persone, la quale ricorre quando più persone commettono congiuntamente la violazione; in tale evenienza, ciascun autore concorrente nell’illecito soggiace alla sanzione prevista.

Se si tratta di consulenti la cui opera è stata necessaria alla commissione dell’illecito, la responsabilità a titolo di concorso sussiste solo quando questi, nel dare la soluzione a quesiti di particolare complessità, sono stati d’accordo con i contribuenti per violare le norme tributarie, agendo con dolo o colpa grave (art. 5, primo comma, secondo periodo).

La solidarietà nelle sanzioni

La formulazione dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 472/1997, nel testo tuttora vigente, fatte salve le parti implicitamente abrogate dal succitato articolo 7 del D.L. n. 269/2003, individua i responsabili per la sanzione amministrativa, disponendo che, nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo sia commessa:

  • dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo ufficio o del suo mandato;

  • (ovvero) dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione o ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze;

la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali l’autore della violazione ha agito sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo l’eventuale esercizio del diritto di regresso.

È stata accolta una nozione estensiva di «dipendenti», secondo la quale sono ricompresi nelle previsioni dell’art. 11 tutti coloro che si trovino nella condizione di agire nell’interesse del contribuente (cfr. circolare ministeriale 10.7.1998, n. 180/E.)

Ai sensi dell’art. 14, nella cessione d’azienda il cessionario è altresì responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due anni precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca antecedente.

Infine, l’art. 15 si occupa delle ipotesi di operazioni straordinarie (trasformazione, fusione e scissione) poste in essere da società, disponendo che la società o l’ente che risulta dalla trasformazione o dalla fusione, anche per incorporazione, subentra negli obblighi delle società trasformate o fuse relativi al pagamento delle sanzioni; inoltre, nei casi di scissione anche parziale di società od enti, ciascuna società od ente è solidalmente obbligato al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale decorrono gli effetti della scissione.

La responsabilità della persona giuridica

Secondo l’art. 7 del menzionato D.L. n. 269/2003:

«1. Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica;

2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto.

3. Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili».

Con le modificazioni normative apportate dal citato decreto legge del 2003 si è registrato un ritorno alla situazione anteriore alla riforma del sistema delle sanzioni amministrative tributarie, con un disallineamento rispetto all’impostazione propria del diritto penale e la contestuale affermazione di un’impostazione risarcitoria anziché afflittiva dell’universo sanzionatorio tributario.

La previsione dell’art. 7, c. 1, del decreto legge non ha tuttavia realizzato un completo ritorno al passato, dal momento che la sua operatività è limitata alle società e agli enti con personalità giuridica.

Al di fuori di questo ambito soggettivo, di conseguenza, è rimasto in vigore il principio di personalità delle sanzioni previsto dall’art. 2, c. 2, del D.Lgs. n. 472/1997, il quale risulta applicabile nei confronti degli amministratori e dei soci delle società prive di personalità giuridica, nonché dei dipendenti di dette società e delle persone fisiche.

La controversia

La sentenza della Corte di Cassazione n. 12007 del 10.6.2015 trae origine da alcuni avvisi di accertamento e atti di irrogazione di sanzioni a carico delle società Alfa S.r.l. unipersonale e Beta S.r.l. in liquidazione, che condividevano il medesimo amministratore di fatto (C.S.).

Le suddette società erano state individuate dagli accertatori come «cartiere», non dedite a una reale attività economica e strumentali a operazioni fraudolente.

Tutti gli accertamenti erano stati confermati dalla CTR, che aveva affermato la qualità di amministratore di fatto di C. S. e la riferibilità al medesimo di tutte le operazioni fittizie riconducibili alle società, con la conseguente responsabilità di carattere fiscale.

La medesima CTR aveva però dichiarato l’illegittimità degli avvisi di accertamento induttivo ai fini IRPEG e IRAP, affermando la contraddittorietà dell’iter logico adottato, in quanto l’ufficio pur avendo accertato che le fatture emesse si riferivano a operazioni inesistenti aveva utilizzato quelle stesse fatture come base per l’accertamento del reddito.

L’amministrazione finanziaria invece avrebbe dovuto procedere, a fronte dell’inattendibilità o della mancanza delle scritture contabili, ad accertamento sintetico ricostruendo maggiori ricavi, indicando gli elementi sulla base dei quali aveva proceduto a determinare la base imponibile: tali elementi non potevano essere i medesimi che erano stati accertati come fittizi.

Aveva invece affermato la legittimità dell’accertamento relativamente alle violazioni IVA, ritenendo provata la sussistenza di un sistema illecito riconducibile al C. S., costituito mediante la creazione di società finalizzate all’emissione di fatture fittizie.

C. S. inoltre, secondo la CTR, non doveva rispondere delle sanzioni (connesse alle violazioni formali irrogate per la mancata presentazione della denuncia di cessazione della società Alfa nonché all’omessa tenuta delle scritture contabili e alla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali di ambedue le società), in quanto non aveva tratto beneficio dalle condotte omissive, «ed esse non erano in ogni caso a lui imputabili, posto che egli non avrebbe potuto in ogni caso sottoscrivere documenti fiscali di competenza dell’ amministratore formale delle società».

L’Agenzia delle Entrate, attraverso l’Avvocatura dello Stato, aveva ricorso per cassazione, cui il contribuente aveva resistito con controricorso. La sentenza era stata altresì impugnata anche dal contribuente, con ulteriore controricorso dell’Agenzia.

Nelle pagine seguenti si esamineranno soprattutto gli aspetti della pronuncia che hanno attinenza con la problematica espressa nel titolo di questo intervento, ossia con la responsabilità dell’amministratore di fatto di società.

La qualità di amministratore di fatto

Il terzo motivo di ricorso per cassazione del contribuente, denunciante violazione o falsa applicazione degli artt. 2383, 2475 e 2476 del codice civile in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., richiedeva di precisare se la CTR aveva legittimamente ritenuto sussistente la qualifica di amministratore di fatto in capo a C.S. «senza individuare un singolo atto concreto di gestione della società e senza considerare che ai fini della individuazione di tale figura non è sufficiente il compimento di singoli sporadici atti, ma è richiesto l’esercizio di un’attività di gestione».

Tale censura è stata ritenuta infondata dalla Cassazione, secondo la quale la sentenza della CTR aveva espressamente affermato la riferibilità al C. S. di una pluralità di atti di gestione, «rilevando come nella ricostruzione della rete di collegamenti intercorsi tra le molteplici società coinvolte nel circuito delle transazioni fittizie, tra cui specificamente le due società cui si riferisce la presente controversia, il contribuente risultava l’anello di congiunzione ed il destinatario dei benefici connessi alle operazioni svolte».

La CTR ha in particolare affermato che tutte le operazioni finanziarie compiute sono riferibili personalmente al C. S., che ha sempre agito come amministratore delle società controllate e di parte delle società che si sono avvantaggiate delle operazioni fittizie indicate negli atti in contestazione.

La sentenza di merito appariva conseguentemente conforme al consolidato orientamento della Corte, secondo cui in materia societaria è ravvisabile la figura dell’amministratore di fatto nella persona di cui sia stato accertato l’avvenuto inserimento nella gestione di impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative (viene richiamata al riguardo Cass. n. 2586/2014).

L’amministratore non è responsabile

I motivi di ricorso quarto e quinto, che per la loro intima connessione sono stati esaminati unitariamente dalla Corte, si riferivano:

  • all’estensione operata dalla CTR della responsabilità per l’IVA e per le relative sanzioni all’amministratore di fatto «senza neppure dedurre la distrazione di attività dal patrimonio della società a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute»;

  • all’asserita «insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.» (secondo la parte ricorrente la sentenza impugnata aveva omesso di individuare il presupposto normativo che consentiva di estendere alla persona fisica la responsabilità per il pagamento di imposte e sanzioni).

La Cassazione ha affermato la fondatezza di tali motivi, giacché:

  • non poteva configurarsi una responsabilità diretta del C.S. in relazione al pagamento delle imposte evase dalle società Alfa e Beta, «dovendo escludersi una responsabilità solidale dell’amministratore e liquidatore nell’obbligazione tributaria di una società di capitali»;

  • in questo contesto, a fronte dell’autonomia patrimoniale perfetta che caratterizza le società di capitali, la particolare ipotesi di responsabilità posta dall’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 a carico di liquidatori, amministratori e soci di società in liquidazione, si configura come una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege, e ha natura civilistica e non tributaria.

     

Motivazione e prova

Infondati sono stati invece ritenuti il sesto e il settimo motivo di ricorso per cassazione, con i quali, rispettivamente: a) veniva denunciata l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, deducendo la carenza motivazionale della sentenza di merito per omessa verifica della sussistenza di comportamenti idonei a qualificare il ricorrente quale amministratore di fatto; b) si affermava la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del D.P.R. n. 600/1973 nonché 51, 54 e 56 del D.P.R. n. 633/1972 e 2697 c.c., lamentando l’omessa indicazione dei fatti e delle prove idonee a rilevare il grado di continuità logica tra il fatto ignoto e quello noto, nonché l’utilizzo di dichiarazioni rese da terzi.

Secondo la Corte:

  • «la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elementi» valutati dalla corte di merito;

  • «nel caso di specie la CTR ha accertato la qualità di amministratore di fatto del C.S. in forza del compimento di una pluralità di atti di gestione, precisando che costui risultava l’anello di congiunzione ed il destinatario dei benefici connessi alle operazioni svolte»;

  • le conclusioni della CTR in ordine alla qualifica di amministratore di fatto apparivano pertanto fondate sul completo esame della documentazione prodotta, risultando «coerenti, logicamente argomentate e giustificate sulla base di adeguati elementi, specificamente indicati in motivazione».

     

Non opera la responsabilità solidale

Il nono motivo di ricorso denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., con la formulazione del seguente quesito di diritto:

«dica codesta Suprema Corte se incora’nella violazione o falsa applicazione dell’art. 7 D.L. n. 269/2003 la sentenza della CTR che ritenga che l’amministratore di fatto deve rispondere dell’imposta sul valore aggiunto e delle relative sanzioni per fatto proprio».

Nell’affermare la fondatezza del motivo di ricorso, la Corte ha puntualizzato che la disposizione normativa del 2003 pone a carico, in via esclusiva, di società o enti con personalità giuridica le sanzioni relative al rapporto fiscale, prevedendo espressamente che alle situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole del D.Lgs. n. 472/1997, e in particolare che non risulta applicabile la responsabilità solidale prevista dall’art. 11 di tale decreto.

La disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, secondo comma, del decreto ha poi stabilito che la disciplina in rassegna non ha efficacia retroattiva e si applica alle violazioni contestate e alle sanzioni irrogate posteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.

«Orbene nel caso di specie risulta che tutti gli avvisi di accertamento e gli atti di contestazione siano stati notificati al contribuente nell’anno 2005 (sulla scorta di due processi verbali di constatazione formati il 3.12 ed il 17.12.2004) e dunque in data successiva all’entrata in vigore del D.L. n. 269/2003. Va dunque esclusa in forza dell’art. 7 commi 1 e 3 della L. 269/2003 la responsabilità solidale del contribuente per le sanzioni amministrative tributarie e, segnatamente, per le sanzioni derivanti dalle violazioni in materia di Iva contestate alle società di cui il C.S. era amministratore di fatto».

In conclusione…

Anche alcuni dei motivi di ricorso per cassazione proposti dall’Agenzia delle Entrate riguardavano la posizione dell’amministratore di fatto in relazione alla responsabilità per le sanzioni tributarie.

In particolare:

a) con il quarto motivo di ricorso veniva censurata la violazione dell’art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., censurando il capo della sentenza della CTR che aveva escluso la responsabilità del C.S., quale mero amministratore di fatto, per le violazioni formali aventi a oggetto l’omessa tenuta di scritture contabili e l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi delle società;

b) con i quinto motivo veniva denunciato il vizio di motivazione contraddittoria sul medesimo capo della sentenza che aveva escluso la responsabilità del C.S. per le violazioni tributarie di carattere omissivo, affermandola invece avuto riguardo alle violazioni in materia di IVA.

Secondo la Cassazione:

  • con specifico riferimento alle sanzioni tributarie per le violazioni commesse in epoca anteriore all’entrata in vigore del richiamato art. 7 del D.L. n. 269/2003 è stata affermata l’estensione della responsabilità solidale agli amministratori di fatto in forza dell’art. 11 del D.Lgs. n. 472/1997 (Cass. n. 21757/2005);

  • è quindi errata la statuizione della sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità del contribuente (cioè delle società) facendo leva sulla riferibilità all’amministratore di diritto degli adempimenti che avevano concretato le violazioni a lui ascritte.

Nel compiere queste considerazioni la Corte ha sottolineato che la normativa del 2003 ha espressamente previsto (come già evidenziato sopra) che alle situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole del D.Lgs. 472/1997, e in particolare quella della responsabilità solidale prevista dall’art. 11 di tale decreto.

Sulla base delle motivazioni sopra espresse, nonché di quanto è stato precisato dalla Cassazione in relazione agli ulteriori motivi di ricorso delle due parti, la sentenza della CTR è stata cassata con decisione della causa nel merito, accoglimento dei ricorsi del contribuente e conseguente annullamento di tutti gli avvisi di accertamento.

21 settembre 2015

Fabio Carrirolo