Abuso del diritto e contraddittorio preventivo

secondo la Cassazione sussiste la necessità del contraddittorio preventivo tra le parti nel caso di contestazione di abuso del diritto non codificato

 

Corte di cassazione sentenza 14 gennaio 2015 n. 405

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.2.2012 n. 18 la Commissione tributaria di II grado di Bolzano, in parziale riforma della decisione di prime cure dichiarava legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Bolzano della Agenzia delle Entrate nei confronti di P.C. S.r.l. relativamente alla maggiore imposta dovuta dalla società a titolo IRPEG ed IRAP per l’anno 2004, mentre confermava l’annullamento dell’atto impositivo disposto dal primo Giudice in relazione alla pretesa concernente la maggiore IVA.

I Giudici territoriali ritenevano che il quadro indiziario emerso dal PVC in data 29.12.2008 redatto all’esito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, integrava la fattispecie dell’abuso di diritto -come elaborata dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale ed avente referente normativo, quanto alle imposte sui redditi, nell’art. 53 Cost.- nella quale doveva essere ricondotto, alla luce della peculiarità delle clausole contrattuali e della situazione economica-finanziaria della società, il contratto di sale & lease back concluso in data 31.5.2003 da P.C. s.r.l. con C.L.B. s.p.a.. Non versando la società in questione in carenza di liquidità (esigenza a fronte della quale trovava di regola giustificazione il negozio in questione), essendo stata in grado di acquistare al prezzo di € 1.180.000,00 con proprie risorse finanziarie i beni immobili, la cessione di tali beni intervenuta qualche mese dopo a C.L. per un prezzo di analogo importo, con regolazione del contratto di leasing sui medesimi beni per la durata di otto anni e con l’anomala previsione (contrastante con la funzione di durata del contratta) del pagamento entro il primo anno di canoni di locazione (maxi- rata seguita nel semestre successivo da altre due rate) per un complessivo importo pari alla metà del finanziamento ricevuto, induceva a ritenere, in assenza di altre apprezzabili ragioni economiche, che la società contribuente avesse realizzato la operazione al solo scopo di conseguire il vantaggio fiscale della deducibilità -nel corso della durata del contratto- dell’intero importo dei canoni, vantaggio che non sarebbe stato consentito laddove si fosse proceduto all’ammortamento del costo relativo agli immobili per cui era previsto dalle norme tributarie un tempo notevolmente più lungo.

I Giudici di appello inoltre ritenevano infondata la eccezione di nullità dell’avviso di accertamento, formulata dalla società, per violazione del termine dilatorio previsto dall’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000, rilevando che la inosservanza del termine non era sanzionata a pena di nullità, restando comunque assicurato al contribuente il diritto di difesa esercitarle sia in sede di sollecitazione dell’esercizio del potere di autotutela amministrativa che in sede giudiziaria.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto tempestivo ricorso la società deducendo quattro mezzi.

La Agenzia delle Entrate intimata non ha spiegato difese.

La società ha depositato memoria illustrativa.

 

Motivi della decisione

1. Alla udienza di discussione la difesa della parte ricorrente ha richiesto un rinvio al fine di consentire la produzione del provvedimento autorizzativo rilasciato all’avvocato per la esecuzione diretta della notifica a mezzo posta, richiamando la recente sentenza di questa Corte 19.2.2014 n. 3934 che ha dichiarato la inammissibilità del ricorso per cassazione, in difetto dì costituzione in giudizio della parte resistente, per insussistenza del presupposto di validità della notificazione eseguita ai sensi della legge n. 53/1994 in mancanza di prova delta “autorizzazione” rilasciata dal Consiglio dell’Ordine ex art. 7 della medesima legge.

1.1 Non ritiene il Collegio necessario acquisire il documento in questione ai fini della verifica della ritualità della notifica del ricorso per cassazione.

Risulta dagli atti che la notifica del ricorso è stata eseguita dall’avv. B. del Foro di Bolzano, come indicato nella relata di notifica apposta in calce al ricorso, “in virtù dell’autorizzazione n. 12 del Consiglio dell’Ordine di Bolzano rilasciata il 24 marzo 1995, quale procuratore e domiciliatario della srl P. & Co ai sensi della legge n. 53 del 21 gennaio 1994, tramite spedizione di copia in piego raccomandato con avviso di ricevimento dall’Ufficio postale di Bolzano Centro in data corrispondente a quella del timbro postale“.

Dagli avvisi di ricevimento n. 1467/12 e n. 1468/12 risulta che la spedizione del plico è avvenuta in data 2.10-2012 ed è stata ricevuta, come risulta dai rispettivi timbri di protocollo in arrivo, in data 5.10.2012 dalla Direzione provinciale di Bolzano della Agenzia delle Entrate, ed in data 8-10-2012 dall’Avvocatura Generale dello Stato (indicata nella relata come domiciliataria ex lege della Agenzia delle Entrate).

Orbene se deve essere ritenuta invalida (e dunque sanabile con effetto ex tunc mediante rinnovazione della notificazione o costituzione in giudizio dell’intimato, anche se effettuata al solo scopo di eccepire la nullità: Corte cass. IlI sez. 19.7.2005 n. 15190; id. I sez. 11.6.2007 n. 13667; id. SU n. 22641/2007 cit.; id. V sez. 4.4.2008 n. 8777) la notifica del ricorso per cassazione eseguita presso l’Avvocatura dello Stato, qualora -come nel caso di specie- l’Agenzia delle Entrate non sia stata rappresentata nel giudizio di merito dalla difesa erariale (cfr. Corte cass. SU 29.10.2007 n. 22641), deve invece ritenersi validamente perfezionata -con conseguente rituale instaurazione del contraddittorio- la notifica del ricorso per cassazione eseguita presso l’Ufficio periferico dell’ente pubblico anziché preso la sede legale della Agenzia delle Entrate, alla stregua del principio affermato da questa Corte secondo cui “la nuova realtà ordinamentale (ndr. introdotta dal Dlgs 30.7.1999 n. 300 istitutivo delle Agenzie fiscali) caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici della Agenzia in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di merito e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, preso la sede centrale della Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando la interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato” (cfr. Corte cass- SU 14.2.2006 n. 3116 e n. 3118)

1.2. Tanto premesso l’esito positivo della verifica pregiudiziale di rituale instaurazione del contraddittorio, non richiede ulteriori accecamenti atteso che, diversamente dal caso …. esaminato nel precedente n. 3439/2014 richiamato dalla difesa della parte ricorrente, in cui detta autorizzazione -a quanto è dato evincere dalla lettura della motivazione- era stata enunciata senza fornire alcun elemento identificativo del provvedimento emesso dal Consiglio dell’Ordine, nel caso di specie, al contrario, l’avvocato ha precisato dettagliatamente gli elementi identificativi dell’atto (numero cronologico, data di emissione, autorità emanante), assumendo, con la compilazione della relazione di cui all’art. 3 co l lett. a) della legge n. 53/1994, le responsabilità penali connesse alla funzione di pubblico ufficiale allo stesso riconosciuta ex lege (art. 6 comma 1) in ordine alla dichiarazioni rese (e quindi anche sulla esistenza ed attuale validità della autorizzazione alla esecuzione diretta della notifica ex lege n. 890/1982: art. 3 comma 3 della legge n. 53/1994). Rileva il Collegio che, con riferimento alle condizioni di legittimazione dell’esercizio delle competenze riservate all’organo della notificazione, la autorizzazione del Consiglio dell’Ordine opera alla stessa stregua del titolo di investitura nelle pubbliche funzioni dell’Ufficiale giudiziario, non essendo richiesto in ogni caso, ai fini della verifica della validità delle notifiche eseguite da quest’ultimo ai sensi dell’art. 149 c.p.c. nei confronti della parte convenuta o intimata non costituitasi in giudizio, il previo accertamento della regolare investitura nelle pubbliche funzioni di organo della notificazione, ossia della qualifica di pubblico ufficiale del soggetto persona fisica che ha eseguito la notificazione e redatto la relata di notifica: il requisito soggettivo dell’autore della notificazione bene può, infatti, presumersi anche soltanto dall’insieme delle circostanze di fatto che accompagnano te dichiarazioni della relata o dal contesto della stessa, ove tali elementi consentano di ritenere inequivocabrimonte riferibile l’atto compiuto all’organo titolare del potere nel cui esercizio esso è adottato.

Tale principio, costantemente affermato da questa Corte in materia di atti amministrativi (cfr. Corte cass. V sez. 3.11.2003 n. 16407, in tema di notifica di atto impositivo, secondo cui “spetta al contribuente, superando la presunzione che il sottoscrittore -qualificatosi, nell’atto come titolare di un pubblico ufficio…- aveva il potere di apporre la firma dimostrare la non autenticità della sottoscrizione o l’insussistenza della qualità indicata“, id. V sez. 7.4.2006 n.8249; id. V sez. 2.3.2007 n. 4923; id. V sez. 27.2.2009 n. 4757; id. sez. lav. 10.6.2009 n. 13375; id. VI-5 sez. ord. 6.7.2012 n. 11458), non incontra limitazioni per il fatto che il potere pubblico abbia ad oggetto, nella specie, il compimento di atti di notifica ai sensi della legge n. 890/1982, essendo appena il caso di osservare che detta presunzione non opera nel caso in cui, dalle oggettive modalità di esecuzione degli atti del procedimento di notifica ovvero da altri elementi acquisiti al giudizio, emergano elementi tali da porre in dubbio la esistenza stessa della qualità di pubblico ufficiale o la regolarità della investitura nelle pubbliche funzioni di ufficiale notificatore.

Occorre, pertanto, distinguere tra vizi di validità attinenti alle condizioni di legittimazione all’esercizio di funzioni pubbliche e vizi di validità attinenti al procedimento notificatorio: se pure entrambi genericamente accomunati, ai fini della comminatoria della sanzione di nullità della notificazione, sotto le categorie dei “requisiti soggettivi ed oggettivi” della inosservanza alle “disposizioni di cui agli articoli precedenti” ed alla “incertezza sulla persona a cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica” (art. 11 della legge n. 53/1994), occorre tuttavia considerare che la indagine sulla ritualità della notifica richiesta all’organo giudicante è strettamente funzionale al processo in quanto volta precipuamente a garantire la corretta instaurazione del contraddittorio, apparendo estranea e comunque eccedente lo scopo predetto, nei casi in cui risulti comprovata l’avvenuta consegna dell’atto al destinatario non costituitosi in giudizio, una attività dell’organo giudicante, da svolgersi eventualmente anche con acquisizione di informazioni per le quali siano state previste idonee forme di pubblicità (art. 7 comma 4, legge n. 53/1994), estesa sempre e comunque -e dunque anche in caso non emergano evidenti elementi che inducano a dubitare che l’atto di notifica sia stato eseguito da soggetto debitamente legittimato- alla puntuale verifica della osservanza di tutte le prescrizioni normative della legge n. 53/1994, anche se non direttamente incidenti sul perfezionamento della conoscenza legale del destinatario (utilizzo da parte dell’avvocato di buste e moduli conformi al modello prestabilito dalla Amministrazione -art. 2-; omessa adozione da pane del Consiglio dell’Ordine di provvedimenti di revoca della autorizzazione – art.7 co3 ; possesso e regolare tenuta da parte dell’avvocato del registro cronologico, correttamente numerato e vidimato in ogni mezzo foglio e regolarmente annotato – art. 8. Non sembra invece riconducibile alla generale previsione di nullità di cui all’art. 11 della legge n. 53/1994 anche la mancata apposizione della marca sull’atto da notificare, avuto riguardo alla specifica commitaria, per tale violazione, delle sanzioni pecuniarie previste per l’imposta di bollo).

Nella specie risulta comprovata la ricezione dell’atto notificato da parte del destinatario e non sono emersi obiettivi riscontri che inducano a ritenere che siano state violate le norme della legge n. 53/1994 o che l’avvocato che ha provveduto alla notifica non sia iscritto all’albo professionale o non sia in possesso della autorizzazione del Consiglio dell’Ordine specificamente individuata nella relata di notifica-, dovendo in conseguenza ritenersi regolarmente perfezionato il procedimento notificatorio del ricorso per cassazione.

2. Con la memoria illustrativa la società ha inoltre eccepito la estensione del giudicato (così sembra doversi intendere il richiamo al precedente di questa Corte SS.UU n. 13916/2006) interno, formatosi in ordine all’annullamento parziale dell’avviso di accertamento relativo alla pretesa vantata per maggiore IVA, anche alle altre pretese avanzate dalla Amministrazione finanziaria con il medesimo avviso di accertamento e concernenti le maggiori imposte liquidate a titolo IRPEG ed IRAP.

La eccezione pregiudiziale è infondata -indipendentemente dalla peculiare fattispecie considerata nel precedente giurisprudenziale invocato, attinente alla particolare ipotesi di obbligazione tributaria di “durata“- alla stregua del principio di diritto secondo cui ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno od interno, fondamentale ed imprescindibile risulta, oltre all’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, il raffronto della stessa con l’oggetto specifico del processo nell’ambito del quale il giudicato dovrebbe fare stato, e quindi il riscontro dell’esistenza di una relazione giuridica tra i diritti dedotti in giudizio: la preclusione dev’essere pertanto esclusa qualora il giudizio abbia ad oggetto un rapporto giuridico diverso da quello deciso con la sentenza passata in giudicato, ed in particolare, nella materia tributaria, nel caso in cui la controversia riguardi imposte strutturalmente ed oggettivamente differenti da quella che ha costituito oggetto della predetta decisione, e tra le stesse non sia configurabile alcun vincolo giuridico (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 2438 del 05/02/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4904 del 02/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 8773 del 04/04/2008; id. Sez, 5, Sentenza n. 25200 del 30/11/2009 secondo cui “il giudicato, formatosi in materia di tributi diretti, non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di IVA, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto’’; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 12870 del 23/07/2012)

3. Il primo motivo con il quale la parte ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del principio di rilevanza comunitaria del contraddittorio preventivo, nonché dell’art. 37 bis Dpr n. 600/73. Omessa e/o insufficiente motivazione su un punto di fatto controverso e decisivo per il giudizio“, in relazione agli artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5 e.p.c. è fondato, rimanendo assorbiti, pertanto, gli altri motivi di ricorso.

3.1 Occorre preliminarmente rilevare che nei motivi del ricorso introduttivo di primo grado la società aveva impugnato l’avviso di accertamento in quanto emesso in violazione delle regole procedimentali volte a garantire il contraddittorio cd. anticipato, tanto in relazione all’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000, quanto in relazione all’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73 (cfr. ricorso per cassazione pag. 7 e 10).

La Commissione di 1° grado con sentenza in data 25.10.2010 n. 160 “riteneva non fondate le eccezioni preliminare” (cfr. ricorso pag. 11), e le medesime questioni venivano quindi riproposte dalla società in grado di appello (ricorso pag. 12)

La sentenza di appello ha esaminato esplicitamente la questione della invalidità dell’avviso per violazione del termine dilatorio prescritto dall’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000, rigettando la eccezione della società in difetto di espressa comminatoria della sanzione di nullità. La Commissione tributaria di II grado non sembra invece avere affrontato esplicitamente anche la questione della violazione dell’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73, norma che viene richiamata -nella parte iniziale della motivazione della sentenza- esclusivamente al fine di precisare che le condotte in essa specificamente indicate (al comma 3) non esaurivano la fattispecie del divieto di abuso del diritto che, quanto ai tributi non armonizzati, trovava fondamento in una “norma di carattere generale ricavabile dall’art. 53 Cost.“.

Occorre tuttavia rilevare che con la indicata statuizione il Giudice tributario ha implicitamente rigettato anche la eccezione di nullità dell’avviso di accertamento formulata dalla società per violazione del comma 4 della predetta norma, in quanto il rapporto di “genus ad species” istituito dai Giudici di merito tra la “norma generale” sull’abuso del diritto e le fattispecie descritte dalla “norma speciale” successiva (individuate al comma 3 dell’art. 37 bis), include corno logica conseguenza la inapplicabilità della disciplina procedimentale di cui al comma 4 dell’art. 37 bis Dpr n. 600/73 ad ipotesi di pratiche abusive diverse da quelle contemplate dalla norma speciale, che rimarrebbero, pertanto, disciplinate dalla norma dello Statuto del contribuente (art. 12 legge n. 212/2000) applicabile in modo indifferenziato a tutti i procedimenti di accertamento tributario, ove non regolati da disposizioni speciali.

Pertanto la censura svolta dalla società ricorrente per violazione tanto del principio comunitario di garanzia del contraddittorio anticipato, quanto dell’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73, non può ritenersi inconferente rispetto alla statuizione della sentenza impugnata con la quale la Commissione tributaria ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso anteriormente alla scadenza del termine dilatorio previsto dall’art. 12 co7 legge n. 212/2000 e quindi inapplicabile l’art. 37 bis Dpr n. 600/73.

Dirimente appare comunque il rilievo per cui -come è dato evincere in modo inequivoco dalla esposizione del motivo la società ricorrente ha inteso dolersi non tanto della diretta applicabilità alla fattispecie concreta di abuso della norma di cui all’art. 37 bis Dpr n. 600/73, quanto piuttosto del principio generale dell’ordinamento comunitario, espressione del diritto di difesa, di garanzia del contraddittorio con il contribuente da attuarsi anteriormente alla emissione dell’atto destinato ad incidere autoritativamente sulla sfera patrimoniale del soggetto passivo, principio che ha ricevuto consacrazione nell’ordinamento giuridico interno dapprima nel ristretto ambito delle imposte dirette e limitatamente alla fattispecie dell’abuso di diritto (art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73) e quindi in via generale con l’art. 12 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente) con forza espansiva estesa alle diverse leggi d’imposta dal Dlgs 26 gennaio 2001 n. 32 (relativamente alle II.DD., con riferimento ai controlli ed, automatizzati: art. 36 bis comma 3 ed art. 36 ter comma 4 Dpr n. 600/73; analogamente, con riferimento ai controlli automatizzati in materia di IVA: art, 54 bis comma 3 Dpr n. 633/72).

Alla stregua di tali precisazioni deve, pertanto, essere condotto l’esame della censura formulata dalla società ricorrente

3.2 Tanto premesso, con il motivo di ricorso per cassazione in esame la società impugna la sentenza di appello sotto il duplice profilo: a) che la nullità dell’avviso di accertamento, emesso in difetto di instaurazione del previo contraddittorio con la contribuente, doveva, in ogni caso, essere pronunciata in quanto l’atto impositivo – originariamente concernente oltre alle imposte sui redditi anche l’IVA- era stato adottato in violazione di un principio generale dell’ordinamento comunitario; b) che in caso di contestazione di condotte abusive in materia di imposte sui redditi, la sanzione di nullità dell’avviso di accertamento, emesso in mancanza del contraddittorio cd. anticipato, era prevista espressamente dall’art. 37 bis, comma 4, Dpr n. 600/73 con disposizione da ritenersi di carattere generale e quindi applicabile anche a fattispecie abusive non comprendenti alcuna delle operazioni indicate nel comma 3 della medesima norma (in tal senso sembra, infatti, doversi interpretare il richiamo al precedente di merito della medesima Commissione tributaria di II grado -n. 50/2012, la cui motivazione è interamente trascritta nei motivo di ricorso per cassazione in cui viene applicata la sanzione della nullità di cui all’art. 37 bis Dpr n. 600/73 -in difetto di indicazione nella richiesta a chiarimenti preventiva, dei presupposti di fatto dell’abuso- a fattispecie di pratica abusiva diversa da quelle contemplate nel comma 3 del medesimo art. 37 bis).

3.3 Tenuto conto che non è contestato che la società ha ricevuto copia del PVC in data 29.12.2008, che il verbale in questione delineava compiutamente la fattispecie abusiva, e che pertanto la società è stata posta in grado di conoscere preventivamente le ragioni dell’emanando atto impositivo (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 351 del 12/01/2009, secondo cui per la “richiesta di chiarimenti” da inoltrare preventivamente al contribuente, ai sensi dell’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73, non è prevista alcuna forma tassativa, nè tipica, potendo finanche essere rivolta oralmente), la questione si incentra nel mancato rispetto da parte dell’Ufficio finanziario del termine di legge assegnato ex lege al contribuente per formulare i propri rilievi, fornire chiarimenti, produrre documenti.

3.4 Tanto premesso, osserva il Collegio che la sostanziale uniformità della disciplina procedimentale di instaurazione del contraddittorio preventivo prevista dall’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73 e dall’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000 (entrambe le norme stabiliscono il medesimo termine dilatorio di gg. 60 per consentire la comunicazione da parie dei contribuente di osservazioni e chiarimenti, rispettivamente, dalla “richiesta” formulata dalla PA, dalla consegna della “copia dei processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica) ed il fondamento unitario della critica già formulata nei gradi di merito e riproposta con il motivo di ricorso per cassazione in esame, volta a ricollegare la invalidità dell’avviso di accertamento alla violazione del diritto al contraddittorio preventivo, rendono opportuna un’unica trattazione della questione della inosservanza del termine dilatorio previsto da entrambe le norme tributarie, non assumendo rilievo, nel caso concreto sottoposto all’esame della Corte, le differenti condizioni nelle quali operano le due norme (l’art. 37 bis, comma 4, Dpr n. 600/73 impone, indipendentemente dalle modalità di espletamento -ispezione, verifica, accesso, inviti, ecc.- della attività istruttoria dell’Ufficio, la instaurazione del preventivo contraddittorio; l’art 12, comma 7, legge n. 212/2000 presuppone, invece, Io svolgimento di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio delle attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali, … effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” -cfr. art 12 comma 1-), atteso che risulta dagli atti dei giudizio che la redazione dei verbale di verifica della Guardia dì Finanza ha fatto seguito ad attività ispettiva svolta presso la sede della società (cfr. ricorso pag. 2)

3.5 Orbene la questione della diretta applicabilità, alla concreta fattispecie di abuso accertata dalla Commissione tributaria, del procedimento di accertamento impositivo disciplinato dal comma 4 dell’’art. 37 bis Dpr n. 600/73 che, in caso di difformità dal modello legale (e precipuamente nel caso di inosservanza del termine dilatorio per la emissione dell’avviso) commina espressamente la sanzione di nullità dell’atto di accertamento, rimane assorbita nella disposta equiparazione delle conseguenze invalidanti del procedimento a seguito del recente arresto giurisprudenziale che, qualificando il principio del contraddittorio anticipato – disciplinato dall’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000 – come norma imperativa immanente all’ordinamento comunitario c nazionale, ne ha tratto la conseguenza della invalidità (nullità) dell’atto impositivo adottato ante tempus”,

3.6 La statuizione dei Giudice di merito che ha ritenuto esente dà vizi di invalidità l’avviso di accertamento notificato in data 29.12,2009 ed emesso pertanto, senza l’osservanza del termine dilatorio di gg. 60 dalla consegna del verbale di chiusura delle operazioni di verifica (PVC in data 27.11.2009) prescritto dall’art. 12 comma 7 legge n. 212/2000, si pone in contrasto con il principio di diritto dell’ordinamento comunitario secondo cui, ai fine di garantire la effettività del diritto di difesa, l’autorità pubblica, prima di emanare un atto produttivo di effetti pregiudizievoli nei confronti del destinatario, metta in condizione quest’ultimo di contraddire preventivamente, e di esporre le eventuali ragioni di dissenso in ordine all’emanando provvedimento (la parte ricorrente richiama, in proposito, le pronunce della Corte giustizia in data 23.10.1974, causa C – 17/74; id. in data 24.10.1996 causa C-32/95; id. in data 21.9.2000 causa C-462/98; id, in data 12.12.2002 causa C-395/00).

3.7 Al riguardo occorre osservare che il contrasto emerso dalle pronunce della quinta sezione di questa Corte in ordine all’effetto invalidante sull’avviso di accertamento o di rettifica prodotto dalla inosservanza della prescrizione legislativa (all’indirizzo giurisprudenziale che escludeva tale invalidità, in assenza di specifica norma comminatoria della sanzione di nullità dell’atto impositivo emesso “ante tempus” -indirizzo al quale si richiama la Commissione tributaria di II° grado di Bolzano – si contrapponeva l’orientamento giurisprudenziale che, in difetto di specifica indicazione nell’atto delle ragioni di urgenza che non consentivano il rispetto del termine dilatorio, derivava tale nullità dalle norme tributarie – art. 7 legge n. 212/2000 come attuato in relazione alle singole leggi d’imposta dal D.lgs n. 32 del 2001 – che imponevano a pena di nullità l’obbligo di motivazione degli atti impostivi c più in generale dai combinato disposto dagli artt. 3 e 21 septies della legge n. 241/1990) ha trovato risoluzione nella recente sentenza resa a SS.UU» in data 29.7.2013 n. 18184 che ha puntualizzato come la norma tributaria in questione costituisca concreta attuazione dei principi di collaborazione e buona fede che vanno considerati diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, di capacità contributiva e di ragionevolezza (artt. 97, 53 e 3 Cosi.), derivando “ineludibilmente dal sistema ordinamentale comunitario e nazionale” la sanzione di invalidità – pur non espressamente prevista dalla norma – dell’atto tributario, in quanto emanato in difformità dal modello legale ed inficiato da vizio di legittimità “di particolare gravità, in considerazione della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve“, funzione che deve essere individuata nella duplice esigenza di garanzia del contribuente (il quale deve essere posto in grado di partecipare al procedimento, formulando le proprie osservazioni c gli opportuni chiarimenti) e di efficienza dell’azione amministrativa (evitando alla PA di formulare, inutilmente, rilievi e pretese che attraverso la mera collaborazione del contribuente potrebbero risultare del tutto infondati).

Le SS.UU, hanno, peraltro, chiarito che il vizio di legittimità in questione sottende non una mera difformità dallo schema formale del procedimento, ma un vizio di natura sostanziale che rimane integrato, non in conseguenza della omessa “formale indicazione” nel provvedimento delle ragioni di urgenza che non consentono il rispetto del termine, ma a causa della “effettiva inesistenza” di tali ragioni derogatorie, considerate quindi come presupposto di fatto esterno al provvedimento impositivo (e dunque estraneo agli elementi essenziali al perfezionamento dell’atto e specificamente alla motivazione che deve fondare la pretesa fiscale), dovendo pertanto essere risolte le eventuali contestazioni in ordine alla sussistenza del presupposto della “particolare urgenza” sul piano dell’accertamento giudiziale, essendo onerata la P.A. che non abbia già indicato nell’atto dette ragioni -a fronte dello specifico motivo di ricorso del contribuente – della allegazione e dimostrazione della effettiva esistenza, al tempo della notifica del l’avviso di accertamento o rettifica, dì specifici motivi di urgenza, in difetto dei quali l’atto impositivo deve essere annullato in quanto affetto dal vizio di legittimità denunciato.

3.8 Orbene avuto riguardo alla operata riconduzione ad unità sistematica, in materia tributaria, del principio del contraddittorio anticipato e delle conseguenze giuridiche invalidanti l’atto per la inosservanza del modello legale, risulta che tanto la disciplina procedimentale delle fattispecie abusive, in materia di imposte dirette, dettata dal!’art. 37 bis comma 4, quanto quella prevista dall’art. 12 co 7 legge n. 212/2000, debbono essere unitariamente interpretate alla stregua degli specifici riferimenti tratti dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui “il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo” (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C-349/07, Sopropè; id. 22.10.2013, causa C- 276/12, Sabou), con la conseguenza che “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l ‘amministrazione intende fondare la propria decisione” (cfr. Corte di giustizia 24.10.1996, causa C-32/95 P, Lisrestal; id. 21.9.2000, causa C-462/98 P, Mediocurso; id. 12.12.2002, causa C-395/00, Cipriani; id. Sopropè, cit; id. Sabou, cit.). Opportunamente il Giudice di Lussemburgo ha altresì precisato che “Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazionale purché da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario” (cfr. Corte giustizia 18.12.2008, causa C-349/07, Sopropè, punto 38; id. 10.9,2013, causa C-383/13, G. e R.; id. 22.10,2013 causa C-276/12, Sabou).

La forza espansiva esterna propria dell’ordinamento comunitario e dei suoi principi generali, impone ai Giudici degli Stati membri di fornire una interpretazione della legislazione nazionale conforme agli scopi del Trattato (TFUE) al fine di assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione Europea (cfr. Corte di Giustizia 28.6.2012, causa C-7/11, Caronna), come in modo assolutamente perentorio, ancora da ultimo, è stato ribadito dalla Corte di Giustizia nella sentenza in data 10 ottobre 2013, causa C – 306/12, Spedition Welter GmbH contro A. S.A. che si trascrive di seguito “… 23 in proposito occorre ricordare che la questione se una disposizione nazionale, ove sia contraria al diritto dell’Unione, debba essere disapplicata, si pone solo se non risulta possibile alcuna interpretazione conforme di tale disposizione” (sentenza del 24 gennaio 2012, Dominguez, C-282/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).

29. Risulta da giurisprudenza costante che, nell’applicare il diritto interno, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretarlo quanto più possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti inerente al sistema del Trattato FUE, in quanto consente ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v., in particolare, sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a.f da C-397/01 a €-403/01, Racc. pag. 1-8835, punto 114 e Dominguez, cit., punto 24).

30. Il principio di interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio, nei limiti delle loro competenze, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (v., in tal senso, sentenze Dominguez, cit., punto 27 e del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/I1, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 56).

Ne segue che il principio generale del diritto comunitario secondo cui il soggetto destinatario di un atto della pubblica autorità suscettivo di produrre effetti pregiudiziali nella sua sfera giuridica, deve essere messo in condizione di contraddire prima di subire tali effetti, non può tollerare discriminazioni in relazione alla natura armonizzata o meno del tributo.

3.9 Pertanto deve concludersi che, anche nel caso in cui l’Ufficio finanziario intenda contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla riconducibilità o meno delle stesse alle ipotesi contemplate dall’art. 37 bis comma 3 Dpr n. 600/73, è tenuto a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di gg. 60, prima di emettere l’atto accertativo che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente: risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale.

3.10 Deve ritenersi, pertanto, non conforme a diritto la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, emesso anteriormente al decorso del termine dilatorio di cui all’art. 12 co7 legge n. 212/2000, in mancanza di una espressa sanzione legislativa della nullità, in quanto la mancanza di una specifica previsione di invalidità dell’atto tributario emesso “ante tempus” non impedisce di pervenire in via interpretativa (utilizzando la categoria dogmatica delle nullità virtuali) ad individuare nell’ordinamento giuridico tributario – quale risultante del sistema plurimo delle fonti di produzione normativa, in relazione alla indicata violazione, un vizio di invalidità dell’atto impositivo per contrasto con “norma imperativa” (art. 12 co 7 legge n. 212/2000) volta a dare diretta attuazione ad un principio generale comunitario inderogabile (nonché ai principi costituzionali indicati negli arti. 3, 53 e 97 Cost.), avuto riguardo al fondamento comunitario del principio di garanzia del diritto al contraddittorio (quale espressione del più generale diritto di difesa) che deve trovare attuazione anche nella fase amministrativa le volte in cui deve essere adottato un atto autoritativo idoneo a produrre effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica del destinatario: con la conseguenza che, essendo stato notificato l’avviso di accertamento – con il quale si contestava la pratica abusiva – anteriormente alla scadenza del termine di gg. 60 dalla consegna alla società di copia del PVC (“consegna di copia del verbale” che, come si è visto, assolve alla equivalente funzione della “richiesta di chiarimenti” di cui all’art. 37 bis comma 4 Dpr n. 600/73), i Giudici di merito avrebbero dovuto dichiarare illegittimo l’atto impositivo, relativo alla pretesa concernente le imposte sui redditi (IRPEG ed IRAI5), adottato in violazione della disposizione di legge.

3.11 L’accoglimento del primo motivo di ricorso, sulla riconosciuta invalidità dell’atto impositivo opposto, è idoneo a risolvere la controversia, rimanendo pertanto assorbiti gli altri motivi di ricorso.

4. In conclusione il ricorso deve essere accolto (quanto al primo motivo, assorbiti gli altri), la sentenza impugnata deve essere cassata in “parte qua” (relativamente al capo che ha statuito la legittimità dell’avviso di accertamento concernente le imposte sui redditi) e, non occorrendo disporre ulteriore attività istruttoria, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 co 2 c.p.c., con l’accoglimento del ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente e la condanna dell’Agenzia delle Entrata alla rifusione delle spese di lite relative al presente giudizio, che si liquidano in dispositivo, dichiarate compensate le spese dei gradi di merito.

 

P.Q.M.

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti indicati in motivazione, et decidendo nel mento, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente;

– condanna l’Agenzia delle Entrata alla rifusione delle spese di lite relative al presente giudizio, liquidate in € 5.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi oltre gli accessori di legge, dichiarate compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.