Confisca diretta o per equivalente sui conti corrente in caso di reati tributari

sempre più spesso il Fisco procede a confisca dei beni dei contribuenti accertati a tutela del credito erariale a fronte dei reati tributari contestati: ecco le regole relative a confisca diretta o per equivalente e le possibilità di agire direttamente sul conto corrente del contribuente

Confisca diretta o per equivalente e somme presenti sui conti corrente  – Aspetti generali

A seguito della difformità di orientamenti giurisprudenziali in materia, la Corte di Cassazione, con ordinanza 26.3.2015 n. 12924, ha rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

  1. è possibile disporre la confisca obbligatoria diretta del prezzo o del profitto del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto o manchi una condanna?
  2. la confisca delle somme di denaro presenti sul conto corrente è «per equivalente» o «diretta» e, in quest’ultimo caso, deve ricercarsi o meno (e in che limiti) il nesso pertinenziale tra denaro e reato?

Esiste in materia una difformità di orientamenti nella giurisprudenza della stessa Cassazione, in relazione alla possibilità di disporre la confisca anche in caso di reati prescritti.

In tale ipotesi infatti verrebbe ammessa la sola confisca diretta (finalizzata a motivi di sicurezza), mentre è dubbia la possibilità di poter disporre la confisca per equivalente (orientata a un fine sanzionatorio).

 

Alcune precisazioni

La Corte di Cassazione – sentenza 27.3.2008, n. 26654 delle SS.UU. penali – ha chiarito che, in tema di confisca,

«il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato»1.

L’alveo del profitto confiscabile deve intendersi limitato, secondo la lettura compiuta dalla Cassazione, al vantaggio di natura economica direttamente connesso all’attività criminosa, cioè all’«utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa».

La questione della determinazione del profitto confiscabile risulta particolarmente problematica in presenza di forme di criminalità c.d. economica, connesse a un’attività lecita di impresa nella quale si insinuano condotte che costituiscono reato.

Come afferma la Corte al riguardo, l’illecito in tali ipotesi viene a inserirsi «nell’ambito di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive di per sé non illegale», e pertanto è difficile stabilire se il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall’attività del reo sia rappresentato dall’intero valore della commessa acquisita o del contratto stipulato, ovvero se esso debba essere circoscritto al guadagno netto tratto dall’impresa nel dare esecuzione alla prestazione concordata.

 

Il caso

la confisca per equivalenteIl contenzioso di merito, a monte dell’ordinanza 12924/2015 sopra richiamata, riguardava il caso di un funzionario del Comune di Roma presso il settore manutenzione edilizia dei fabbricati, il quale era stato originariamente accusato, insieme ad altri, di avere costretto un imprenditore a consegnargli somme di denaro per un ammontare complessivo di circa 400-500 milioni di lire, con la minaccia che in mancanza del pagamento di tali tangenti periodiche non avrebbe più svolto l’attività di manutenzione degli immobili comunali.

In riforma della sentenza di primo grado, Corte d’appello di Roma aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imprenditore in quanto il reato (concussione) si era estinto per prescrizione. Con la stessa sentenza i giudici d’appello avevano disposto, ai sensi degli artt. 240, secondo comma, e 322-ter del codice penale, la confisca delle somme in sequestro preventivo fino alla concorrenza di Euro 23.000.

La confisca si limitava a tale importo in quanto solo tale tangente era risultata adeguatamente provata.

La parte aveva presentato ricorso per cassazione sulla base dei seguenti quattro motivi:

  • violazione dell’art. 414 c.p.p. in quanto per il reato di corruzione risultava emesso in data 24.5.2006 un decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Roma: in mancanza dell’autorizzazione alla riapertura delle indagini per tale reato la Corte d’appello non avrebbe quindi potuto procedere alla riqualificazione del reato e alla conseguente dichiarazione di estinzione per prescrizione;
  • violazione degli 111 Cost. e 6, par. 3, lett. a) e b), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU): la riqualificazione giuridica del reato operata dai giudici in appello era asseritamente avvenuta d’ufficio, senza una richiesta in tal senso del pubblico ministero (e quindi senza concedere all’imputato l’esercizio del proprio diritto di difesa in maniera effettiva per il reato di corruzione);
  • vizio di motivazione e violazione dell’art. 192, comma 3, c.p.p., perché i giudici di merito non avrebbero verificato con la dovuta cautela e attenzione le dichiarazioni rese dal principale accusatore dell’imputato, a sua volta accusato di corruzione;
  • alla luce della giurisprudenza della CEDU e di alcune decisioni della Corte di Cassazione, affermava inoltre la parte ricorrente che l’art. 322-ter del codice penale non consente la confisca del profitto o del prezzo del reato al di fuori dei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 p.p. (nel caso di specie, la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione avrebbe dovuto impedire ai giudici di disporre il definitivo provvedimento ablatorio).

 

La questione sottoposta alle SSUU

In particolare, in relazione all’ultimo dei dedotti motivi di ricorso per cassazione, la Corte rilevava che in materia la giurisprudenza di legittimità non aveva fornito risposte univoche.

Il tema generale riguarda la possibilità di disporre la confisca in presenza di un reato che è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione.

Nella fattispecie esaminata, la confisca aveva a oggetto una somma di denaro, sequestrata sul conto corrente dell’imputato, costituente il prezzo del reato di corruzione, reato dichiarato estinto ai sensi dell’art. 157 c.p.

Per giungere ad affermare che la confisca obbligatoria del prezzo della corruzione può essere disposta anche in caso di intervenuta prescrizione del reato, i giudici di merito si erano richiamati a quello che hanno definito un recente orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui

«l’estinzione del reato non preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240 comma 2 n. 1 c.p. in conseguenza della condanna, poiché il riferimento a quest’ultima non evoca la categoria del giudicato formale, ma implica unicamente la necessità di un accertamento incidentale, equivalente rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso pertinenziale che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito»2.

 

Secondo la ricostruzione effettuata, la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di confisca diretta ovvero di confisca per equivalente, ammettendo la confiscabilità dei beni costituenti il prezzo o il profitto del reato prescritto solamente nel primo caso, cioè solo in presenza di una confisca qualificabile come misura di sicurezza.

Nel caso di confisca per equivalente invece, si tende a ritenere precluso il provvedimento ablatorio in presenza di reato prescritto, in quanto tale tipo di confisca avrebbe natura sostanzialmente sanzionatoria.

 

confisca diretta misura di sicurezza confiscabilità in caso di reato prescritto
confisca per equivalente misura sanzionatoria non confiscabilità in caso di reato prescritto

 

Sulla confisca per equivalente

Secondo la giurisprudenza richiamata dalla Corte, lo scopo della confisca per equivalente è

«di superare le angustie della confisca “tradizionale”, rispetto alla quale si pone in un rapporto di alternatività – sussidiarietà, per la sua attitudine a costituire un rimedio alle difficoltà di apprensione dei beni coinvolti nella vicenda criminale, cioè a supplire agli ostacoli connessi alla individuazione del bene in cui si incorpora il profitto e di consentire la confisca anche nel caso in cui l’apprensione del prezzo o del profitto derivante dal reato non sia più possibile in conseguenza dell’avvenuta cessione a terzi oppure a causa di forme di occultamento o, semplicemente, perché i beni sono stati consumati».

 

In queste ipotesi la confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito.

Nella confisca per equivalente, scomparendo tendenzialmente il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato, la provenienza dei beni dal reato non rappresenta più un oggetto di prova.

La natura sanzionatoria di questo tipo di confisca impedisce che essa possa trovare applicazione anche in relazione al prezzo o al profitto di reato derivante da un reato estinto per prescrizione: una volta che questo tipo di confisca viene accostata ad una sanzione di natura penale è indispensabile che sia preceduta da una pronuncia di condanna, dovendo escludersi che possa trovare applicazione il regime sulle misure di sicurezza patrimoniale, come gli artt. 200, 210 e 236 c.p. che, come si è visto, derogano ai principi penalistici della irrevocabilità e della inapplicabilità della sanzione penale in caso di estinzione del reato.

Del resto appare difficile offrire una diversa lettura delle specifiche disposizioni contenute nell’art. 322-ter c.p. che appunto subordina la confisca, anche quella di valore, alla condanna o all’applicazione della pena su richiesta delle parti: la confisca per equivalente può essere applicata, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’autore del reato (Sez. VI, 6 dicembre 2012, n. 18799, At.; Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192, Ba.).

 

Sulla confisca diretta

La giurisprudenza si rivela meno omogenea relativamente alla confisca diretta, concepita quale misura di sicurezza.

La Corte osserva al riguardo che:

  • un primo e più risalente orientamento sostiene che l’estinzione del reato preclude la confisca delle cose che ne costituiscono il prezzo, prevista come obbligatoria dall’art. 240, secondo comma, n. 1), del c.p. e mette in evidenza come la misura di sicurezza patrimoniale presupponga necessariamente la condanna;
  • un differente orientamento riconosce invece la possibilità di applicazione della confisca obbligatoria nell’ipotesi di estinzione del reato facendo leva sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p., cioè su norme specificamente dedicate alle misure di sicurezza e che, in relazione alla confisca, prevedono una deroga al principio stabilito dal citato 210 c.p., secondo cui l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza.

È stata ammessa la possibilità di disporre la confisca in relazione ad un reato prescritto, purché siano effettivamente accertati i profili di responsabilità.

Deve invece ritenersi preclusa la misura di sicurezza nei casi in cui l’estinzione del reato per prescrizione maturi prima del promovimento dell’azione penale, ovvero quando l’estinzione sia dichiarata nell’udienza preliminare o con sentenza emessa ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (in questa ipotesi difetta ogni accertamento in ordine alla responsabilità dell’imputato).

Quanto alle modalità della confisca del denaro sequestrato sul conto corrente e costituente il prezzo del reato:

  • se il prezzo del reato è costituito da somme di denaro è legittima la confisca diretta disposta ai sensi della prima parte dell’art. 322-ter, primo comma, p. sul conto corrente nella disponibilità dell’imputato (senza che sia necessaria alcuna verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato)3;
  • secondo una differente impostazione interpretativa, precedente a quella sopra richiamata, sarebbe necessaria una diretta derivazione causale dall’attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita, al fine di evitare un’estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato4.

 

Arricchimento consistente in mancato esborso di denaro

In Cass., sezione V, 4.6.2014, n. 27523, è stato sostenuto che il sequestro preventivo del profitto del reato, qualora costituito da un mancato esborso di denaro, può avvenire esclusivamente nelle forme del sequestro per equivalente, in quanto il vantaggio consiste in una entità contabile immateriale che non si è mai trasformata in moneta contante. Quando l’arricchimento illecito consiste in un mancato esborso, in sostanza, il sequestro dovrebbe necessariamente avvenire per equivalente, non solo perché il denaro è un bene assolutamente fungibile, ma principalmente perché in tal caso esso non ha mai avuto una sua dimensione fisica.

 

Una confisca «flessibile»

Nell’ambito dello stesso indirizzo si situa anche Cass., sezione II, 12.3.2014, n. 14600, la quale ha affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro, costituente il profitto del reato, può colpire sia la somma che si identifica in quella che è stata acquisita attraverso l’attività criminosa sia la somma corrispondente al valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta e comunque investita.

In relazione al sequestro di somme di denaro è necessario che la somma sia pertinente al reato contestato, sicché una somma di denaro che non abbia alcuna pertinenza con il reato non può essere sequestrata; una volta dimostrata la pertinenza, però, il sequestro può colpire sia quelle somme che si identifichino proprio in quelle che sono state acquisite attraverso l’attività criminosa, sia la somma corrispondente al valore nominale.

In definitiva in questa materia, in continua evoluzione, si sono registrati orientamenti contraddittori

«in cui si fronteggiano decisioni che si richiamano a principi affermati dalle Sezioni unite, ma in ambiti diversi, situazione questa che giustifica un intervento chiarificatore del Supremo consesso».

In particolare:

  • una prima questione attiene alla possibilità di disporre la confisca del prezzo del reato nonostante questo sia dichiarato prescritto ovvero quando manchi una sentenza di condanna o di applicazione concordata della pena: in questo caso, il contrasto è interno all’orientamento che ritiene che in tali casi la confisca debba essere disposta in via diretta;
  • un’ulteriore questione, collegata alla prima, concerne le modalità da osservare in caso di confisca di somme di denaro depositate sul conto corrente, se cioè debba disporsi la confisca per equivalente ovvero quella diretta, e in quest’ultimo caso se debba o meno ricercarsi e in che limiti il nesso pertinenziale tra denaro e

 

24 giugno 2015

Fabio Carrirolo

 

NOTE

1 Cfr. Cass., SSUU del 03/07/1996, n. 9149.

2 Il riferimento è a Cass., sezione II, 5.10.2001, n. 39756, e a Cass. sezione V, 23.10.2012, n. 48680.

3      Cass., SSUU, 30.1.2014, n. 10561.

4      Cass., SSUU, 24.5.2004, n. 29951.

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