Lista Falciani: le motivazioni della Cassazione per l'ammissibilità

analisi delle motivazioni per le cui la Corte di Cassazione considera validamente utilizzabile la cosiddetta Lista Falciani in fase di accertamento fiscale

Con l’ordinanza n. 9760 del 13 maggio 2015 (ud. 15 aprile 2015) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzabilità della cd.lista Falciani.

 

Il caso

L’avviso di accertamento trae origine dall’elemento contenuto nella cd. lista Falciani, dove veniva rilevato che il contribuente aveva sottratto al Fisco capitali rinvenuti su un conto della Banca svizzera HSBC Private Bank di Ginevra.

La riconducibilità dei dati riportati sulla scheda al contribuente sono stati gli elementi addotti dall’ufficio in sede di rettifica prima, e contenzioso dopo, e segnatamente:

a) le numerose esperienze professionali all’estero del contribuente, medico di fama internazionale;

b) la discrasia rappresentata dall’assenza di redditi da attività professionali nelle dichiarazioni dei redditi presentate e la mancata denunzia nei confronti dei terzi che a sua insaputa e a suo nome avrebbero aperto il conto.

 

Il pensiero della Cassazione

Osserva la Corte che la CTR ha erroneamente negato valore indiziario e presuntivo agli elementi che l’Ufficio aveva offerto a sostegno della pretesa correlati alla cd.lista Falciani, rinvenuta dalle autorità fiscali francesi presso il dipendente della Banca HSBC, valorizzando, viceversa: “a) la mancanza di alcun riscontro alla scheda clienti risultante dalla Banca HSBC, non risultando la lista riprodotta su carta intestata all’istituto bancario; b) l’assenza di conoscenza circa l’effettivo autore della lista; c) la circostanza che le indicazioni delle generalità riportate sulla scheda e riferibili al contribuente potevano essere acquisite da chiunque con una veloce ricerca su internet, anche considerando la notorietà del contribuente; d) il fatto che la scheda non era stata redatta su carta intestata della Banca”.

Osserva la Corte che la CTR, “nel procedere alla valutazione degli elementi indiziali offerti dall’Ufficio e proposti dalla parte ha in primo luogo riconosciuto valore indiziario (cioè di fonte di legittima presunzione) alla scheda clienti tratta dalla lista F.; l’attendibilità di tale ‘lista’ riceve del resto conforto proprio da quelle circostanze relative alla illiceità della provenienza”.

E’ peraltro pacifico che “il funzionario F. H. operava presso la banca HSBC e che quest’ultimo ha, con violazione dei suoi doveri nei confronti del datore di lavoro, estratto dall’archivio informatico della banca i files che costituiscono la così detta ‘lista F.’; esiste dunque un alto tasso di probabilità che i dati di cui si discute siano conformi al vero”.

E’ questo, quindi, l’indizio che doveva essere valutato dal giudice di merito, “che ben può contrapporvi altri indizi che inducano a giungere ad una ricostruzione dei fatti difforme dai dati ricavatoli dalla ‘lista’, ed a questo fine è essenziale il contraddittorio con l’interessato che può offrire elementi ulteriori per raggiungere la valutazione del ‘più probabile che non’“.

Né vale l’assunto secondo cui l’Amministrazione non ha verificato presso la Banca elvetica i dati contenuti nella “lista“, essendo ben noto che il segreto bancario in Svizzera, all’epoca dei fatti, non consentiva alcuna acquisizione di conforto al contenuto della Lista da parte dell’Amministrazione fiscale. “Parimenti erroneo appare il riferimento all’assenza di carta intestata sulla quale era stata redatta la scheda clienti, avendo la stessa CTR affermato che quest’ultima era stata tratta dalla ‘ormai famosa’ Lista F. contenente ‘un più vasto elenco’ di nominativi…, trovato nella disponibilità del dipendente della Banca e non presso l’Istituto bancario alla quale la stessa si riferiva. Ragion per cui non poteva venire in discussione la fisicità del documento proveniente dall’istituto bancario, quanto le risultanze estratte dalle banche dati dell’HSBC dal suo dipendente”.

Peraltro, proseguono i massimi giudici, “rispetto alla ritenuta possibilità di acquisire le generalità del contribuente via internet, la CTR, nel valutare il materiale indiziario posto a base della pretesa fiscale, ha totalmente tralasciato di considerare la valenza probatoria delle circostanze soggettive e oggettive che hanno condotto le autorità fiscali francesi all’acquisizione della Lista ed alla sua trasmissione nell’ambito di attività compiute dall’autorità fiscale francese e indirizzate a quella italiana in forza della collaborazione fra autorità fiscali regolata dalla Dir. CEE 77/779-, rappresentate dal soggetto presso il quale era stata acquisita la Lista – dipendente dell’istituto HSBC – elementi che la stessa CTR mostra di conoscere”.

 

I precedenti

L’ordinanza che si annota segue le due precedenti pronunce (ordinanze nn. 8605 e 8606 del 2015) che si sono occupate della questione.

In dette ordinanze, sostanzialmente, la Corte di Cassazione, dopo aver rilevato che la Corte di giustizia ha riconosciuto che la direttiva 77/799 non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, spettando solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme, senza che l’autorità italiana abbia l’obbligo di verificare la provenienza e l’autenticità della documentazione trasmessa (né esiste un diritto del contribuente ad essere preventivamente informato circa la procedura di cooperazione attivata nei suoi confronti) passa all’esame della questione relativa alla utilizzabilità o meno degli elementi trasmessi dall’autorità fiscale francese.

Preso atto della netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, si riconosce che “… non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sè, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.)

Tale prospettiva, osserva la Corte, si collega al principio per cui nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta all’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate“.

Illiceità che, in ogni caso, ed eventualmente, si colloca a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale (francese).

La Corte, quindi, indica i principi normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute. “Ed infatti, tanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, che l’art. 41, comma 2, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi ‘comunque’ acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33 e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza un fatto rilevante e non direttamente conosciuto. Ciò che trova, peraltro, un limite quando gli elementi probatori siano stati direttamente acquisiti dall’Amministrazione in spregio di un diritto fondamentale del contribuente”.

Inoltre, “l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia … e, comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi. Nè l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla lista (OMISSIS) determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente”.

 

Breve nota

Nell’attività istruttoria gli effetti invalidanti dell’acquisizione degli elementi probatori, in mancanza di “una esplicita norma che colleghi questi ultimi all’infrazione di una specifica e ben individuata disposizione, sarebbero ostacolati in virtù della stessa disciplina dell’accertamento che, conferendo all’Amministrazione finanziaria la potestà di ricostruire l’effettiva posizione fiscale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo ed a prescindere dalla fonte di provenienza, siano entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione medesima, implicitamente escluderebbe l’inammissibilità degli elementi stessi, anche in caso di inosservanza delle disposizioni procedurali che ne regolano le modalità di acquisizione. Effettivamente, appare difficile non riconoscere come la normativa in tema di accertamento e rettifica delle dichiarazioni permetta al Fisco ampie possibilità di utilizzare ogni dato indicativo di una maggiore capacità contributiva1”.

Ancora una volta la Cassazione rileva che la linea di confine fra l’ammissibilità e l’inammissibilità delle prove irritualmente acquisite dipende dalla presunta gravità della violazione, il cui giudizio viene demandato, di volta in volta, al giudice.

Tuttavia, nell’attività istruttoria, i presunti effetti invalidanti dell’acquisizione degli elementi probatori, in assenza di preclusioni specifiche, non rinvenibili né nel dettato normativo né nell’ordinamento tributario, sono ostacolati dalle stesse norme sull’accertamento (peraltro richiamate dalla stessa Cassazione nelle due ordinanze nn. 8605 e 8606 del 2015) che consentono all’Amministrazione finanziaria di ricostruire la posizione reddituale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo ed a prescindere dalla fonte di provenienza, siano entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione medesima:

  • l’art. 36 del D.P.R. n. 600/1973, che prescrive che “i soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali civili e amministrativi che, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi o norme regolamentari per l’inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l’eventuale documentazione atta a comprovarli“;

  • l’art. 37, c. 1, del D.P.R. n. 600/1973, che afferma che ”gli uffici …procedono … al controllo delle dichiarazioni … attraverso … le informazioni di cui siano comunque in possesso“;

  • l’art. 38, c. 3, del D.P.R. n. 600/1973, che statuisce che “l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza della dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’art. 39, possono essere desunte…dai dati e dalle notizie di cui all’articolo precedente“ (da individuarsi nell’art. 37);

  • l’art. 39, cc. 1 e 2, del medesimo D.P.R. n. 600/1973 che, rispettivamente, in tema di rettifica analitica ed induttiva dei redditi determinati in base a scritture contabili, contemplano la possibilità di rilevare l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio, nonché di determinare induttivamente il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza;

  • l’art. 41, cc. 1 e 2, del D.P.R. n. 600/1973, che consente agli uffici di procedere all’accertamento d’ufficio nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazioni nulle, “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza“;

  • gli artt. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972, che permettono agli uffici di procedere ad accertamento qualora risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile;

  • l’art. 55 del D.P.R. n. 633/1972, in tema di accertamento induttivo ai fini Iva, che permette, così come ai fini delle imposte sui redditi, la determinazione dell’imponibile complessivo e dell’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza.

 

6 giugno 2015

Gianfranco Antico

1 SCREPANTI, Irrituale acquisizione di elementi probatori. Utilizzabilità ai fini dell’accertamento e responsabilità dei verificatori, in “il fisco“, n. 33/2001, pag. 11046.