La transazione fiscale questa sconosciuta: una particolare procedura transattiva tra Fisco e contribuente, collocata nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione

in caso di procedura concorsuale minore risulta spesso problematico gestire il debito fiscale; proponiamo un approfondimento di 11 pagine che analizza la procedura di transazione fiscale: le modalità di accesso, i tributi transigibili, i tributi esclusi con particolare attenzione al problema dell’IVA

Con la Circolare n. 19 del 6 maggio 2015, l’Agenzia delle Entrate fornisce istruzioni a riepilogo delle modifiche normative e degli ultimi indirizzi della giurisprudenza costituzionale e di Cassazione.

In particolare, la Circolare illustra:

– le modifiche normative intervenute nell’ambito della transazione fiscale;

– la giurisprudenza in tema di transazione fiscale, con riguardo alla natura dell’istituto della transazione, alla non impugnabilità dell’assenso o del diniego alla proposta di transazione, al principio di indisponibilità della pretesa tributaria, alla facoltatività della transazione ed al trattamento del credito Iva;

le fattispecie penali;

le questioni relative alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, dato che tra i debiti risanabili attraverso la composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche i debiti di natura tributaria, chiarendo in particolare i presupposti di accesso alla procedura in questione, gli adempimenti dell’Agente della riscossione e dell’Agenzia delle Entrate, l’omologazione dell’accordo e del piano del consumatore, la reclamabilità del decreto di omologazione, l’esecuzione dell’accordo e del piano del consumatore, l’annullamento, la risoluzione dell’accordo e la revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano.

– il procedimento della liquidazione del patrimonio, al quale il soggetto in stato di sovraindebitamento può ricorrere in alternativa all’accordo ed al piano del consumatore. 

– gli organismi di composizione della crisi.

In particolare il documento di prassi chiarisce poi che il concordato preventivo con falcidia o dilazione dei debiti tributari è ammissibile anche se non è stata presentata la domanda di transazione fiscale e sottolinea l’intangibilità del credito Iva e del credito per le ritenute operate e non versate.

La Circolare contiene poi, come detto, un ampio approfondimento anche sulla disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, riferita ai soggetti esclusi dall’applicazione degli istituti disciplinati dalla legge fallimentare.

Tra le altre cose la Circolare chiarisce quindi che la presentazione della domanda di transazione fiscale non costituisce un obbligo per il debitore che, nell’ambito del concordato preventivo, chiede la falcidia o la dilazione dei debiti tributari. Il concordato preventivo con falcidia o dilazione è quindi ammissibile anche in assenza di domanda di transazione fiscale. In questo caso, tuttavia, l’omologazione del concordato non comporta l’effetto di consolidamento del debito tributario proprio della transazione. La circolare sottolinea inoltre che il debito tributario relativo all’Iva può essere solo oggetto di dilazione e non di falcidia: una precisazione che vale anche per le ritenute operate e non versate.

Ampio spazio è dedicato poi, come detto, alle procedure previste dalla Legge 3/2012, volte a gestire le situazioni di crisi che riguardano soggetti esclusi dall’applicazione degli istituti disciplinati dalla legge fallimentare: accordo di composizione della crisi, piano del consumatore liquidazione dei beni, laddove viene in particolare affermato che tra i debiti risanabili rientrano anche quelli di natura fiscale, fermo restando che, come detto, per l’Iva e per le ritenute è possibile la sola dilazione del pagamento.

Viene infine precisata la non impugnabilità dell’assenso e del diniego alla proposta di transazione.

La Circolare, al di là delle dettagliate indicazioni in essa comprese, è senz’altro l’occasione per una rivalutazione dell’istituto, ad oggi forse non sufficientemente conosciuto ed ancor meno utilizzato.

Va, innanzitutto, rammentato che il legislatore ha introdotto la possibilità di proporre la transazione fiscale sia nell’ambito della presentazione di una proposta di concordato preventivo ex art. 160 della legge fallimentare, sia nel corso delle trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis della medesima normativa.

 

Il superamento del principio di rigida indisponibilità dell’obbligazione tributaria, introdotto con la transazione fiscale di cui all’art. 182 ter L.F., consentendo all’impresa che versa in uno stato di crisi temporanea di concordare con l’Amministrazione finanziaria, alle condizioni e nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, una rideterminazione dei tempi di adempimento dei propri debiti fiscali (transazione fiscale dilatoria) e/o, nei casi di crisi finanziaria più grave, anche una riduzione quantitativa dei crediti erariali, sia privilegiati che chirografari, (transazione fiscale remissoria), si pone in linea con la ratio della riforma della legge fallimentare del 2006, che tende a favorire meccanismi di conservazione di quelle imprese che, seppur in crisi, siano in una situazione di possibile e prevedibile rilancio dell’attività produttiva con salvaguardia dei livelli occupazionali sul territorio.

Se, pertanto, lo Stato può eccezionalmente rinunciare a pretendere l’esatto adempimento del proprio credito erariale, il primo motivo che giustifica tale parziale remissione è rappresentato dall’interesse che lo stesso Stato, come ente esponenziale degli interessi collettivi, ha per il mantenimento di una realtà produttiva che va rilanciata sul mercato e che può verosimilmente produrre i suoi frutti in termini di:

mantenimento dei livelli occupazionali;

contributo alla determinazione del PIL nazionale;

produzione di novella ricchezza e di nuove entrate tributarie;

pagamento di tributi non versati in precedenti periodi di imposta, per importi superiori a quanto si ricaverebbe da una probabile liquidazione fallimentare.

Se questi sono i motivi che giustificano anche una parziale remissione del debito tributario, appare chiaro che la prima indagine da compiere, per verificare l’ammissibilità di una procedura di transazione fiscale, deve essere diretta ad accertare l’esistenza per l’impresa di uno stato di crisi effettiva, anche se transitorio, con possibilità di una ripresa dell’attività economica che determini il completo risanamento aziendale, valutando contestualmente tutti i descritti profili funzionali della transazione fiscale: “Ne consegue che, in linea di principio, quanto meno nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, non dovrebbero ritenersi ammissibili proposte di transazione fiscale con intento meramente liquidatorio che prevedano la cessazione dell’attività d’impresa mediante l’integrale cessione dei beni” (Nota DCA n. 65895 del 18.05.2012).

 

La transazione fiscale rappresenta quindi una particolare procedura «transattiva» tra Fisco e contribuente, collocata nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, avente a oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario.

L’istituto della transazione, tipico del diritto civile (art. 1965 c.c.), rappresenta del resto un’assoluta novità nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito tributario.

La ratio che giustifica il ricorso allo strumento transattivo, a differenza degli altri istituti deflativi, si lega essenzialmente in questi casi all’esigenza di raggiungere una composizione concordata della crisi, evitando così, per quanto possibile, il dissesto irreversibile dell’imprenditore commerciale, e così anche la perdita definitiva delle possibilità di riscossione del credito.

In tale ottica, mentre l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 138 del 2002 attribuiva l’iniziativa della transazione all’Agenzia delle entrate, l’art. 182-ter L.F. stabilisce invece, ai commi primo e sesto, che la proposta di transazione fiscale può essere presentata dal debitore «Con il piano [di concordato preventivo] di cui all’art. 160», ovvero «nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis».

Ne consegue quindi che la proposta di transazione non può essere presentata dagli Uffici finanziari, ma esclusivamente dal debitore.

L’art. 182-ter, primo comma, L.F., stabilisce poi che «il debitore può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, … , ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea».

Ne consegue che restano esclusi dall’ambito applicativo della disposizione in commento i tributi locali, ad esempio, Ici, Tarsu, Tosap, imposta sulle pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni.

Con riferimento all’IRAP, invece, tale imposta deve essere ricompresa nell’ambito applicativo della transazione fiscale, in quanto, pur dando luogo a un gettito non erariale, essa è comunque amministrata dall’Agenzia delle entrate.

Infine, l’art. 182-ter esclude espressamente dalla transazione fiscale i «tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea».

 

E tra queste sicuramente rientra l’Iva, che è esclusa dalle transazioni fiscali e il cui debito dovrà essere comunque interamente assolto dal contribuente.

È comunque escussa solo l’imposta; gli accessori relativi all’Iva, vale a dire gli interessi e le sanzioni, possono pertanto formare oggetto di transazione fiscale.

Su tali questioni è comunque poi ancora intervenuto il legislatore, che con l’art. 32, comma 5, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 ha nuovamente modificato l’art. 182-ter in più parti, stabilendo, tra l’altro, espressamente, che la proposta di transazione fiscale può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento Iva.

La possibilità per il debitore di proporre un pagamento dilazionato dell’Iva trova comunque applicazione anche nell’ambito delle trattative per accordo di ristrutturazione debiti, di cui all’art. 182-bis.

Con la circ. min. 10 aprile 2009, n. 14, l’Agenzia aveva peraltro già confermato l’impossibilità di proporre la riduzione dell’Iva, ammettendo però che le imprese in crisi potessero presentare comunque una domanda di transazione fiscale per l’Iva, anche se limitata alla mera possibilità di ottenerne una dilazione di pagamento.

La medesima circolare aveva inoltre già confermato anche l’estensione della procedura ai crediti contributivi amministrati dagli enti previdenziali e assistenziali, sebbene precisasse che, in riferimento all’applicazione dell’istituto a tali contributi, è necessario differenziare le due procedure.

Si tratta, infatti, di due tipologie di crediti che hanno una diversa regolamentazione giuridica – ente creditore, causa del credito, interesse tutelato, giurisdizione competente, eccetera – e quindi, posizione giuridica e interessi economici non omogenei.

Mentre nel testo iniziale dell’art. 182-ter la transazione fiscale era riservata ai “tributi”, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 185 del 2008 l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto è infatti stato allargato ai “contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”.

La novella normativa era essenzialmente diretta a consentire la fruizione della transazione fiscale anche con riferimento alle somme dovute dall’impresa in stato di crisi a titolo di contributo previdenziale o assistenziale ad Enti quali l’INPS, bilanciando così parzialmente la restrizione dell’ambito oggettivo operata precludendo la possibilità di abbattere i debiti riferiti all’imposta sul valore aggiunto, fermo restando che, invece, con riferimento alle ritenute operate e non versate, la proposta di transazione, come per l’IVA, potrà prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento (oltre all’abbattimento degli interessi e delle sanzioni).

Le modalità di applicazione della transazione fiscale in ambito contributivo è poi precisato dal D.M. 4 agosto 2009, in forza del quale la proposta deve prevedere il pagamento integrale per quanto riguarda i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. (cioè i crediti per contributi ad istituti, enti o fondi speciali, compresi quelli sostitutivi o integrativi, che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti) e per i crediti per premi.

Per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art. 2778 c.c. [cioè i crediti per contributi dovuti ad istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale diverse da quelle obbligatorie, nonché gli accessori, limitatamente al cinquanta per cento del loro ammontare, relativi a questi ultimi crediti ed a quelli di cui al precedente n. 1)] la proposta del contribuente deve essere invece non inferiore al quaranta per cento; per i crediti di natura chirografaria, infine, non può essere inferiore al trenta per cento.

Diversamente da quanto accade con riferimento ai tributi, dunque, in ambito contributivo sono stati fissati dei livelli massimi per gli abbattimenti concedibili in sede di transazione ex art. 182-ter.

Quanto alla dilazione di pagamento essa non può essere superiore a sessanta rate mensili con applicazione degli interessi al tasso legale.

 

Giova infine evidenziare che il richiamo indistinto a tutti i “contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”, deve far ritenere potenzialmente transigibili anche le somme dovute agli Enti di previdenza diversi dall’INPS, quali, ad esempio, l’ENPALS, l’ENASARCO e l’IPSEMA.

In base all’art. 182-ter, nell’ambito della transazione fiscale, oltre ai tributi e contributi sin qui individuati, rientrano altresì i “relativi accessori”, laddove tra gli accessori rientrano, come detto, gli interessi, in quanto trattasi di somme strettamente correlate al (e computate sul) tributo o contributo, al fine di “aggiornarne” il valore in funzione del decorso del tempo.

Anche le sanzioni, del resto, si considerano “accessori” del tributo o contributo, in quanto tendenzialmente connesse, oltre che commisurate, ad un tributo o contributo.

Del resto, una volta riconosciuta la possibilità di transigere i tributi ed i contributi, la necessità di rideterminare le sanzioni dovrebbe rappresentare una conseguenza logica, al pari di quanto avviene in istituti quali l’accertamento con adesione e la conciliazione.

Sennonché, mentre in detti istituti la modalità di rideterminazione delle sanzioni è espressamente prevista dal legislatore, nell’ambito della transazione fiscale non è previsto alcunché.

Dal dettato normativo emerge poi che anche “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie” sono oggetto della transazione fiscale.

L’art. 182-ter fissa infatti i limiti quantitativi della transazione fiscale, stabilendo che se il credito tributario e contributivo è assistito da privilegio “la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”.

Se il credito tributario e contributivo ha natura chirografaria, invece, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.

In sede di predisposizione della proposta di transazione fiscale, dunque, il contribuente dovrà rispettare il criterio fissato dal legislatore, che si risolve, in sostanza, in un divieto di discriminare in peius l’Erario e gli Enti previdenziali ed assistenziali rispetto agli altri creditori con privilegi analoghi o inferiori.

Il debitore, contestualmente al deposito presso il Tribunale, deve quindi presentare copia della domanda di transazione all’Ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale, nonché al competente agente della riscossione.

Considerato che la transazione fiscale può essere proposta con il piano di cui all’art. 160 L.F., la domanda deve essere corredata della relativa documentazione, inclusa quella prevista dall’art. 161 L.F., nonché da copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici e delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda stessa.

La presentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competente agente della riscossione sia al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate, costituisce pertanto un onere il cui assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione fiscale.

 

La domanda di transazione fiscale, redatta su carta semplice e indirizzata al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate, deve contenere, oltre agli allegati richiesti dalla legge, almeno:

  • – le indicazioni complete del contribuente che richiede la transazione (denominazione o nome, codice fiscale, rappresentante legale, ecc.);

  • – se del caso, gli elementi identificativi della procedura di concordato preventivo in corso (indicazione degli organi giudiziari competenti, dati identificativi del procedimento, del decreto di ammissione ecc.);

  • – la completa ed esauriente ricostruzione della posizione fiscale del contribuente, così come a lui nota, con indicazione di eventuali contenziosi pendenti;

  • – l’illustrazione della proposta di transazione, con indicazione dei tempi, delle modalità e delle garanzie prestate per il pagamento, tenendo conto di tutti gli elementi utili per un giudizio di fattibilità e convenienza della transazione;

  • – l’indicazione, anche sommaria, del contenuto del piano concordatario. Il piano andrà comunque allegato alla domanda di transazione, con tutta la documentazione relativa, prevista dagli artt. 160 e ss. L.F.

 

Entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda di transazione, l’Ufficio, previa verifica del rispetto dei requisiti posti dalla legge per l’ammissibilità della proposta di transazione, dovrà provvedere, qualora ne ricorrano i presupposti, ai necessari adempimenti connessi con l’attività di controllo:

  • – liquidazione tributi risultanti dalle dichiarazioni;

  • – notifica delle relative comunicazioni di irregolarità;

  • – notifica avvisi di accertamento.

Prima che sia decorso il medesimo termine di trenta giorni, l’Ufficio dovrà quindi predisporre e trasmettere al debitore una certificazione attestante il complessivo debito tributario; di particolare importanza qualora quest’ultimo sia di importo superiore a quello indicato nella domanda di transazione fiscale presentata. Nella certificazione dovrà includersi in ogni caso anche il debito relativo all’Iva.

 

Nell’identificare il debito di imposta gli Uffici terranno altresì conto degli atti acquisiti anche nei trenta giorni successivi alla presentazione della domanda, quali:

  • – avvisi di accertamento notificati, inclusi gli accertamenti parziali di cui all’art. 41-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, per la parte non iscritta a ruolo;

  • – ruoli vistati ma non ancora consegnati all’agente della riscossione alla data di presentazione della domanda.

Gli Uffici terranno conto a fini istruttori anche dei seguenti atti:

  • – processi verbali di constatazione;

  • – inviti al contraddittorio di cui agli artt. 5 e 11 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 inviati al contribuente.

Nel caso in cui il Tribunale abbia emesso il decreto di apertura della procedura di concordato preventivo, copia degli atti notificati o comunicati al debitore successivamente alla data di presentazione della proposta, nonché copia della certificazione attestante il debito di imposta, dovranno essere trasmessi al Commissario giudiziale.

La disciplina normativa non dispone peraltro, in caso di transazione fiscale, la preclusione di ulteriore attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Ciò comporta che è sempre possibile per l’Amministrazione finanziaria, ove ne ricorrano le condizioni, l’esercizio dei poteri di controllo. Da tale controllo potrà conseguire la determinazione di un debito tributario anche superiore rispetto a quello attestato nella certificazione rilasciata al debitore, o altrimenti individuato al termine della procedura di transazione fiscale; di più, l’Amministrazione potrà far valere in ogni caso questo maggior credito nei confronti dello stesso contribuente che ha ottenuto l’omologazione del concordato nonché degli obbligati in via di regresso.

Per quanto concerne i tributi oggetto di contenzioso, si ricorda inoltre che il quinto comma dell’art. 182-ter stabilisce che «la chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’art. 181 determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi di cui al primo comma». Tale effetto attiene ovviamente solo alle liti riguardanti i tributi oggetto di transazione.

La cessazione della materia del contendere si produce con la chiusura della procedura e, quindi, con il decreto di omologazione.

 

La procedura di adesione prevede dunque:

  • – il rilascio da parte dell’Ufficio – entro il termine di trenta giorni – degli avvisi di irregolarità e della certificazione;

  • – la trasmissione di tali documenti al Commissario giudiziale, successiva al decreto di ammissione al concordato preventivo (art. 163 L.F.);

  • – la convocazione dei creditori (art. 171 L.F.) e la elaborazione della relazione (art. 172 L.F.) nella quale vengono descritte le cause del dissesto, la condotta del debitore, le proposte di concordato e le garanzie offerte ai creditori. Entrambe le procedure sono espletate dal Commissario giudiziale;

  • – la partecipazione al voto, in sede di adunanza dei creditori, del Direttore dell’Ufficio e del Concessionario, previa acquisizione del parere della Direzione regionale.

La chiusura della procedura di concordato avviene tramite decreto di omologazione e determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi per i quali si è perfezionata la transazione.

In caso di accordo, l’Amministrazione finanziaria si pronuncerà a favore della chiusura della procedura.

A tal proposito, l’art. 182-ter regola due distinte situazioni:

  • – in caso di tributi non iscritti a ruolo alla data di presentazione della domanda, o non ancora consegnati al Concessionario del Servizio nazionale della riscossione, l’adesione alla proposta di concordato si perfeziona con atto del Direttore dell’Ufficio, su parere conforme della competente Direzione regionale, espresso mediante voto favorevole in sede di adunanza dei creditori;

  • – in caso di tributi iscritti a ruolo alla data di presentazione della domanda e già consegnati al Concessionario, quest’ultimo esprimerà il voto in sede di adunanza dei creditori, su indicazione del Direttore dell’Ufficio e previo conforme parere della competente Direzione regionale. È evidente come l’intervento del Concessionario risulti totalmente vincolato.

Si evidenzia infine che il D.L. n. 98/2011, con l’attribuzione del privilegio mobiliare anche agli accessori (sanzioni e interessi) del tributo e l’abbandono del limite temporale biennale dalla data del pignoramento (o della dichiarazione di fallimento) per godere della prelazione, ha comunque ulteriormente ampliato la tutela del credito erariale in situazioni di crisi del debitore.

Con tale intervento normativo il legislatore ha dunque ridisegnato i confini dei privilegi assegnati ai crediti tributari nell’ambito della gradazione prevista dal codice civile.

Ai sensi del nuovo comma 1 dell’art. 2752 del codice civile hanno privilegio generale sui mobili del debitore i crediti dello Stato per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di Irpef, Ires, Irap e imposte locali sui redditi.

La nuova disposizione generalizza l’attribuzione del privilegio a tutte le imposte erariali, ne estende l’applicazione anche alle sanzioni tributarie (prima della modifica soltanto le sanzioni Iva godevano del privilegio) e, soprattutto, non richiede più che i debiti tributari “siano iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente”.

Quindi cambia l’estensione e il presupposto per l’attribuzione del privilegio fiscale.

Nel sistema previgente, infatti, il privilegio veniva riconosciuto soltanto alle imposte iscritte nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il Concessionario si insinuava al passivo, e nell’anno precedente, subordinando così il riconoscimento del privilegio alla “tempestività” con cui il concessionario della riscossione si insinuava al passivo fallimentare.

Ora il Concessionario in fase dell’insinuazione dovrà solamente provare che i crediti tributari (comprese le sanzioni) per i quali chiede l’ammissione al privilegio siano stati iscritti a ruolo e che la relativa cartella di pagamento sia stata (previamente) notificata al fallito o al curatore, indipendentemente dal momento in cui il ruolo è stato reso esecutivo.

Quanto infine alla natura obbligatoria o facoltativa dell’istituto, la giurisprudenza ha qualificato la transazione fiscale quale procedimento endoconcorsuale facoltativo a favore dell’imprenditore che propone ai propri creditori un concordato preventivo di cui all’art. 160 l.f,.

Il ricorso alla transazione fiscale configura quindi una mera facoltà accordata al debitore concordatario, il quale resta comunque libero di riservare ai crediti tributari (ed ora anche a quelli previdenziali/assistenziali) un trattamento conforme alle sole regole generali dettate dall’art. 160, senza necessità di attivare contestualmente il sub-procedimento di cui all’art. 182ter.

In particolare, del resto, il dato letterale del primo comma dell’art. 182ter, secondo cui “con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento […]”, lascia chiaramente trapelare la volontà del legislatore di prevedere una semplice facoltà e non un obbligo di ricorrere alla transazione fiscale.

Secondo i giudici di legittimità, la facoltatività della transazione fiscale sarebbe comunque supportata anche da altre motivazioni.

In particolare, l’attivazione del sub-procedimento di cui all’art. 182ter sarebbe funzionale all’ottenimento del vantaggio ad esso peculiare, rappresentato dalla definitiva quantificazione del carico tributario, e quindi dalla maggiore trasparenza e leggibilità della proposta, cui conseguirebbe in tal modo una più elevata probabilità di ottenere, oltre all’assenso del Fisco, anche quello degli altri creditori.

Inscindibilmente connesso ai citati benefici, tuttavia, vi è il “costo” che l’imprenditore proponente sarebbe tenuto a sostenere, dato dalla “necessità di accogliere tutte le pretese dell’Amministrazione, non essendo plausibile che la stessa, dopo aver indicato il proprio credito, accetti in questa sede di discuterlo e ridurlo”.

La mancata attivazione della procedura, del resto, se comporta l’impossibilità di ottenere il vantaggio della definitiva quantificazione delle pendenze fiscali, conserverebbe tuttavia in capo al proponente la facoltà di contestare la pretesa erariale nella speranza di ottenere un minor esborso.

In sostanza, in ogni caso, proprio la consapevolezza dei rilevanti “costi” insiti nel ricorso alla soluzione transattiva fa propendere per la facoltatività della medesima, posto che altrimenti il totale assoggettamento alle pretese impositive, insito nell’estinzione del contenzioso tributario pendente, pregiudicherebbe notevolmente le possibilità di accesso al concordato, in stridente contrasto con le intenzioni del legislatore.

Infine, dato che il concordato è omologabile anche nell’ipotesi in cui il tentativo di raggiungere un accordo transattivo con il Fisco sia andato fallito, non vi è alcuna ragione di ritenere che tale tentativo sia obbligatorio: a fortiori, un siffatto obbligo non avrebbe senso nel caso in cui il debitore sin dall’inizio non intenda addivenire ad alcun “accomodamento” con la controparte pubblica, perché ad esempio ne conosce già le pretese ed intende contestarle, accettando consapevolmente il rischio di un voto contrario dell’ufficio.

 

L’opportunità di adire ad una transazione fiscale attiene dunque esclusivamente al campo della convenienza per il debitore concordatario, in particolare sotto il profilo degli effetti tipici prodotti dalla transazione fiscale e cioè, come visto, della possibilità di “consolidare” il debito tributario, nonché di definire, mediante cessata materia del contendere, con l’eventuale decreto di omologa ex art. 181 l.f., il contenzioso avente ad oggetto i tributi oggetto di transazione fiscale.

In particolare, il consolidamento del debito tributario consente al debitore concordatario di avere certezza della pretesa erariale, poiché, come visto, ai sensi del comma 2 dell’art. 182-ter l.f., l’Agenzia e il concessionario della riscossione dovranno comunicare, entro 30 giorni dall’avvenuta presentazione della domanda, l’esatto ammontare del proprio credito, distinto fra privilegiato e chirografario; detta comunicazione, dopo il decreto di ammissione, dovrà essere effettuata nei confronti del Commissario Giudiziale.

Appare, pertanto, evidente l’utilità di tale consolidamento, non previsto nel concordato preventivo senza transazione fiscale, che permette sia di verificare la correttezza della proposta concordataria, sia di individuare esattamente l’ammontare del credito dell’Agenzia ammesso al voto.

Il secondo effetto tipico della transazione fiscale è costituito invece, come detto, dalla cessazione della materia del contendere per i tributi oggetto di proposta di transazione fiscale, laddove la cessazione della materia del contendere è subordinata alla pronuncia del decreto di omologa di cui all’art. 181 l.f..

Non essendo previsto né nell’art. 182-ter l.f., né nelle norme sul contenzioso tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, una sospensione obbligatoria (art. 39) o una ipotesi di interruzione (art. 40), la richiesta di transazione fiscale dovrebbe essere comunque opportunamente accompagnata da una richiesta di sospensione delle liti in corso proposta dal debitore concordatario già nell’atto introduttivo della stessa transazione fiscale.

Insomma, un istituto certamente complesso, i cui molteplici aspetti sono però ormai stati chiariti da prassi e giurisprudenza.

Un istituto del restio che sicuramente può rappresentare un’occasione importante, per i contribuenti, ma anche per l’Amministrazione, per la salvaguardia della sana economia, a cui dovrebbe essere garantita la possibilità di una ripartenza.

25 maggio 2015

Giovambattista Palumbo