Chi ha diritto a richiedere la revocatoria dell’atto di scissione? Quando è possibile chiederla? Qual è il giudice competente a decidere sulla revocatoria?
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno composto un contrasto interpretativo di lungo corso sulla competenza a decidere le azioni revocatorie che abbiano ad oggetto un atto di scissione societaria. La Corte ha tracciato una linea di demarcazione netta, ma razionalmente coerente, tra la sfera del giudice specializzato in materia d’impresa e quella del tribunale fallimentare, secondo un criterio fondato non sulla mera qualificazione dell’azione, bensì sulla causa petendi che ne sostiene la struttura.
Quale giudice per la revocatoria dell’atto di scissione?

Da un lato, quando la revocatoria è ordinaria ex art. 2901 c.c., promossa da un creditore individuale, la competenza spetta alla Sezione specializzata in materia di impresa istituita presso il Tribunale del luogo ove la società ha sede. Ciò perché l’atto di scissione, che costituisce l’oggetto del giudizio, non è un atto privatistico isolato, ma un atto endosocietario rilevante in diritto societario, la cui valutazione presuppone la conoscenza del diritto societario e delle operazioni straordinarie. Il giudice competente non è quindi individuato in ragione del tipo di rimedio invocato, ma del fatto generatore che ne costituisce il perno: la scissione come fenomeno giuridico complesso, che qualifica la domanda e determina la necessità di un giudice tecnico-specializzato.
Dall’altro lato, quando l’azione è esercitata dal curatore fallimentare, oggi disciplinata dagli artt. 166 e seguenti del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), la competenza resta radicata presso il Tribunale fallimentare. La ragione non è di natura soggettiva, ma funzionale, la revocatoria del curatore è un’azione di massa, preordinata alla reintegrazione del patrimonio destinato alla soddisfazione collettiva dei creditori. Il foro concorsuale conserva in questo caso carattere inderogabile, in virtù del principio di concentrazione funzionale delle controversie che incidono sull’attivo fallimentare (art. 7 CCII, già art. 24 l. fall.), principio che impone la trattazione unitaria di tutte le azioni che derivano o si innestano sulla procedura.
La distinzione è, dunque, più profonda di quanto appaia, le Sezioni Unite non si limitano a distribuire la competenza, ma individuano un criterio di riparto che riflette due diverse logiche di tutela. L’azione individuale di revocatoria ordinaria difende un interesse patrimoniale privato e si muove su un piano di diritto comune; quella del curatore persegue un fine collettivo, di ripristino dell’integrità dell’attivo, e trova la sua sede naturale nel giudice della procedura. In questo senso, la Corte ribadisce un principio di metodo già presente in giurisprudenza, ma mai prima sistematizzato con tale chiarezza:
“La competenza segue la funzione e non l’etichetta formale dell’azione.”
Sul piano teorico, la decisione si colloca al crocevia di tre direttrici dogmatiche. La prima è la distinzione tra criterio del petitum e criterio della causa petendi: se il primo guarda all’effetto giuridico richiesto (dichiarare l’inefficacia di un atto), il secondo valorizza il fatto costitutivo su cui la pretesa si fonda. Nel caso della scissione, il fatto costitutivo è un’operazione societaria regolata dal diritto delle imprese, e non un atto meramente civilistico.
La seconda direttrice è la differenza strutturale fra azioni individuali e azioni di massa. Nella revocatoria ordinaria, il pregiudizio colpisce un singolo creditore e l’effetto della pronuncia è di inefficacia relativa; nella revocatoria del curatore, il pregiudizio è dell’intera massa e l’effetto reintegrativo si proietta su tutti i creditori. Questa distinzione di funzione comporta una diversità di foro, giustificata dalla diversa posizione processuale e sostanziale dei soggetti coinvolti.
La terza è il principio di concentrazione funzionale: il legislatore e la giurisprudenza tendono a evitare la dispersione di competenze, concentrando davanti al giudice della crisi tutte le azioni che interferiscono con il patrimonio fallimentare. È una logica di sistema, che privilegia l’economia processuale e la coerenza delle decisioni sulla massa.
Il dato normativo conferma questa architettura. L’art. 3, comma 2, lettera a), del D.lgs. 168/2003 assegna alle Sezioni imprese le controversie “relative a rapporti societari, ivi comprese quelle concernenti operazioni di trasformazione, fusione e scissione”. La scissione è dunque, per espressa previsione di legge, materia tipica del giudice specializzato. Al contempo, l’art. 7 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (già art. 24 l. fall.) sancisce la competenza esclusiva del tribunale che ha dichiarato l’apertura della procedura per tutte le azioni che ne derivano, incluse le revocatorie

