Palestre: per i benefici fiscali occorre sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto, anche se le prestazioni sono rese ai soci

le associazioni sportive dilettantistiche, benché riconosciute dal C.O.N.I., non godono di uno status di extrafiscalità che li esenta per definizione da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto: analisi del caso delle palestre strutturate come A.s.D.

 

Le associazioni sportive dilettantistiche, benché riconosciute dal C.O.N.I., non godono di uno status di extrafiscalità che li esenta per definizione da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto. I Giudici della II Sezione di C.T.P. Firenze, ribadiscono, nella sentenza 8/01/2015, n. 149 (depositata il 5/02/2015) il principio, più volte espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui la lacunosa compilazione dei rendiconti, unita all’ assenza di democraticità nella vista sociale e la mancanza del rapporto associativo consente agli uffici fiscali il legittimo disconoscimento dello status di A.S.D. senza scopo di lucro e quindi delle relative agevolazioni fiscali.

 

Riferimenti normativi

Nell’ambito degli enti non commerciali una particolare disciplina è riservata ai cosiddetti “enti di tipo associativo”.

Secondo quanto previsto dall’art. 148, c. 3, del D.P.R. 22/12/1986, n. 917, “per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti di iscritti, associati o partecipanti … nonché le cessioni a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.

L’agevolazione si estende inoltre agli iscritti o associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale.

Il successivo comma ottavo del medesimo art. 148 del D.P.R. n. 917/86, individua le clausole che le associazioni devono necessariamente inserire nei propri atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata registrata al fine di accedere ai benefici fiscali.

La ratio di queste disposizioni è quella di garantire l’assenza dello scopo di lucro dell’associazione, di tutelarne la democraticità, di assicurare una maggiore trasparenza gestionale e, dunque, di evitare fenomeni di elusione fiscale. In sostanza, occorre che le associazioni interessate si conformino alle clausole riferite:

a) al divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;

b) all’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità1;

c) alla disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

d) all’obbligo di redigere e di approvare annualmente, da parte dell’assemblea dei soci regolarmente convocata, un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie, avendo cura di conservare la documentazione, anche non fiscale, secondo le modalità previste dal D.P.R. 29/09/1973, n. 600 (in tal senso C.M. 19/05/1998, n. 124/E)

e) all’eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti2;

f) all’intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.

 

I più (comuni) rilievi del Fisco: mancata democraticità nella vista sociale ed assenza di rendicontazione delle spese

 L’attività di verifica compiuta dai funzionari degli Uffici provinciali si concentra, normalmente, sull’accertamento della sussistenza, in capo alle stesse associazioni, dei requisiti generalmente previsti per gli enti non commerciali.

Può capitare, infatti, che gli operatori che gestiscono impianti sportivi assumono soltanto fittiziamente la veste giuridica associativa, con l’unico scopo di fruire del particolare regime di tassazione riservato agli enti non commerciali, vale a dire detassazione IRES ed IRAP, ed esclusione da IVA.

In termini generali, l’Amministrazione finanziaria verifica l’assenza dello scopo di lucro e, soprattutto, presume eventuale distribuzione in nero agli associati (normalmente componenti il consiglio direttivo) degli utili percepiti nello svolgimento dell’attività.

Dall’esame concreto dell’attività svolta sembrerebbero due gli elementi maggiormente monitorati dai verificatori, vale a dire:

  1. la partecipazione attiva dei soci alla vita dell’associazione;

  2. la rendicontazione delle spese sostenute per la promozione dell’attività sportiva a fronte delle quote associative versate dagli associati.

Con riferimento alle modalità di espressione del voto, gli esiti delle verifiche eseguite nei confronti di A.S.D. contestano, di sovente, le mancate convocazioni delle assemblee, il limitato numero di soci presenti alle stesse, nonché varie irregolarità ed inesattezze presenti nei verbali delle assemblee in cui viene deliberata l’approvazione dei rendiconti annuali e la nomina dei membri del consiglio direttivo..

Per la verità, accade di sovente che nelle associazioni di piccole dimensioni, le decisioni vengano prese dai soci, in persona dei componenti del consiglio direttivo, in riunioni il più delle volte tenute informalmente.

E’ evidente che, in mancanza di una verbalizzazione è onere dell’associazione provare in altro modo che ciò sia effettivamente accaduto; in difetto, la contestazione sull’assenza del requisito della democraticità appare, come osservato da alcuni Autori, difficilmente superabile.

Sul punto, peraltro, la citata C.M. n. 148/E/98, riprende un passaggio della relazione illustrativa del decreto legislativo n.460 del 1997 ove è stato esplicitamente come: “… Non si è ritenuto di ammettere i soci ad esprimere per corrispondenza il proprio voto, così come proposto dalla Commissione parlamentare, sul rilievo che la ratio della norma, diretta a prevenire fattispecie elusive (articolo 3, comma 187, lettera c) della legge di delega), richiede la partecipazione reale e fisica dei soci alla vita dell’associazione…”.

Unicamente per le organizzazioni complesse a carattere nazionale si tiene conto della pratica impossibilità di garantire la partecipazione reale e fisica dei soci alla vita dell’associazione nonché del principio di democrazia rappresentativa fondato sul mandato; pertanto per tali organizzazioni è consentita l’espressione del voto da parte degli associati mediante delega da conferire ad altri associati.

Circa poi la rendicontazione delle spese compito dei verificatori è quello di dimostrare la gestione con criteri commerciali dell’attività (definita) sportiva assumendo natura di corrispettivo per le quote associative versate dagli associati, e presumendo distribuzione in nero ai soci (rectius componenti del consiglio direttivo) degli utili percepiti dall’Associazione nello svolgimento dell’attività.

In tale ottica appare significativa la necessità di una corretta tenuta, da parte del consiglio direttivo del libro entrate/uscite, il c.d. rendiconto dal quale dovrebbe emergere, per ciascun esercizio sociale, l’effettiva coincidenza tra:

  • l’ammontare del ricavato delle quote associative versate dagli associati per lo svolgimento dell’attività sportiva, ivi comprese, eventuali sponsorizzazioni;

  • l’ammontare delle spese sostenute per la promozione dell’attività sportiva (per esempio, acquisti di attrezzature, pagamento degli istruttori, organizzazione di manifestazioni sportive eccetera).

D’altra parte, come precisato dalla C.M. n. 148/E/98, il legislatore impone alle associazioni ammesse a fruire del regime agevolato l’obbligo di redigere ed approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario riferito sia all’attività istituzionale sia a quella commerciale eventualmente esercitata, indipendentemente dal regime contabile, ordinario o semplificato, adottato dall’ente non commerciale.

La redazione del bilancio soddisfa tale obbligo. Il rendiconto annuale, compilato secondo le modalità stabilite dallo stesso ente nello statuto, deve riassumere le vicende economiche e finanziarie dell’ente in modo da costituire uno strumento di trasparenza e di controllo dell’intera gestione economica e finanziaria dell’associazione. Deve quindi trattarsi di documento che evidenzia anche l’attività decommercializzata.

La mancata redazione ed approvazione del rendiconto annuale, determina, conclude la C.M. n. 148/E/98, la non applicabilità delle disposizioni concernenti la non commercialità.

 

C.T.P. Firenze, sent. n. 149/2015

Vicenda processuale

Il competente ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate notificava avvisi di accertamento, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva ed irrogazione sanzioni, nei confronti di una circolo associativo, disconoscendo la natura di associazione sportiva dilettantistica e quindi il regime agevolato di cui all’art. 148, del TUIR. Tra le anomalie riscontrate dai verificatori la parte motiva dell’atto impositivo segnalava, tra le altre, la non conformità dello statuto alle prescrizioni imposte dal legislatore, la mancata democraticità nel rapporto associativo, l’indebita distribuzione di utili, nonché lo svolgimento di attività non aventi finalità di promozione sportiva.

L’associazione proponeva, quindi, ricorso presso la C.T.P. di Firenze avverso gli avvisi di accertamento contestando la ricostruzione, di fatto e di diritto, operata dai verificatori, oltre a lamentare il difetto e l’erroneità della motivazione degli atti notificati.

In primo luogo, veniva confutato il metodo di rettifica <induttiva> adottato secondo i ricorrenti in modo illegittimo dall’ufficio provinciale stante l’assenza, in capo all’associazione, di obblighi di tenuta di scritture contabili.

Nel merito della ripresa, poi, l’associazione ricorrente assumeva pretestuosi i rilievi dei funzionari ministeriali riferiti sia all’asserita non conformità dello statuto alle disposizioni normative, sia alla presunta commercialità dei servizi resi agli associati.

Di contro, l’Amministrazione finanziaria chiedeva la conferma del proprio operato, evidenziando punto per punto le motivazioni per le quali le disposizioni agevolative dovessero essere disconosciute alla ricorrente.

 

La soluzione dei Giudici toscani

La Commissione fiorentina ha confermato la bontà della ricostruzione dell’Agenzia, soffermandosi, in particolare, sull’analisi dei requisiti per ottenere le agevolazioni, per giungere a negare la loro sussistenza nel caso di specie.

Il giudizio dei Giudici di prime cure riflette e si poggia sulle osservazioni condivise dall’orientamento dominante elaborato, nel tempo, dalla Giurisprudenza di Legittimità secondo cui in materia di agevolazioni fiscali richieste dagli enti associativi occorre accertare, in concreto, il tipo e le modalità di svolgimento dell’attività effettiva3.

Nell’interpretazione della Commissione, la circostanza che l’associazione sportiva avesse “… avuto il riconoscimenti della finalità dilettantistica dal CONI .. non autorizza(va) a presumere sic et simpliciter la corrispondenza dell’attività in concreto esercitata ai principi stessi, essendo necessaria la verifica dell’attività svolta …”.

A tal riguardo è richiamato l’orientamento di Corte di Cassazione, 25/11/2008, sentenza n. 28005, secondo cui le associazioni sportive dilettantistiche “… non godono di uno status di “extrafiscalità” che le esenti, per definizione, da ogni prelievo fiscale, potendo anche esse svolgere, di fatto, attività commerciale … l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697, c.c. …”.

In tal senso, anche la sentenza della Corte di Cassazione, sentenza 30/05/2012, n. 8623, e sentenza n. 20/02/2013, n. 4147, secondo cui spetta alle associazioni senza fini di lucro, potendo svolgere anche attività commerciale, provare la sussistenza dei presupposti che giustificano gli sconti fiscali, non essendo “… affatto sufficiente, … al fine della fruizione del trattamento tributario di favore in esame, né la mera appartenenza dell’ente alla categoria delle associazioni in questione, né la conformità dello statuto alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica…”.

In definitiva il collegio fiorentino, ha rilevato l’inesistenza del rapporto associativo tenuto conto:

a) dell’approssimata tenuta dei libri sociali,

b) della lacunosa elaborazione dei rendiconti a consuntivo degli esercizi sociali;

c) dell ’attività, in concreto, posta in essere dal circolo trattandosi di prestazioni rese rientranti nel cd. “… fitness, come sauna, centro estetico ed altre pratiche motorie…” sfornite quindi delle caratteristiche <tipiche> della promozione di attività sportiva propria di una associazione sportiva dilettantistica.

 

Conclusioni

Dall’esame degli approdi giurisprudenziali offerti dagli Ermellini si osserva che i presupposti necessari affinché l’ente associativo possa, legittimamente, beneficiare del regime agevolato possono essere così riassunti:

  • l’associazione deve essere qualificabile come ente non commerciale riconducibile tra quelli tassativamente elencati dal comma 3 dell’art. 148 del Tuir (culturali, assistenziali…).

  • i beneficiari delle cessioni di beni e prestazioni di servizi devono essere esclusivamente i propri associati, partecipanti od iscritti.

  • l’attività deve essere svolta “in diretta attuazione degli scopi istituzionali”, nel rispetto scrupoloso della partecipazione attiva dei soci alla vita dell’associazione;

  • la rendicontazione delle spese sostenute per la promozione dell’attività sportiva a fronte delle quote associative versate dagli associati.

Come acutamente osservato in dottrina “… il carattere commerciale della palestra è desumibile anche da elementi indiziari quali: la pubblicità effettuata mediante biglietti e stampati; i corrispettivi versati dagli associati in misura variabile al tipo di prestazione richiesta in contrasto con le previsioni statutarie relative alla quota di iscrizione; l’ampiezza dei locali adibiti a palestra con relative attrezzature; la composizione del fondo associativo e la distribuzione delle cariche sociali, riferibili soltanto a ristretti nuclei familiari; l’automatica rinomina degli organi direttivi nell’ambito ristretto dei soci fondatori; l’istantanea esclusione dei soci in caso di mancato versamento della quota associativa. L’attenzione a queste indicazioni deve essere dunque massima per i dirigenti associativi, pena la decadenza di ogni agevolazioni fiscale…”.

27 aprile 2015

Attilio Romano

 

1 Sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

2 E’ ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell’articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale.

3 Corte di Cassazione, sez. V, 29/07/2005, sentenza n. 16032; Corte di Cassazione, 20/10/2006, sentenza n. 22598, Corte di Cassazione civile Sezione Tributaria Civile 9/08/2008, Ordinanza n. 22739. Corte di Cassazione.