Il costo di trasformazione di un prodotto

Le nozioni di base per calcolare il costo di trasformazione di un prodotto che è uno degli elementi basici su cui fondare il controllo di gestione in un’azienda.

La non grande dimensione delle aziende nel nostro Paese, unità spesso ad un basso livello culturale, ha negato la possibilità ai piccoli imprenditori di avvalersi di strumenti atti a conoscere il reale costo di trasformazione dei propri prodotti.

Tutto questo ha, come logica conseguenza, comportato una destabilizzazione nelle scelte imprenditoriali di tutti i giorni, ripercuotendosi tanto sui listini di vendita, quanto sui margini reali che giornalmente devono essere riconosciuti all’imprenditore. Se si parte da dati incompleti, si fanno chiaramente scelte sbagliate che, reiterate nel tempo, creano un gap dal quale poi difficilmente si può sperare di risalire.

La classica affermazione del piccolo imprenditore “dovrei all’incirca guadagnare x” risuona nella testa di tutti coloro che, consulenti e commercialisti in primis, hanno a che fare con la piccola imprenditoria italiana.

Tutto ciò accade perché l’imprenditore ha un’idea di costo di trasformazione spesso e volentieri “scontata” di tutta una serie di ulteriori costi che erodono un margine da lui atteso, a sua insaputa, già di per sé fortemente svilito dalla crisi attuale. In parole più povere l’imprenditore troppe volte crede che il costo di trasformazione sia dato solo dalla somma delle materie prime e della manodopera diretta; tutto il resto finisce in un calderone di cui ne ha la conoscenza, ma di certo non la percezione.

Passiamo a questo punto ad un semplice esempio:

Costo di trasformazione prodotto alfa:

  • materie prime: 50
  • manodopera diretta: 15
  • totale costo percepito dall’imprenditore 65
  • consumo energetico 4
  • manodopera indiretta 10
  • ammortamento macchinari 2
  • totale costo di trasformazione 81

la realtà è ben diversa dalla fantasia che alberga troppo frequentemente nella testa del piccolo imprenditore. Difatti il costo da lui percepito è pari a 65, a fronte di un 81 che è invece il costo reale sostenuto dalla sua azienda. Trattasi di un’idea scontata di 16, che è pari al 20% circa del costo totale.

Ora qualcuno potrebbe obiettare sostenendo, giustamente, che l’imprenditore conosce quel costo di 16 e che quindi lo stesso sarebbe gestito nel modo opportuno. Il problema invece risiede proprio qui! Perché il valore 16 è si conosciuto (e ci mancherebbe, i piccoli imprenditori sono informati su tutto ciò che avviene nella propria azienda) ma assolutamente mal gestito. Tutto ciò perché il margine di contribuzione sarebbe, ipotizzando un prezzo di vendita pari a 100, uguale a:

  • materie prime: 50
  • manodopera diretta: 15

totale costo percepito dall’imprenditore 65

prezzo di vendita 100

margine di contribuzione (di I° liv.) 35

(margine percepito dall’imprenditore)

  • materie prime: 50
  • manodopera diretta: 15
  • consumo energetico 4
  • manodopera indiretta 10
  • ammortamento macchinari 2

totale costo di trasformazione 81

prezzo di vendita 100

margine di contribuzione (di II° liv.) 19

(margine reale)

è chiaro che un imprenditore che decide le proprie strategie in funzione di un margine di 35 garantitogli dal prezzo di vendita, rischia di fare dei gravissimi errori di valutazione perché in realtà il margine è di 19.

La differenza di 16 va a finire in un limbo di spese e costi generali di cui quasi sempre non ha la cognizione di come gestirli, con il risultato di lasciarli su di un conto economico “tanto poi a fine anno si fanno i conti…”, purtroppo poi la fine dell’anno arriva e il risultato non può che essere deludente.

Il commercialista può giocare un ruolo fondamentale in questa fase di passaggio. Non importa se l’imprenditore sia un pizzaiolo o un artigiano, l’importante è avere una corretta visione di ciò che realmente accade all’interno dell’attività.

 

15 gennaio 2015

Commercialista Telematico