Indagini fiscali a tavolino: i motivi della possibile nullità

La quasi totalità degli avvisi di accertamento notificati a seguito delle c.d. “Indagini a tavolino” sono privi del prodromico processo verbale di constatazione e per tale semplice ragione di diritto devono essere considerati nulli (a cura Marco Ertman)

statuto del contribuente e diritti dei contribuentiNelle verifiche svolte presso gli uffici dell’Amministrazione finanziaria, e non presso le sedi del contribuente, è diffusa l’infelice consuetudine dell’Agenzia delle Entrate di omettere la formazione di qualsivoglia processo verbale, sia esso di constatazione o di chiusura delle operazioni di verifica, e di notificare ex abrupto l’avviso di accertamento.

Terminate le operazioni ispettive e l’analisi documentale gli uffici procedono abitualmente alla redazione dell’avviso senza comunicare al contribuente inciso dalla pretesa d’imposta alcun verbale preventivo.

Ciò nondimeno il processo verbale di constatazione, anticipando e svelando le censure dell’ufficio verificatore prima dell’emissione dell’atto di accertamento, è un essenziale strumento d’informazione e garanzia del contribuente assoggettato a verifica.

Infatti, solo un processo verbale di constatazione lealmente comunicato garantisce al cittadino la consapevolezza delle violazioni che gli saranno imputate e, per conseguenza, rende possibile l’instaurazione di quello stesso contraddittorio preventivo che la Suprema Corte di Cassazione e la Corte di Giustizia Europea hanno ritenuto inalienabile.

Inoltre, attenendosi alla lettera dello Statuto del contribuente, l’avviso non può essere emanato prima del decorso di sessanta giorni dalla redazione del processo verbale poiché entro tale termine è concessa al contribuente la facoltà di produrre all’Agenzia delle Entrate le proprie osservazioni e richieste, che devono essere valutate in sede motiva dell’avviso di accertamento.

La redazione del processo verbale di constatazione è, in vero, obbligatoria ex art. 24, L. 7 gennaio 1929 n. 4, che testualmente dispone: “Le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale.”

Tale norma è rigorosamente in vigore, ma metodicamente disattesa dagli uffici nelle verifiche c.d. “a tavolino”. La legge non dispone esplicitamente che tale obbligo debba essere assolto a pena di nullità.

Eppure, il legislatore dell’art. 24 della L. n. 4/29, nel prevedere che le violazioni delle norme tributarie siano constatate con verbale, aveva tracciato un percorso virtuoso nel quale Amministrazione finanziaria e consociato avrebbero potuto confrontarsi nell’ambito di un contraddittorio endoprocedimentale e finanche pervenire ad un accordo di reciproca soddisfazione che prevenga l’accertamento.

Il verbale raccoglie infatti le censure dell’Amministrazione finanziaria e precede cronologicamente l’emissione e notifica dell’avviso di accertamento. Nel tempo che intercorre fra l’uno e l’altro è d’uopo che l’ufficio si renda collaborativo con il contribuente e gli consenta sia l’accesso alle forme di definizione agevolata ante avviso di accertamento, sia di formulare le proprie istanze ed osservazioni.

In tal guisa sarebbe rispettato il canone normativo in virtù del quale “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.” – art. 10 della L. 212/00.

La notifica ex abrupto di un avviso di accertamento, di contro, trancia ogni forma di collaborazione, viola l’art. 24 della L. 7 gennaio 1929 n. 4 e si pone in manifesto contrasto con i principi previsti dall’art. 10 della L. 212/00.

In detto senso la tendenza dell’Agenzia delle Entrate ad emettere avvisi di accertamento senza previo processo verbale di constatazione svilisce la necessaria tendenza alla compliance normativa dell’operato della pubblica amministrazione.

Inoltre l’art. 12 della L. 212/00 testualmente dispone che

“Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.”1

 

La procedura tracciata dal legislatore è in assoluto chiara.

Terminate le operazioni di verifica, l’ufficio non può emettere l’avviso di accertamento prima della scadenza del termine di sessanta giorni.

Tale lasso di tempo è infatti concesso al contribuente per formulare e trasmettere all’amministrazione finanziaria le proprie osservazioni e richieste, che devono essere valutate da quest’ultima in sede di accertamento. In altre parole sessanta giorni per le osservazioni dell’accertato e dal sessantunesimo il verificatore può emanare l’avviso2.

Ebbene l’omissione del processo verbale di constatazione o di chiusura delle operazioni priva materialmente il contribuente della facoltà concessa dal legislatore con il comma 7 dell’art. 12 suddetto.

Si è già detto che l’art. 24 della L. n. 4/29 prevede l’obbligatorietà delprocesso verbale. Non deve allora essere riconosciuta all’Amministrazione finanziaria la facoltà di trarre il vantaggio di emettere l’avviso ante tempus da una propria negligenza e dalla violazione di un precetto normativo.

Non redigere il verbale e, quindi, constatare le violazioni delle norme tributarie direttamente nell’avviso di accertamento è una inosservanza dell’art. 24 della L. 4/29. Si tralasci il giudizio se tale inadempienza sia, essa sola, invalidante o meno l’accertamento. In realtà, quel che sentitamente rileva è che l’Amministrazione finanziaria non deve essere legittimata a trarre un beneficio dalla propria violazione di una norma imperativa.

In altri termini dal mancato rispetto dell’art. 24 l’Amministrazione acquisisce il privilegio nei fatti di poter emettere un accertamento ante tempus rispetto ai sessanta giorni previsti dall’art. 12 dello L. 212/00 in quanto manca proprio il verbale da cui far decorrere il suddetto termine.

Inoltre dall’assenza di processo verbale l’amministrazione l’ufficio finanziario trae altresì il “comodo” di non essere poi costretto a valutare tali memorie di controparte e di dover motivare in merito.

Siamo in presenza di un chiaro cortocircuito logico e giuridico. L’amministrazione non redige il verbale di constatazione, quindi contravviene all’art. 24 della L. 4/29, e proprio grazie a tale infrazione non deve attendere sessanta giorni da un verbale mai redatto per emettere l’avviso di accertamento, inoltre non è neanche obbligata a valutare e motivare in ordine alle eventuali osservazioni del contribuente

Nell’ordinamento tributario il processo di constatazione è dunque un mezzo di tutela del contribuente assoggettato a controllo fiscale. La circostanza di prassi che nelle indagini c.d. “a tavolino” il processo verbale di constatazione sia sovente omesso costituisce un abuso dell’amministrazione in danno del consociato

Al diritto del contribuente di presentare le proprie memorie entro sessanta giorni dal verbale deve corrispondere, per necessità di sistema, l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di non sottrarsi alla redazione del verbale.

Per di più il quarto comma del medesimo art. 12 statuisce: “Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica.” Se non v’è verbale, nel procedimento non è concesso nessuno spazio per le osservazioni ed i rilievi del contribuente o del professionista che lo assiste.

In tal senso ogni verifica che sfocia direttamente nell’avviso di accertamento senza il necessario passaggio intermedio del processo verbale priva il contribuente della facoltà che il legislatore gli ha riconosciuto con l’art. 12 della L. 212/00 e costituisce una chiara, seppur riflessa, violazione di tale norma. La lettura congiunta dell’art. 24 della L 4/29 e dell’art. 12, comma 7, della L. 212/00 induce quindi a ritenere viziati da nullità gli avvisi di accertamento non preceduti dal relativo processo verbale di constatazione3.

 

V’è poi un ulteriore ordine di ragioni per cui il processo verbale di constatazione non può essere tralasciato neanche nelle indagini svolte presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e in virtù del quale devono essere considerati nulli tutti gli atti di accertamento, emessi all’esito delle indagini a tavolino, ma privi di un preventivo e prodromico processo verbale di constatazione.

Ai sensi dell’art. 5-bis del DLgs. 218/97 il contribuente sottoposto a verifica tributaria ha il diritto di sanare le violazioni indagate dall’ufficio finanziario aderendo al processo verbale di constatazione.

La norma sancisce che, al prezzo della completa accettazione delle censure elevate dall’amministrazione finanziaria, entro trenta giorni dal processo verbale di constatazione, è prerogativa della parte aderire alla pretesa d’imposta formulando istanza in tal senso all’Agenzia delle Entrate. In virtù di siffatta integrale ammissione delle violazioni contestate, il contribuente beneficia di una riduzione delle sanzioni amministrative ad un sesto del minimo edittale.

L’introduzione nell’ordinamento tributario dell’istituto dell’adesione ai processi verbali di constatazione rappresenta, in chiaro, un nuovo motivo di nullità degli avvisi di accertamento notificati senza la preliminare stesura del processo verbale che si pongono, per l’appunto, in fattuale contrasto con l’art. 5-bis del D.Lgs. 218/97.

L’adesione al processo verbale di constatazione, ex art. 5-bis, è un diritto soggettivo del verificato, un automatismo che non presuppone alcuna forma di accordo con l’amministrazione finanziaria. In tal senso l’adesione al verbale si distingue nettamente da altri istituti deflattivi del contenzioso, quali l’accertamento con adesione o la mediazione. In tali strumenti deflattivi l’elemento discrezionale è immanente e l’amministrazione finanziaria ha facoltà di accogliere, rigettare o rinegoziare le istanze del contribuente.

Di converso, il diritto all’adesione al processo verbale di constatazione è inalienabile, soprattutto perché automatico e non a discrezione dell’amministrazione, e non può certo essere soppresso od eluso dall’Agenzia delle Entrate semplicemente omettendo il verbale.

A ben vedere, non soccorre la prassi dell’Agenzia delle Entrate neanche la circostanza, invocata in difesa degli uffici accertatori, che al contribuente sarebbe comunque concessa la facoltà di prestare acquiescenza, ex sensi dell’art. 15-bis, comma 2, del DLgs. 218/97, all’atto di accertamento fruendo in tal modo di benefici equivalenti all’adesione al verbale di constatazione.

I due istituti dell’adesione e dell’acquiescenza sono invero radicalmente diversi per natura, tempi, procedimento ed effetti, di modo che l’uno non sostituisce od integra l’altro.

Sul punto sia sufficiente ricordare che la riduzione delle sanzioni a seguito di adesione al processo verbale è pari a un sesto del minimo e, diversamente, nell’acquiescenza all’avviso di accertamento la riduzione delle sanzioni è pari a un sesto dell’irrogato, che ben potrebbe essere superiore al minimo edittale.

L’adesione, ex art. 5-bis del D.Lgs. 218/97, non è dunque una facoltà del contribuente alternativa all’acquiescenza, ex art. 15-bis, e non può quindi essere negata od elusa dall’Agenzia delle Entrate semplicemente omettendo di redigere il processo verbale di constatazione4.

 

Inoltre in assenza di processo verbale di constatazione, non è neanche presumibile che sia avviato il contraddittorio preventivo tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Difetta, invero, la conoscenza anticipata in capo alla parte delle violazioni che gli saranno ascritte in sede di accertamento e quindi la consapevolezza della materia di base su cui attivare il contraddittorio preventivo.

Tuttavia la necessità di un confronto endoprocedimentale tra soggetto passivo accertato ed amministrazione fiscale è un principio di diritto immanente nell’ordinamento tributario.

L’art. 6, comma secondo, della L.212/00 dispone infatti che

“L’amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito.”

In sintesi, ogni qual volta dall’attività dell’Amministrazione fiscale possa discendere l’irrogazione di una sanzione, la medesima amministrazione è chiamata a portare anticipatamente a conoscenza del contribuente il fatto o la circostanza in oggetto, anche al fine di consentirgli di integrare o correggere gli atti e la documentazione prodotti e di evitare in tal modo l’emissione di un avviso viziato da errore.

Nella medesima matrice di pensiero dell’art. 6 della L. 212/00 si è poi collocata la Corte di Giustizia Europea, con sentenza del 18 dicembre 2008, emessa nel procedimento C-349/07 rimarcando che

“il rispetto dei diritti di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidano sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione…”.

Al contribuente deve quindi essere riconosciuto il diritto alla tutela anche in sede pre-accertativa attraverso un retto esercizio del contraddittorio preventivo tra amministrazione finanziaria e consociato.

Sul punto è da ultimo intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha ritenuto insegnare che

“emerge chiaramente che la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata

” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o endo-doprocedimentale”… Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost. …” Cassazione Civile, Sezioni Unite, n. 19667 del 18 settembre 20145.

 

In conclusione la quasi totalità degli avvisi di accertamento notificati a seguito delle c.d. “indagini a tavolino” sono privi del prodromico e preliminare processo verbale di constatazione e per tale semplice ragione di diritto sono viziati dalla vis invalidante che deriva dalla violazione dell’art. 24 della L. 4/29, dell’art. 12 della L. 212/00, dell’art. 5-bis del del D.Lgs. 218/97 e, inoltre, perché l’assenza di processo verbale di constatazione impedisce il contraddittorio preventivo endoprocedimentale.

30 dicembre 2014

Marco Ertman

 

NOTE

1L’articolo 12 della L. 212/00 è rubricato “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” e disciplina l’intera materia senza limitarsi alle ispezioni presso i locali dell’impresa o del professionista. Siffatto principio è ben chiarito dalla CTP di Aosta che ricorda: “il titolo: «Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali», così come il contenuto dell’art. 12 citato si riferisce a tutti i casi in cui vi sia una verifica fiscale, senza porre ulteriori specificazioni” (CTP di Aosta del 24 marzo 2014 n. 27/2/14.

2 L’unica deroga possibile al termine di sessanta giorni e, quindi, l’emissione dell’avviso di accertamento ante tempus sono concesse solo per ragioni di “particolare e motivata urgenza” che non possono però essere costituite dal mero appropinquarsi del termine decadenziale della potestà di accertamento. La suprema Corte di Cassazione ha insegnato che: “… l’eventualità di evitare una decadenza non può integrare di per sè, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria, la ragione di urgenza contemplata dalla norma” (Sentenza n. 7315 del 28 marzo 2014 della Cassazione Civile, Sez. V).

3In materia piaccia leggere la giurisprudenza di merito:

  • “L’art. 12, comma 4, della legge 212/2000 delinea la funzione del processo verbale di constatazione quale «strumento di tutela del contribuente nella fase di verifica». La mancata redazione del processo verbale di constatazione ha determinato la palese violazione del comma 7 del menzionato art. 12… La Commissione Regionale Tributaria dopo ampia e approfondita discussione in merito alle richieste del contribuente sulla natura degli avvisi di accertamento e della loro legittimità rileva … la violazione dell’art. 12 …. della legge 27/7/2000 n. 212 in quanto l’avviso di accertamento era stato emesso senza essere stato preceduto da un verbale di constatazione” Sent. n. 68 del 23 ottobre 2009 della CT Regionale di Firenze, Sez. VIII.

  • “… sebbene al comma 1 del art. 12 della L. nr. 212 del 2000 dello Statuto del Contribuente – il quale disciplina i diritti e garanzie del contribuente in sede di verifica – si legge espressamente il riferimento alle sole verifiche c.d. esterne, ossia a quelle effettuate nei locali destinati all’esercizio dell’ attività dell’imprenditore, una lettura logica sistematica della norma in parola, impone di ritenere applicabile la disciplina del contraddittorio e dell’intervento del contribuente nel procedimento di accertamento tributario di cui al comma 7 dello stesso art. 12, anche alle c.d. verifiche “a tavolino”, in cui, cioè, l’amministrazione esamina la documentazione contabile del contribuente presso i suoi uffici. Ritenendo in senso contrario la tutela del contribuente sarebbe diversa in base ad una scelta rimessa all’amministrazione sulle modalità di effettuare la verifica fiscale. Mentre, invece, ad avviso della Commissione qualsiasi attività di natura istruttoria diretta alla verifica della dichiarazione tributaria tale da comportare l’esame in ufficio dei documenti prodotti dal contribuente stesso su invito dell’Amministrazione Finanziaria è qualificabile come verifica fiscale e necessita del contraddittorio con il contribuente, la cui partecipazione attiva alla fase di formazione del provvedimento in positivo è prevista anche a livello comunitario ( Corte di Giustizia CE. 18 dicembre 2008, C- 349/07). Deve quindi essere sanzionato con l’illegittimità dei due avvisi di accertamento in questa sede impugnati, frutto di operazioni di controllo conclusisi senza l’emissione di un verbale che avrebbe consentito al contribuente di contraddire ante tempus con l’ufficio finanziario, il mancato rispetto delle predette regole del contraddittorio ( cfr. pure Cassazione sentenza nr. 20770 dell’ 11 settembre 2013)”Sent. n. 2370 del 3 novembre 2014 della CTP di Catanzaro.

4 Alfio Cissello, “LA MANCATA FORMAZIONE DEL «PVC» IMPEDISCE L’ADESIONE AL VERBALE” Eutekne.info del 05 agosto 2014.

5La Suprema Corte prosegue: “Ma v’è di più. Il rispetto dei diritti della difesa e del diritto che ne deriva, per ogni persona, di essere sentita prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, come afferma – ricordando la propria precedente sentenza del 18 dicembre 2008, in causa C-349/07 Sopropè – la Corte di Giustizia nella sua recentissima sentenza del 3 luglio 2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Wortdwide Logistics BV. 15.2.1. Il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento afferma la Corte di Giustizia, è attualmente sancito non solo negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’art. 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione. Il citato art. 41, par. 2 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo.

Conclude la Corte che in forza di tale principio, che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione, mediante una previa comunicazione del provvedimento che sarà adottato, con la fissazione di un termine per presentare eventuali difese od osservazioni” Cassazione Civile, Sezioni Unite, n. 19667 del 18 settembre 2014.