La cessione della licenza di taxi

la cessione della licenza di taxi è una cessione d’azienda: tale atto subisce la tassazione IRPEF di un’eventuale plusvalenza nel caso in cui il figlio subentri al padre nella gestione della licenza? (Corte di Cassazione)

segnaliamo un interessante approfondimento in materia: Cessione d’azienda da padre a figlio – ad esempio licenza taxi – e plusvalenza ai fini IRPEF

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Osserva

La CTR di Roma ha respinto l’appello di C.R. -appello proposto contro la sentenza n.67/32/2010 della CTP di Roma che aveva già respinto il ricorso della parte contribuente, cosi confermando l’avviso di accertamento concernente IRPEF per l’anno 2001, avviso a mezzo del quale era stato recuperata a tassazione la plusvalenza imponibile (accertata con modalità induttiva) asseritamente derivata dal trasferimento a favore di C.S. della licenza comunale n. 4925 per l’esercizio di attività di tassista in Roma.

La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che “il trasferimento a terzi della licenza taxi è configurabile come cessione d’azienda e l’eventuale plusvalenza realizzata dal titolare a seguito della vendita costituisce reddito fiscalmente rilevante ed imponibile ai finì delle imposte dirette in base al disposto degli art.86 e 58 del TUIR”, A tal proposito il contribuente aveva non solo omesso di rispondere al questionario inviatogli, ma aveva anche taciuto l’importo incassato così come omesso di produrre “la documentazione idonea alla determinazione del corrispettivo conseguito”, ed in specie “l’atto di cessione della licenza taxi” ovvero “qualunque scritto potesse attestare il valore della tassazione”. Pertanto, si doveva considerare legittimo il ricorso dell’ufficio all’accertamento con modalità induttiva sulla base di presunzioni anche prive del requisito della gravità, precisione e concordanza, a cui il contribuente non aveva contrapposto idonea prova contraria. Nella specie di causa l’accertamento “si era basato principalmente sulle risultanze dell’attività investigativa svolta dall’Ufficio Analisi e Ricerca della Direzione Regionale del Lazio” che si era servito di “numerosi elementi, indispensabili ad una corretta e precisa individuazione della fattispecie e solo marginalmente sugli esiti dell’indagine condotta in maniera indipendente da docenti dell’Università della Tuscia”, peraltro depositata in giudizio e quindi conosciuta dal contribuente.

La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

L’Agenzia non si è difesa, se non con atto finalizzato alla sola partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorso – ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc. Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.26 comma I del DPR n.602/1973) la parte ricorrente sì duole dell’omesso rilievo ex officio del vizio di inesistenza della notifica, effettuata a mezzo di semplice raccomandata postale da parte della G. Spa della cartella (identificata con il suo numero) con cui era stato intimato il pagamento della somma di € 27.521,51.

Trattasi di motivo inammissibilmente proposto, atteso che la parte ricorrente non ha detto se dove e quando la menzionata cartella sarebbe stata fatta oggetto del contraddittorio giudiziale nel presente procedimento nel quale (a desumere da ciò che si dice nella sentenza impugnata) si è fatto solo riferimento all’impugnazione di un avviso di accertamento, tanto che la menzionata G. (che avrebbe provveduto alla notifica) neppure risulta essere stata convenuta in giudizio.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato, contempo, sulla violazione dell’art.58 comma 1 del TUIR ma anche sull’insufficiente motivazione della sentenza) la parte ricorrente si duole della violazione della menzionata disposizione di legge e comunque dell’insufficiente motivazione della sentenza per avere il giudicante eluso il dovere di previamente acclarare se -a fronte della cessione della licenza- un trasferimento di ricchezza si fosse effettivamente realizzato, anche in considerazione del fatto che la cessione era avvenuta tra padre e figlio (ed avvalendosi della clausola del regolamento comunale che consentiva il trasferimento per atto tra vivi a persona determinata “a richiesta dell’interessato, a persona da ultimo designata”), e perciò con atto presuntivamente gratuito, inidoneo a generare qualsivoglia plusvalenza imponibile. Ed invero, a mente della predetta disposizione di legge, il trasferimento per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenza.

Il motivo appare manifestamente fondato, alla luce della pregressa giurisprudenza di questa Corte (per tutte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2067 del 25/02/1998) secondo la quale:”E denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., il vizio di omessa motivazione della sentenza qualora la stessa si fondi su motivazione omessa o “apparente”, qualora, cioè, il giudice di merito pretermetta del tutto la indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza, peraltro, compierne alcuna approfondita disamina logica e giuridica”.

Nella specie di causa il giudicante si è indotto a respingere l’appello della parte contribuente sulla scorta del puro e semplice assunto che fa plusvalenza realizzata a mezzo di cessione di azienda costituisce reddito fiscalmente rilevante, senza in alcun modo avere motivato il proprio convincimento in ordine alla natura onerosa della cessione di cui trattasi, e ciò per quanto la parte appellante avesse specificamente evidenziato che la cessione è intervenuta all’interno del nucleo familiare, elemento di fatto che ceno avrebbe dovuto indurre il giudicante ad una specifica attenzione alle modalità con le quali la cessione qui oggetto di esame si è concretamente realizzata.

E d’altronde, non ci si può esimere dal considerare che anche in merito agli elementi presuntivi che si assumono debitamente considerati dal l’Agenzia ai fini del ricorso al metodo induttivo dì accertamento, la motivazione della sentenza appare apodittica ed illogica, avendo il giudicante ritenuto che la parte contribuente si sia sottratta all’onere di produrre “qualunque scritto potesse attestare il valore della transazione” ovvero “la documentazione idonea alla determinazione del corrispettivo conseguito”, così dimostrando di avere dato per implicitamente presupposta la natura onerosa della cessione, senza però esplicitare le ragioni di una tale dirimente presupposizione.

Non par dubbio che siffatte motivazioni risultino apparenti più che apodittiche, e comunque insufficienti a consentire a questa Corte di assolvere al dovere di controllo della coerenza logica del provvedimento giudiziale.

Pertanto, si ritiene che la controversia possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza dell’impugnazione, con conseguente restituzione della lite alla CTR Lazio in funzione di giudice del rinvio, affinchè rinnovi l’apprezzamento sulle censure di gravame.

Ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti; clic non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto; che le spese di lite possono essere regolate dal giudice dei rinvio.

 

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente giudizio.