Il contraddittorio è orale e non scritto, diversamente il fisco vince

ove il contribuente si sottragga al contraddittorio, non sollevando così contestazioni in ordine alla distanza fra il parametro astratto e la concreta situazione, ne sopporta la conseguenze, nel senso che l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri

Con la sentenza n. 20082 del 24 settembre 2014 (ud. 11 febbraio 2014) la Corte di Cassazione è ritornata sugli strumenti presuntivi (parametri/studi di settore) per affermare la necessarietà del contraddittorio orale.

Il principio espresso

Come affermato dalle sezioni unite (Cass. 18 dicembre 2009, n. 26635; conforme Cass. 15 maggio 2013, n. 11633), la procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese.

Il contraddittorio fra l’Ufficio ed il contribuente è dunque la sede deputata alla messa in relazione degli standard con la concreta realtà economica, ed ove il contribuente si sottragga al contraddicono, non sollevando così contestazioni in ordine alla distanza fra il parametro astratto e la concreta situazione, ne sopporta la conseguenze, nel senso che l’Ufficio potrà motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri. A tali principi di diritto non si è sottratto il giudice di merito il quale, dando atto che il contribuente in relazione alla fase del contraddittorio si era limitato alla produzione di una memoria scritta, omettendo di comparire a seguito dell’invito inviato in sede di avvio del procedimento, ha argomentato nel senso che l’accertamento non rappresentava la mera risultanza dell’applicazione di standard, ma derivava dalla messa in relazione con dati risultanti dalla dichiarazione dei redditi. In tale quadro motivazionale nella sentenza impugnata si valorizzano le modifiche apportate dall’Ufficio, sulla base della documentazione prodotta nel corso del giudizio dal contribuente, a vantaggio di quest’ultimo”.

Inoltre, prosegue la Corte, si legge nella sentenza impugnata che la questione dell’applicabilità della più vantaggiosa versione dello studio di settore, sopravvenuta a quello che è stato applicato, “avrebbe potuto trovare opportuna sede di discussione nella fase del contraddittorio, alla quale il contribuente si era sottratto“. E quindi, “sottesa alla motivazione resa dal giudice di merito non è la questione dell’applicabilità dello strumento sopravvenuto, ma il riconoscimento della necessaria inerenza della valutazione in ordine allo studio di settore applicabile alla fase del contraddittorio”.

Brevi note

Gli studi di settore oggi, i parametri prima, costituiscono uno degli argomenti su cui si confrontano contribuenti, aziende e professionisti.

Se è vero che gli strumenti presuntivi costituiscono un efficace sistema per tassare il reddito, nella continua ricerca della giusta imposta, è altrettanto vero che possono essere limatiin sede di contraddittorio, sulla base di eventuali giustificazioni addotte dal contribuente.

La giurisprudenza recente, anche quella di segno contrario agli uffici, ha un comune denominatore: la valutazione della presenza o meno di cause giustificative.

L’essenzialità del contraddittorio (nell’applicazione di parametri e studi di settore) è stata confermata anche dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 14027/2011: l’esito del contraddittorio, da un lato, non preclude l’impugnazione dell’atto impositivo e, dall’altro, consente in caso di comportamento inerte del contribuente di valutarne il contegno e di rendere sufficiente il rinvio allo strumento statistico ai fini della motivazione. Anche in questo caso viene richiamata la pronuncia a SS.UU. (n. 26635/2009): l’esito del contraddittorio “non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito“.

 

E di recente la Cassazione ha confermato questa opinione.

  • Con l’ordinanza n. 24198 del 30 novembre 2010 (ud. del 27 ottobre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che “qualora il contribuente, come è pacifico nella fattispecie, sia stato invitato al contraddittorio endoprocedimentale con esito negativo, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri, e l’onere della prova posto a suo carico consiste esclusivamente nella dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto, mentre spetta al contribuente fornire la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”.

  • Con l’ordinanza n. 20680 del 7 ottobre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che (in un accertamento presuntivo fondato sui parametri) nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, ne assume le conseguenze, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio col contribuente, nonostante il rituale invito. I motivi addotti dall’Amministrazione finanziaria sono stati ritenuti manifestamente fondati, con il semplice richiamo al principio affermato a SS.UU., con la sentenza n. 26635/2009: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ‘ex lege’ determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards’ in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente“. Quindi, nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, “dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito“. La Cassazione ha, inoltre, addossato sul contribuente le spese del giudizio.

  • Con l’ordinanza n. 23946 del 15 novembre 2011 (ud. 26 ottobre 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che nel caso in cui contribuente non risponde all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, “per recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte (n. 26635 del 2009) l’accertamento può essere fondato esclusivamente sulla valutazione parametrica, rimanendo tuttavia impregiudicata la facoltà del contribuente di provare la inattendibilità della medesima, anche con presunzioni semplici, ed il potere del giudice di effettuare la valutazione comparativa degli elementi di prova addotti dalle parti”. Nel caso di specie, “il motivo è irrilevante ed inammissibile perchè non coglie la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, che afferma preliminarmente la insufficienza dei dati parametrici, ma non fonda la decisione su tale assunto, bensì sulla affermazione successiva che il contribuente aveva fornito una prova contraria idonea a superare le ragioni addotte dall’Ufficio, provando che la attività libero-professionale di geometra era marginale rispetto a quella di amministratore di società”. Né la CTR spiega “le ragioni del suo convincimento, limitandosi ad affermazioni generiche ed apodittiche che non consentono che comprendere l’iter logico giuridico alla base della decisione”.

  • Con l’ordinanza n. 1153 del 27 gennaio 2012 (ud. 15 novembre 2011) la Corte di Cassazione Civile, ha dato ragione al Fisco. La Corte evidenzia, altresì, che, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, “l’Ufficio, in considerazione del fatto che i ricavi dichiarati erano inferiori a quelli calcolati, ha invitato il contribuente ad esporre e documentare i fatti e le circostanze idonee a giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli determinati con l’applicazione dei parametri. A fronte di tale formale invito l’appellato non ha fornito alcun elemento idoneo a giustificare lo scostamento rilevato“. Inoltre, “dalla suddetta sentenza non risulta che il contribuente abbia in alcun modo allegato e provato, neanche in sede contenziosa, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli ‘standards’ o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame”.

  • Con l’ordinanza n. 3302 del 13 febbraio 2014, dove la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento a mezzo studi di settore, nell’ipotesi in cui il contribuente non risponde al questionario e rifiuta l’invito al contraddittorio. Invero l’argomento, secondo cui l’amministrazione fosse già in possesso della documentazione è molto vago, ed inoltre irrilevante, ove si consideri che i Mod. 770 delle ditte committenti al limite avrebbero anche potuto essere non del tutto attendibili, sicché era preciso onere dell’inciso fornire la prova dello scostamento consistente del reddito rispetto allo studio di settore, alla luce delle sue inadempienze di cui sopra in sede amministrativa. Infatti, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili ‘dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta’, sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente, come nel caso in specie (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una ‘grave incongruenza’, espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame (V. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009). Peraltro l’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, nel prevedere al comma 3 che gli accertamenti condotti ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis dello stesso d.l. n. 331 del 1993, autorizza l’ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dal detto art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità. Ciò costituisce un’ulteriore deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dall’art. 54, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, e cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare”. Per la Corte, i cd. studi di settore sono da ritenere “supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 5977 del 14/03/2007, n. 26919 del 2006)”.

17 ottobre 2014

Gianfranco Antico