Studi di settore: attenzione al contraddittorio

è valido un accertamento nei confronti di un contribuente se nel contraddittorio non produce documenti che dimostrano non veritiere le ricostruzioni che hanno determinato un maggior reddito, scaturito dall’applicazione dello studio di settore di riferimento

La Corte di Cassazione con la sentenza n.17646 del 6 agosto 2014, ha stabilito che deve essere considerato valido un accertamento nei confronti di un contribuente se nel contraddittorio non produce documenti che dimostrano non veritiere le ricostruzioni che hanno determinato un maggior reddito, scaturito dall’applicazione dello studio di settore di riferimento, effettuato dall’amministrazione finanziaria.

Il caso

L’Agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione avverso la sentenza del novembre 2007 della CTR; i giudici del merito di secondo grado hanno respinto l’appello nei confronti della sentenza di primo grado favorevole alla contribuente, dichiarando l’illegittimità dell’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, in applicazione dei parametri di cui al DPCM 29.1.1996, e di conseguenza all’analogo accertamento disposto in materia di imposte dirette, ha proceduto a rettificare la dichiarazione IVA per l’anno 1996, liquidando le maggiori imposte, gli interessi e le sanzioni corrispondenti.

I giudici del merito di secondo grado hanno motivato il rigetto rilevando la carenza motivazionale dell’atto impugnato sia:

  1. con riguardo al più generale obbligo previsto dallo Statuto del contribuente;

  2. sul presupposto che i parametri esprimono una mera presunzione semplice.

In particolare la CTR ha ritenuto che la loro applicazione comporti ‘‘un esame se pur minimo in relazione alla gravità, precisione e concordanza degli elementi utilizzati per una corretta valutazione del soggetto sottoposto a verifica”.

Avverso la sentenza sfavorevole l’Agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione.

L’attivazione del contraddittorio negli studi di settore

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità i parametri e gli studi di settore, rappresentano un complesso ed organico sistema di presunzioni semplici le quali impongono alcuni precisi obblighi per gli uffici dell’Amministrazione finanziaria.

L’Amministrazione finanziaria, pertanto, in caso di accertamento da studio di settore deve:

  1. procedere all’attivazione del confronto con il contribuente sul piano della difformità dei dati della dichiarazione rispetto agli elementi desumibili dal modello statistico di riferimento;

  2. analizzare la posizione del soggetto verificato avuto riguardo alla natura statistica del modello astrattamente applicabile;

  3. da un lato spiegare la motivazione dell’accertamento, sulla base delle conclusioni cui è autonomamente pervenuta l’Amministrazione finanziaria;

  4. dell’altro, dando rilievo alle argomentazioni opposte dal contribuente, deve illustrare le ragioni per le quali esse non appaiono meritevoli di accoglimento.

Soltanto all’esito dell’intero svolgimento di tale «percorso di adeguamento l’accertamento originato dall’applicazione del criterio statistico, può dirsi legittimamente adottato».

Per gli studi di settore il contraddittorio previsto espressamente dall’art. 10, c. 3-bis, L. n. 146/1998, rappresenta lo strumento con cui adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente il risultato stimato dallo studio di settore. L’assenza del contraddittorio determinerebbe un automatismo nell’applicazione degli studi di settore che contrasterebbe con le previsioni di cui agli artt. 3, 24, 53 della Cost., i quali, in generale, mirano a far sì che l’imposizione tributaria operi secondo il principio della capacità contributiva, attraverso un esercizio dell’azione accertatrice orientato alla ricostruzione del reddito effettivo e non meramente presuntivo.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate sugli studi di settore

L’Amministrazione finanziaria aveva inizialmente sostenuto la valenza di presunzione legale relativa ai risultati derivanti dagli studi di settore. Conseguentemente, gli accertamenti basati sugli studi di settore potevano essere effettuati ogni qualvolta il contribuente dichiarava ricavi o compensi non congrui rispetto alla stima, senza che l’Amministrazione finanziaria dovesse fornire ulteriori dimostrazioni a sostegno della pretesa tributaria.

Il D.L. 2.7. 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla L. 3.8.2007, n. 127, ha specificato che gli indicatori di normalità economica di cui al comma 14, articolo unico, L. 27.12. 2006, n. 296 (legge finanziaria per l’anno 2007), hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi o compensi da essi desumibili costituiscono presunzioni semplici. Allo stesso modo, ha anche stabilito che i contribuenti che dichiarano ricavi o compensi inferiori a quelli desumibili dagli indicatori di normalità economica sopra citati, non sono soggetti ad accertamenti automatici e, in caso di accertamento, spetta all’ufficio accertatore motivare e fornire elementi di prova per gli scostamenti riscontrati.

L’Agenzia delle Entrate con la C.M. n. 19/E del 14.04.2010 è intervenuta al fine di fornire chiarimenti per la gestione del contenzioso da accertamenti da studi di settore, alla luce delle sentenze n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638 del 18.12.2009 della Corte di Cassazione.

In tutte le sopraesposte sentenze l’Agenzia delle Entrate rileva come anche la Corte di Cassazione ritenga centrale il contraddittorio con il contribuente. Tale posizione era già stata assunta dall’Agenzia delle Entrate con la C.M. n. 5/E del 23.1.2008 nella quale era stato affermato che: «La valutazione di affidabilità dello studio nel caso concreto deve essere effettuata nell’ambito del contraddittorio instaurato con il contribuente, dopo l’avvio della procedura di accertamento con adesione, sulla base anche degli elementi forniti, idonei ad incidere sulla fondatezza della presunzione, nei termini innanzi precisati…».

L’importanza del contraddittorio è dovuta al fatto che i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere «corretti», in contraddittorio con il contribuente, in modo da «fotografare» la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa «incoerenza» con la «normale redditività» delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.

Sulla base di quanto affermato dalla Corte di Cassazione, l’Agenzia ritiene che:

  • il contraddittorio consente all’Ufficio di commisurare alla concreta realtà economica del contribuente la presunzione indotta dallo scostamento rilevato;

  • l’Ufficio ha l’obbligo di invitare il contribuente, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti;

  • la mancata attivazione del contraddittorio comporta l’assenza di un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa.

Devono ritenersi viziati, pertanto, gli avvisi di accertamento basati sugli studi di settore applicati senza che sia stata attivata la fase del contraddittorio con il contribuente.

Gli uffici dell’Agenzia dovranno quindi:

  • abbandonare tutti i contenziosi relativi ad avvisi di accertamento basati sulle risultanze degli studi di settore, nei casi in cui non sia stata attivata la fase del contraddittorio;

  • andare avanti con la pretesa tributaria (sempre che la stessa sia giudicata sostenibile) quando si sia cercato il confronto con il contribuente e questo lo abbia rifiutato.

L’Agenzia delle Entrate sostiene che la mancata indicazione delle ragioni, per le quali sono stati disattesi i puntuali rilievi del contribuente, non configura una carenza di motivazione dell’atto stesso quando tali ragioni sono comunque state esplicitate dall’ufficio in sede di contraddittorio e riportate nel relativo verbale ovvero siano comunque desumibili dal medesimo verbale, consegnato al contribuente e quindi da questi conosciuto.

L’analisi della Cassazione

L’Agenzia delle Entrate nel ricorso ritiene, tra le varie motivazioni di censura della sentenza della CTR, che i giudici di secondo abbiano errato quando hanno ritenuto, con ciò invertendo l’onere della prova e violando dunque l’art. 2697 c.c., che competa all’amministrazione finanziaria dare contezza della propria pretesa, malgrado l’art. 3, cc. 181 e 184, L. n. 549/95, consentano l’utilizzo dei parametri ai fini della determinazione presuntiva del reddito, sicché “l’eventuale scostamento tra il risultato ottenuto attraverso l’applicazione dei parametri e quanto esposto in dichiarazione … deve essere giustificato non dall’ufficio, bensì dalla parte”, prevedendosi a questo scopo l’attivazione del contraddittorio.

I giudici di legittimità osservano che, con un precedente orientamento della giurisprudenza, n. 26635/09, è stato affermato in riferimento all’applicazione dell’art. 3, cc. 181 e 184, L. 549/95, con giudizio successivamente condiviso anche da successivi orientamenti (10040/14; 6929/13; 7181/12), che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ‘ex lege’ determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards’ in sé considerati, meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente” ed hanno altresì aggiunto che “in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli ‘standards’ o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente”.

Per i giudici di legittimità da tale orientamento si ricava che:

a) l’applicazione dei parametri genera un sistema di presunzioni semplici;

b) il contribuente ha la facoltà di contestarne l’applicazione provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddittuale nell’ambito del contraddittorio cui lo deve invitare l’ufficio;

c) l’atto impositivo deve dare motivata contezza delle ragioni che inducono l’ufficio a non ritenere attendibile le allegazioni della parte.

Per la Corte di Cassazione se ciò non cancella in linea di principio l’efficacia presuntiva che si lega all’applicazione dei parametri, ma ne condiziona semmai la concreta applicabilità in quanto essa è sottoposta all’attivazione del contraddittorio e necessita di una congrua motivazione, ne deriva per ovvio naturale riflesso che l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata con l’applicazione dei parametri ogni qualvolta l’attivazione del contraddittorio non abbia attivato alcun positivo confronto in ordine alla posizione reddittuale della parte “in quanto costei, pur invitata al contraddittorio, ometta di parteciparvi o si astenga da qualsivoglia attività di allegazione in grado di rimodulare le intenzioni dell’ufficio in ordine ad un possibile accertamento.

Erra perciò palesemente la sentenza in esame, allorché senza dare conto del contraddittorio che la ricorrente assume essersi svolto senza esito, si limiti ad onerare l’ufficio di un compito probatorio che la mera applicazione dei parametri, preceduta da un contraddittorio senza esito, in ragione dell’efficacia che ad essi si accorda di presunzioni semplici, rende in linea di principio del tutto superfluo”.

I giudici di legittimità accolgono, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e cassano la sentenza della CTR con rinvio ad un’altra commissione che si dovrà anche pronunciare ai fini delle spese di giudizio.

23 settembre 2014

Federico Gavioli