L'accertamento anticipato è sempre nullo!

per garantire il diritto al contraddittorio ed alla corretta difesa dei cittadini contribuenti l’accertamento anticipato dovrebbe essere sempre nullo, in quanto spesso e volentieri scaturisce dall’inefficienza degli uffici tributari

Ogni cittadino ha il diritto di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio.

Questo è il principio sulla base del quale deve essere garantito e assicurato, nella procedura di formazione della pretesa tributaria, il preventivo contraddittorio con il contribuente.

Le fonti normative di tale principio sono l’articolo 97 della Costituzione Italiana, gli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, mentre l’articolo 12 della legge dello statuto del contribuente si pone come norma prettamente attuativa del principio in trattativa1.

E’ sulla base delle considerazioni sopra esposte che non vi è assolutamente alcun dubbio che il preventivo contraddittorio necessario, costituisca fase imprescindibile della procedura di accertamento e formazione della pretesa tributaria che non può sopportare alcuna compressione, perché attuazione ed espressione di un principio generale a cui corrisponde un diritto fondamentale la cui protezione deve essere assoluta.

Ne deriva che, il contraddittorio preventivo deve essere assicurato in ogni azione amministrativa di controllo e verifica a nulla rilevando che essa sia esercitata presso il contribuente mediante un accesso ovvero presso l’ufficio mediante una verifica a tavolino.

Non appare condivisibile l’orientamento interpretativo di chi sostiene un’applicazione differenziata del principio esposto a seconda della modalità di accertamento scelta dall’amministrazione, espressione della assoluta non comprensione dei fondamentali su cui è radicato lo stesso principio che è attuazione del “contraddittorio necessario preventivo”.

La giurisprudenza, ancorché con qualche isolato e stonato differente canto, è unanime nell’affermare che, l’atto di accertamento notificato prima del decorso del termine di 60 giorni dalla data di conclusione dell’attività di verifica è sempre nullo, fatto salvo il caso in cui l’agenzia delle entrate dia dimostrazione della sussistenza di una circostanza di “particolare e motivata urgenza”, e la stessa giurisprudenza è orientata nel ritenere che, tale fase del procedimento di formazione della pretesa tributaria sia richiesta a pena di validità della stessa anche per le ipotesi di verifica estratte senza accesso presso il contribuente.

Inoltre, non vi è alcun dubbio nel ritenere che la particolare e motivata urgenza NON possa trovare il suo lido nella scadenza del termine di decadenza per l’accertamento. La Cassazione in sezioni unite (18184 del 29 luglio 2013) e le recentissime Sentenze della Cassazione (Cass. del 26 giugno 2014 n 14575, Cass del 29 marzo 2014 n. 7315), hanno ribadito un indirizzo della giurisprudenza di legittimità che deve essere considerato consolidato e secondo il quale: “l’eventualità di evitare una decadenza non può integrare di per sé, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria, la ragione di urgenza contemplata dalla l. 212 del 2000, art. 12 comma 7, in quanto le ragioni di urgenza non possono derivare da profili o DEFICIENZE organizzative tutte interne all’amministrazione procedente. Una ragione di urgenza, intanto, è valida e idonea a giustificare l’anticipata emissione del provvedimento in quanto sia specifica e particolare, vale a dire propriamente riferita al contribuente o al rapporto tributario di cui si tratta, non già all’assetto organizzativo dell’amministrazione che procede”.

L’interesse del contribuente al contraddittorio preventivo (necessario) non può essere degradato ad eventualità soggetta alla discrezione con la quale l’amministrazione finanziaria programma le proprie attività istituzionali, discrezione rispetto alla quale certamente non compete al cittadino alcun metro di valutazione ma dall’inidoneo esercizio della quale è da escludersi che il cittadino abbia ragione di restare pregiudicato.

In altri termini: le conseguenze di deficit organizzativi della Pubblica amministrazione non possono ridondare a lesione di diritti fondamentali dei soggetti amministrati (cass. 7315/2014).

Anche quest’ultimo principio è di portata generale ed esprime la negazione di alcun riflesso sui diritti del cittadino riconducibili alla discrezionale decisione dell’amministrazione avente ad oggetto la modalità investigativa. Di talché se non è ammissibile che il diritto al contribuente al preventivo contraddittorio sia compresso dalla INEFFICIENZA ORGANIZZATIVA DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE, circostanza fattuale affatto riconducibile ad un comportamento del contribuente, allora lo stesso diritto non potrà di certo essere azzerato in ragione della discrezionale scelta investigativa dell’amministrazione.

Certo è nel diritto vivente quanto sopra affermato, ed appare prova di fondamento la critica avversa a tale principio.

La CTP Ascoli Piceno, tra le recenti da evocare, ha formulato una bene argomentata motivazione a sostegno della decisione di accoglimento del ricorso del contribuente che invocava la nullità dell’atto impositivo fondando il ricorso sui sopra evocati presupposti.

La sintesi della motivazione della sentenza di merito in trattativa coincide con il principio già esposto:

L’atto notificato prima del termine di cui all’articolo 12 co. 7 della Legge dello statuto del contribuente è nullo per manifesta violazione della legge, della costituzione e dei principi di derivazione europea.

Per chi ha ancora dubbi, si propone un cammino di analisi che partendo dalla giustizia di legittimità passando attraverso quella di merito, conclude nelle braccia rasserenanti della giustizia europea che afferma il principio fondamentale e di portata generale del diritto di contraddire prima della emanazione del provvedimento amministrativo, diritto che nel nostro ordinamento trova la sua “espressa manifestazione” nella norma del comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000 che prevede che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

La suprema Corte di Cassazione ha affermato l’applicazione della norma sopra riportata anche alla verifica diversa da quella effettuata mediante accessi, essendo norma di portata generale e attuativa del generale principio del diritto al contraddittorio che non può certo essere negato nelle ipotesi di verifica così dette a tavolino.

Si cita l’ordinanza della suprema Corte di Cassazione del 15 marzo 2011 n. 6088 nella quale è affermato che:

l’eccezione basata sulla rilevazione secondo la quale il termine di cui al comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000, non è perentorio ed inoltre nella specie non era in ogni caso necessario il rispetto del suddetto termine perché l’accesso non si era chiuso con la stesura di un verbale di contestazione finale ma con la redazione di due verbali meramente descrittivi dell’accesso è manifestamente infondato”.

Dalla lettura della norma emerge, per la corrispondenza del termine di emissione dell’avviso con quello concesso al contribuente per comunicare osservazioni e richieste, che il suddetto termine è inteso a garantire al contribuente la possibilità di interagire con l’amministrazione prima che essa pervenga alla emissione di un avviso di accertamento ed in tal senso il mancato rispetto del termine, sacrificando un diritto riconosciuto dalla legge al contribuente, non può che comportare l’illegittimità’ dell’accertamento, senza bisogno di alcuna specifica previsione in proposito. Peraltro, in ipotesi di termine non perentorio (come ritenuto dalla ricorrente) non avrebbe senso la previsione della possibilità, contemplata nella medesima norma, di emissione di avviso prima del decorso del termine suddetto, solo in “casi di particolare e motivata urgenza”.

E’ peraltro da rilevare che la norma non distingue in relazione al contenuto dei verbali, potendo il contribuente comunicare osservazioni e richieste anche in relazione a verbali che, pur non contenendo contestazioni potrebbero in ogni caso, come nella specie, dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento, essendo poi appena il caso di aggiungere che dalla sentenza impugnata non risulta che i due verbali redatti prima degli avvisi opposti fossero meramente descrittivi dell’accesso e che la ricorrente si limita ad affermare tale circostanza, senza riportare il testo dei suddetti verbali nel rispetto del principio di autosufficienza e senza depositare unitamente al ricorso i medesimi verbali (sui quali la censura è fondata) ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., n. 4”.

Trattasi di una decisione che fa eco a quella più nota in materia di accertamento basato su parametri e studi di settore delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione del 18 dicembre 2009 n. 26635, la quale ha affermato, proprio con riferimento alla modalità di accertamento effettuata in ufficio (trattasi, infatti, di decisione espressa con riferimento ad accertamenti sulla base degli studi di settore e parametri che sono effettuati senza effettuare accessi ed ispezioni), che:

il contradittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile, anche in assenza di una espressa previsione normativa, del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa”.

Tale affermazione è di importanza fondamentale e palesemente generale essendo attuazione del principio secondo il quale: “il contraddittorio è un elemento essenziale e imprescindibile dell’accertamento tributario”, principio che deve trovare applicazione non solo con riferimento agli accertamenti effettuati a seguito di accessi presso i locali del contribuente ma anche nel caso in cui gli stessi siano discendenti da verifiche effettuate presso gli uffici.

La questione della rilevanza del contraddittorio preventivo all’emissione dell’atto di accertamento è stata risolta definitivamente dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione del 14 maggio 2013 n. 18184, le quali hanno affermato alcuni principi fondamentali e generali che devono essere osservati nelle procedure di accertamento tributario.

In particolare le Sezioni unite hanno affermato il principio secondo il quale, le norme contenute nella Legge 212/2000 sono attuative dei principi generali delle norme costituzionali (Art. 1 comma 1), e sono espressive dei principi generali dell’ordinamento tributario alle quali non può non essere attribuito un preciso valore normativo. Le norme procedurali contenute nello statuto del contribuente sono attuative dei principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributario, e attuano principi già immanenti ed esistenti nel nostro ordinamento quali quelli della trasparenza e del buon andamento dell’attività amministrativa e delle garanzie del contribuente in quanto cittadino e uomo, non ultima quella riconducibile al diritto di difesa.

Nello specifico, affermano le sezioni unite, il comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente qualifica senza dubbio la norma come espressiva dei principi di Collaborazione e buona fede i quali, ai sensi dell’articolo 10 comma 1 devono improntare i rapporti tra contribuenti e fisco e vanno considerati, al pari dei principi di “tutela dell’affidamento” , quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3) e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di Diritto e canoni di civiltà giuridica.

Il comma 7 dell’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente prescrive un intervallo di tempo che ha la funzione di garantire l’attuazione del contraddittorio procedimentale, obbligatorio a pena di nullità dell’eventuale successivo provvedimento amministrativo, perché attuativo dei principi sopra esposti.

Il contraddittorio procedimentale garantisce la tutela del contribuente e assicura il migliore esercizio della potestà impositiva, da cui l’inosservanza non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento, per grave vizio procedimentale che è causa della privazione del tempo che la norma prescrive a favore del contribuente per garantire la sua partecipazione al procedimento esprimendo le proprie osservazioni che, come tassativamente indicato, devono essere attentamente valutate e riscontrate dall’Agenzia delle Entrate.

E’ troppo evidente che la norma, proprio perché attuativa di così elevati principi non può non trovare applicazione generale e quindi anche con riferimento ad accertamenti sviluppati senza accesso presso i locali del contribuente.

Quanto sopra ha trovato concreta conferma nella più recente sentenza della Cassazione n. 2594 del 5 febbraio 2014 chiamata a decidere la legittimità dell’atto impositivo emesso in materia di indagine finanziarie:

L’art. 12 comma 7 della L. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine di 60 giorni per l’emanazione dell’accertamento determina, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus e che la nullità in questione non è limitata alla sola verifica che si concluda con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di constatazione, ma più in generale, alla conclusione delle operazioni svolte, che trattandosi di indagini finanziarie, sono state effettuate presso gli uffici.

Nella sentenza il contribuente ha chiesto la valutazione della illegittimità costituzionale dell’accertamento ante tempus anche per le verifiche diverse da quelle effettuate mediante accesso ed in particolare per la verifica oggetto di contestazione che riguardava l’accertamento finanziario, controllo e accertamento effettuato presso l’ufficio a seguito di richiesta di comparire al contribuente. La suprema Corte di Cassazione ha giudicato fondato il ricorso del contribuente.

NON VI SONO DUBBI:

LE NORME IN MATERIA DI ACCERTAMENTO ANTICIPATO SI APPLICANO A TUTTI I TIPI DI ACCERTAMENTO

LA GIUSTIZIA DI MERITO

L’applicazione delle disposizioni di cui al comma 7 dell’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente alle verifiche effettuate presso l’ufficio trova riscontro anche nella giurisprudenza di merito.

La recente sentenza della CTP di Ascoli Piceno del 22 aprile 2014 n 385/14, afferma la nullità dell’atto impositivo perché notificato prima del decorso del termine nel caso di verifica effettuata presso l’ufficio e senza accesso presso il contribuente.

CTP 22 aprile 2014 n. 384/14 Estratto dalle motivazioni:

Secondo i Supremi Giudici, il divieto di emanazione di atti impositivi prima dei 60 giorni, a decorrere dalla data di conclusione delle indagini da formalizzarsi in apposito p.v.c. (da notificare al contribuente) trova applicazione qualunque sia l’attività di controllo posta in essere dall’Amministrazione Finanziaria. Una decisione, questa, affatto condivisibile anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE, sentenza Sopropé (C-349/07, punto 49 del 18 Dicembre 2008), secondo cui “il destinatario di una decisione a lui lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata (allo scopo) di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o di far valere elementi relativi alla loro situazione personale, tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro”.

La pronuncia muove dall’affermazione che il diritto di difesa, in quanto principio generale del diritto comunitario, deve trovare applicazione ogni volta che l’Amministrazione si proponga di adottare un atto capace di produrre effetti rilevanti nella sfera giuridica del destinatario. In forza di tale principio, “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente”.

E’ evidente la correttezza di tale decisione: se il diritto al contraddittorio preventivo è diritto non comprimibile nel caso di verifica mediante accesso, non se ne vede il motivo per il quale esso lo possa essere nel caso di verifica presso gli uffici dell’amministrazione.

E’ il diritto del contribuente ad avere conoscenza preventiva dell’azione dell’amministrazione che impone e detta i ritmi della corretta procedura di formazione della pretesa tributaria.

La CTR Lombardia del 22 marzo 2013 n. 32, ha affermato l’ovvietà dell’applicazione delle disposizioni in trattativa ma anche l’obbligatorietà della redazione del processo verbale del contraddittorio alla fine delle verifiche a seguito di richieste formulate dall’ufficio a pena di validità del successivo atto di accertamento.

La predetta disposizione (comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000), nel riconoscere al contribuente il diritto di formulare osservazioni e richieste entro il prescritto termine di sessanta giorni, evidenzia l’importanza della fase istruttoria prodromica all’eventuale adozione del provvedimento impositivo.

Il contribuente, in quanto titolare di una qualificata posizione giuridico-soggettiva, è normativamente posto nelle condizioni di partecipare attivamente al procedimento tributario, potendo avviare un contraddittorio endoprocedimentale, sia per motivi di difesa che per ragioni di carattere collaborativo.

Nel corso della predetta fase, l’organo procedente è giuridicamente tenuto a valutare tutti gli elementi probatori acquisiti, sia favorevoli che sfavorevoli al contribuente.

Con specifico riferimento al procedimento tributario, preme rilevare come l’Ufficio Finanziario sia tenuto a ponderare e valutare tutte le deduzioni formulate dal contribuente in sede di contraddittorio, nonché le richieste e le osservazioni eventualmente proposte dal medesimo durante il termine prescritto dall’art. 12, comma 7 dello Statuto del Contribuente.

Detto termine appare tanto più congruo se si pensa che costituisce ormai ius receptum in Giurisprudenza il principio secondo cui l’atto di imposizione tributaria deve contenere un’adeguata replica in grado di superare (rectius disattendere) le deduzioni formulate dal contribuente in sede di contraddittorio; in mancanza, l’atto è radicalmente nullo per difetto di motivazione (Cass. 26638/2009 e Cass. 4624/2008). Ciò in quanto sono in gioco beni giuridici e valori di rango costituzionale, che ben potrebbero essere lesi da atti impositivi difformi dallo schema legale, in quanto nulli o illegittimi.

Attraverso la formulazione di richieste ed osservazioni il contribuente esercita, di fatto, il proprio diritto di difesa.

Il fine perseguito è quello di evitare, attraverso puntuali e fondate deduzioni logico-giuridiche, l’emissione dell’atto impositivo.

L’odierna appellante eccepisce che la norma statutaria sia da riferirsi esclusivamente al processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica.

Il Collegio ritiene che, laddove l’ambito di applicazione della regola de qua fosse esclusivamente limitato al “processo verbale di constatazione”, non potrebbero non sorgere dubbi di legittimità costituzionali per difetto di giustificazioni logiche e razionali.

La disposizione avrebbe, infatti, natura decisamente discriminatoria, ponendosi in contrasto anche con gli art. 3, 24 e 97 della Costituzione.

Riconoscere al contribuente determinati diritti e facoltà, in ragione del solo tipo di atto conclusivo della verifica, equivale ad assicurare irragionevolmente un diverso trattamento a seconda che l’atto prodromico sia un P.V.C. (trattamento di favor) o un diverso atto (trattamento limitativo).

Occorre puntualizzare che, sia il P.V.C., sia il diverso atto endoprocedimentale conclusivo della verifica, richiedendo i medesimi requisiti di forma e sostanza, rientrano nel medesimo genus degli atti amministrativi adottati nel procedimento tributario, in contraddittorio con il soggetto sottoposto alla verifica ed in sede di conclusione dell’attività di controllo.

Per quanto concerne il predetto requisito di forma, entrambi gli atti devono essere redatti, a pena di invalidità dell’atto finale, in forma scritta. Quanto ai requisiti di sostanza è agevole osservare che, sia per il P.V.C., che per il verbale di contraddittorio, sono richiesti elementi essenziali, o strutturali, senza i quali, l’invalidità dell’atto prodromico si riverbera sull’atto impositivo finale.

Sulla base di tale decisione ne deriverebbe che a prescindere dal metodo di verifica adottato, l’Agenzia delle Entrate è obbligata a pena di nullità dell’atto impositivo successivo, a consegnare al contribuente un verbale di costatazione nel quale devo essere riportati i motivi e l’ipotesi di accertamento.

La C.T.P. di La Spezia ha statuito che per attività di verifica debba intendersi “qualunque attività di natura istruttoria diretta alla verifica della dichiarazione tributaria o tale da comportare l’esame in ufficio dei documenti prodotti dal contribuente stesso su invito dell’Amministrazione, anche senza accesso presso la sede del contribuente stesso su invito dell’Amministrazione, anche senza accesso presso la sede del contribuente” (sent. N. 2010 del 16.01.2007).

La sentenza evidenzia l’importanza di assicurare a tutti i destinatari di una eventuale verifica fiscale, espletata anche attraverso il controllo di documenti presso la sede dell’Ufficio Finanziario, il diritto di evitare in extremis l’adozione dell’atto tributario attraverso la formulazione di argomentazioni fattuali e giuridiche.

Giova precisare che la norma (c. 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000) si riferisce al “processo verbale di chiusura delle operazioni” e non al processo verbale di constatazione.

Di conseguenza il “processo verbale di chiusura delle operazioni” comprende sia il verbale finale conclusivo del contraddittorio amministrativo che il processo verbale di constatazione redatto al termine dell’attività di controllo e comprendente gli eventuali processi verbali redatti al termine di ciascuna operazione ispettiva.

Sia il verbale finale di contraddittorio, sia il processo verbale di constatazione costituiscono atti amministrativi che segnano la conclusione dell’attività di verifica, ma non la fine del contraddittorio endoprocedimentale. Qualunque sia l’atto adottato dall’Amministrazione Finanziaria, terminata l’attività di verifica, il contribuente potrà legittimamente argomentare nei sessanta giorni successivi detto atto. Pertanto, l’avviso di accertamento che, in difetto di motivata urgenza, fosse emesso ante tempus, ossia prima dei prescritti sessanta giorni è sempre lesivo del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio e, come tale, censurabile ed insanabile in sede contenziosa.

Dottrina e giurisprudenza concordano nell’affermare che l’atto di accertamento può dirsi legittimamente emanato solo se posto in essere dopo il termine di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione previsto dal comma 7 dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente.

Lo Statuto del Contribuente (art. 12, comma 7) attribuisce al contribuente il diritto di comunicare all’Ufficio accertatore osservazioni in merito alla verifica svolta entro il termine di 60 giorni dalla notifica del verbale di constatazione e pertanto l’atto di accertamento, emesso in violazione di tale diritto soggettivo, comporta la nullità del medesimo.

Lo Statuto del Contribuente, contiene delle espresse garanzie per il contribuente sottoposto a verifiche e/o controlli fiscali.

In particolare, l’art. 12 fissa dei precisi limiti all’attività accertatrice degli Uffici disponendo al comma 7 un’ulteriore garanzia che si tramuta nella possibilità per il contribuente, nei cui confronti siano stati eseguiti accessi, ispezioni e verifiche, di comunicare all’Amministrazione entro sessanta giorni osservazioni e richieste, che dovranno essere valutate da quest’ultima, in ordine ai dati ed elementi su cui si fonderà l’accertamento. L’accertamento, pertanto, non potrà essere emesso prima della scadenza di detto termine, fatta eccezione per l’insorgere di particolari urgenze che comunque devono essere indicate nell’atto ed adeguatamente motivate e non possono essere collegate alla scadenza del termine di prescrizione dell’annualità oggetto dell’accertamento.

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Si segnalano anche la sentenza CTP Reggio Emilia 8 novembre 2012 n. 159 e quella della CTP 94/06/13 di Parma. Quest’ultima ha il pregio di affermare che l’Amministrazione ha l’obbligo di dover materialmente ascoltare il contribuente per consentirgli di manifestare il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali intenderà fondare l’accertamento, e che dall’”assenza di un reale confronto preventivo con il contribuente non può che discendere la nullità insanabile degli avvisi di accertamento”.

È QUINDI CONSOLIDATO NELLA GIURISPRUDENZA IL PRINCIPIO DEL PREVENTIVO CONTRADDITTORIO, INSANABILE IN CASO DI VIOLAZIONE

LA GIUSTIZIA EUROPEA

Il principio sopra esposto e affermato dalla giurisprudenza nazionale trova il suo fondamento nella giurisprudenza europea.

La Corte di Giustizia Europea (notissima sentenza C. 349/07 “Sopropè”), ha affermato il carattere di diritto fondamentale comunitario del diritto di contraddire prima della emanazione del provvedimento amministrativo: “il destinatario di una decisione a lui lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata (allo scopo) di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o di far valere elementi relativi alla loro situazione personale, tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro”.

Per una efficace lettura della sentenza è necessario rilevare il contenuto normativo dell’articolo 41 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, rubricato “Diritto ad una buona amministrazione” che si riporta testualmente:

Articolo 41

Diritto ad una buona amministrazione

1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.

2. Tale diritto comprende in particolare:

  • a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio;

  • b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale;

  • c) l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

3. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

4. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue dei trattati e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.

Secondo la giurisprudenza Europea non vi sono dubbi nel ritenere il contradditorio procedimentale attuazione di un principio fondamentale e di generale applicazione e ciò è confermato nei punti da 81 a 88 della sentenza 22 novembre 2012 causa C- 277/11, che per la loro lapidaria rilevanza vale la pena di riportare testualmente:

81 (A tale proposito, occorre rammentare che,) secondo costante giurisprudenza della Corte, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenze del 28 marzo 2000, Krombach, C7/98, Racc. pag. I1935, punto 42, e del 18 dicembre 2008, Sopropé, C349/07, Racc. pag. I10369, punto 36).

82 Nel caso di specie, per quanto riguarda più in particolare il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento, che costituisce parte integrante del citato principio fondamentale (v., in tal senso, in particolare sentenze del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, 322/81, Racc. pag. 3461, punto 7, e del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, 374/87, Racc. pag. 3283, punto 32), esso è attualmente sancito non solo negli articoli 47 e 48 della Carta, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, bensì anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale garantisce il diritto ad una buona amministrazione.

83 Il paragrafo 2 del citato articolo 41 prevede che tale diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, nonché l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

84 È giocoforza constatare che, come emerge dalla sua stessa formulazione, tale disposizione è di applicazione generale.

85 Anche la Corte ha sempre affermato l’importanza del diritto al contraddittorio e la sua portata assai ampia nell’ordinamento giuridico dell’Unione, considerando che tale diritto si applica a qualsiasi procedimento che possa sfociare in un atto lesivo (v., in particolare, sentenza del 23 ottobre 1974, Transocean Marine Paint Association/Commissione, 17/74, Racc. pag. 1063, punto 15; Krombach, cit., punto 42, e Sopropé, cit., punto 36).

86 Conformemente alla giurisprudenza della Corte, il rispetto del citato diritto si impone quand’anche la normativa applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (v. sentenza Sopropé, cit., punto 38).

87 Il diritto al contraddittorio garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il suo punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi (v., in particolare, sentenza del 9 giugno 2005, Spagna/Commissione, C287/02, Racc. pag. I5093, punto 37 e giurisprudenza ivi citata; Sopropé, cit., punto 37; del 1° ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C141/08 P, Racc. pag. I9147, punto 83, nonché del 21 dicembre 2011, France/People’s Mojahedin Organization of Iran, C27/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 64 e 65).

88 Il citato diritto implica anche che l’amministrazione competente presti tutta l’attenzione necessaria alle osservazioni della persona coinvolta esaminando, in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e motivando sufficientemente la sua decisione (v. sentenze del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C269/90, Racc. pag. I5469, punto 14, e Sopropé, cit., punto 50), laddove l’obbligo di motivare una decisione in modo sufficientemente dettagliato e concreto, al fine di consentire all’interessato di comprendere le ragioni del diniego opposto alla sua domanda, costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa.

Alla luce dei principi esposti, nazionali e europei, appare IMBARAZZANTE negare l’applicazione del diritto al preventivo contraddittorio alle verifiche condotte a tavolino come completamente errata è la affermazione SECONDO la quale il diritto del contribuente espresso da tale fase procedimentale essenziale per la corretta formazione della pretesa tributaria, possa avere un’applicazione variamente limitata a seconda della discrezionale scelta dell’agenzia delle entrate.

UNA DIVERSA RIFLESSIONE

Per quanto sopra esposto, risulta che la fonte normativa del preventivo contraddittorio non è l’articolo 12 della legge dello statuto del contribuente, costituendo (il preventivo contraddittorio) una fase indispensabile e generale del corretto procedimento amministrativo e tributario.

Si potrebbe ritenere che, la disposizione del comma 7 dell’articolo 12 si pone in rapporto di specialità con il principio generale di rango costituzionale.

In altri termini poiché il preventivo contraddittorio procedimentale è espressione dell’attuazione di un principio fondamentale e generale, che trova il suo fondamento normativo nei tratti della costituzione Italiana, piuttosto che nella Carta dei diritti Fondamentali dell’uomo, l’articolo 12 comma 7 dello statuto del contribuente è disciplina speciale che potrà trovare applicazione solo ed unicamente nel contesto normativo dalla stessa contemplato.

Non deve sfuggire che, il comma 7 dell’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente prevede una particolare deroga al contraddittorio preventivo, che opera laddove sussista una grave e motivata situazione di urgenza, e tale deroga, nella riflessione che vi si sottopone, si contrappone all’attuazione del principio generale comprimendo il diritto del contribuente all’accesso al contraddittorio preventivo.

Se quindi si assume che il preventivo contraddittorio è regola generale e che l’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente è espressione di una regola particolare, si addiverrebbe ad una conclusione assolutamente interessante secondo la quale:

  • Il preventivo contraddittorio è necessario a pena di nullità per ogni tipo di accertamento;

  • In deroga e UNICAMENTE PER LE VERIFICHE PRESSO IL CONTRIBUENTE MEDIANTE ACCESSO (disciplinate dall’articolo 12 proprio come ritiene l’agenzia delle entrate), laddove sussista una circostanza di grave e motivata urgenza allora l’atto impositivo sarebbe ugualmente valido anche se i tempi di notifica hanno sacrificato quelli necessari ad effettuare il preventivo contraddittorio.

Lo scrivente ritiene che la conclusione esposta non appare priva di fondamento; non vi è dubbio che nelle ipotesi di verifica presso il contribuente questi ha in ogni caso modo di essere informato sulle circostanze oggetto della stessa e ha la possibilità di interagire con i verificatori, mentre nelle verifiche presso l’ufficio il contribuente non ha le stesse possibilità di azione.

Conclusione

Pensare che l’esercizio del diritto di difesa del contribuente possa dipendere da una decisione dell’amministrazione avente ad oggetto questa o quella modalità di verifica non appare corretto.

L’agenzia delle entrate deve assicurare l’esercizio del diritto del contribuente al preventivo contraddittorio in ogni ipotesi di accertamento, sia esso effettuato mediante accesso presso il contribuente sia esso effettuato presso l’ufficio dell’amministrazione. L’atto di accertamento non può essere quindi notificato prima del decorso del termine che, il comma 7 dell’articolo 12 della Legge dello statuto del contribuente, ha individuato in 60 giorni dalla data di ultimazione delle attività di verifica e controllo. Tale termine potrà essere derogato solo quando sussista una situazione di grave e motivata urgenza, circostanza che non può essere assolutamente riconducibile al comportamento dell’amministrazione finanziaria.

Questi i tratti essenziali che dettano i termini per la corretta formazione della pretesa tributaria e che l’Agenzia delle Entrate deve osservare ai fini della validità dell’atto impositivo.

20 agost0 2014

Mario Agostinelli

1 L’art. 1 della l. 212/2000 prevede che “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 della costituzione, costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario …” le disposizioni contenute nella legge dello statuto del contribuente sono quindi di attuazione dei principi della Costituzione Italia.