Dichiarazione dei redditi delle locazioni non percepite: che fare se l’inquilino non paga?

Quando l’inquilino è moroso, il proprietario si trova il problema della gestione delle locazioni non percepite nella determinazione dell’IRPEF dovuta; questo caso di dichiarazione genera sempre tanti dubbi.

I redditi di locazione devono essere dichiarati indipendentemente dalla loro percezione ed entrano di diritto nell’imponibile IRPEF.

In tempi di persistente crisi economica come quelli che stiamo vivendo, la norma contenuta nell’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986 non rassicura nè i conduttori di immobili ad uso abitativo e/o commerciale (i quali, sempre più spesso, si trovano in difficoltà sul pagamento del canone pattuito) nè il proprietario dell’immobile, tenuto al pagamento delle imposte sul reddito, indipendentemente (o quasi) dalla morosità dell’inquilino.

Se, infatti, il comma 1 del citato articolo 26 detta la regola generale (“I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’art. 33 , per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”), lo stesso comma prosegue disciplinando la deroga, relativa ai canoni di locazione di immobili ad uso abitativo non percepiti a causa di morosità, nonché la condizione per il recupero delle imposte pagate sui predetti canoni non percepiti (“I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”).

 

 

Quindi che fare, in concreto, se l’inquilino non paga?

L’eccezione contenuta nella seconda parte del primo comma dell’articolo 26 del TUIR (inserita, a decorrere dal 1° gennaio 1998, dall’art. 8 della L. n. 431/1998) è applicabile a condizione che:

  • si tratti di immobili locati ad uso abitativo (resterebbero, quindi, escluse le locazioni commerciali);

  • sia stato avviato e concluso il procedimento giurisdizionale che abbia decretato lo sfratto per morosità: in pendenza (o in assenza), il canone di locazione deve essere dichiarato anche se non percepito;

  • è possibile non dichiarare i canoni di competenza del periodo d’imposta non percepiti se entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi si è concluso il procedimento giudiziario di sfratto per morosità del conduttore, limitatamente alla parte che il giudice ha accertato come non riscossa;

  • qualora il giudice confermi la morosità anche per i periodi antecedenti, con riguardo alle imposte già versate per effetto dei canoni venuti a scadenza, al locatore è riconosciuto un credito di imposta di ammontare pari alle imposte già pagate e tale credito può: a) essere chiesto in compensazione anche dall’imposta relativa ad altre tipologie reddituali; b) essere riportato negli esercizi successivi; c) essere richiesto a rimborso, nel termine decennale di decadenza.

Dunque, le condizioni richieste dall’art. 26 per escludere i canoni non riscossi dal reddito complessivo, consentendo al proprietario dell’immobile (sempre che il provvedimento giudiziario di convalida di sfratto arrivi prima della presentazione della dichiarazione dei redditi) di dichiarare esclusivamente la (minore) rendita catastale, invece del reddito fondiario relativo ai canoni non riscossi, sono le seguenti:

  • che l’immobile risulti locato ad uso abitativo;

  • che il conduttore dell’immobile risulti moroso rispetto ai canoni locativi;

  • che si sia concluso il procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto.

 

L’esatta quantificazione del credito d’imposta deve essere effettuato ricalcolando le imposte risultanti da ogni singola dichiarazione dei redditi presentata negli anni precedenti, in pratica eliminando il reddito derivante dal canone di locazione dichiarato: in altre parole, si tratterà di rideterminare per ogni anno l’imposta complessiva in base alle regole vigenti in quel periodo d’imposta. Nel caso in cui i canoni per i quali si è usufruito del credito d’imposta vengano successivamente riscossi, anche parzialmente, è necessario dichiarare il maggior reddito imponibile fra i redditi soggetti a tassazione separata, salvo che non si opti per la tassazione ordinaria.

Poiché la deroga contenuta nella seconda parte dell’art. 26 del TUIR si applica alle locazioni ad uso abitativo, ne deriva che il locatore che concede in locazione un immobilead uso commerciale (locali commerciali, capannoni) sembrerebbe non godere delle medesime tutele.

La paventata discriminazione tra locatori che affittano per finalità abitativa e quelli che locano per finalità commerciale è stata esclusa da un’importante sentenza della Corte Costituzionale (n. 326 del 26 luglio 2000) con la quale è stato preliminarmente chiarito che la normativa che, ai fini della tassazione del reddito fondiario di un immobile locato, assume quale base imponibile l’importo del canone locativo (e ciò anche quando, a causa di morosità del conduttore, tale canone non sia stato percepito) rappresenta un’ipotesi di carattere eccezionale, rispetto alla disciplina comune che fa riferimento al reddito desunto dalle risultanze dei dati catastali e “trova spiegazione nell’attuale struttura del catasto fabbricati, i cui valori spesso non corrispondono all’evoluzione delle rendite immobiliari.

Tale eccezione” prosegue il giudice delle leggi

“deve peraltro armonizzarsi nel contesto di un sistema che pone la regola – che non può essere applicata in maniera indiscriminata ed irragionevole – in base alla quale i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo, indipendentemente dalla percezione e perciò dovrà considerarsi operativa solo fino a quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico, mentre in caso di risoluzione del rapporto, il riferimento a detto corrispettivo non sarà più praticabile e tornerà in vigore la regola generale, poiché quanto dovuto dal conduttore inadempiente ha, una volta verificatosi lo scioglimento del rapporto, natura risarcitoria”.

La Corte conclude affermando che

“E’ conseguentemente da escludersi che la normativa sia viziata da irragionevolezza e dia luogo a disparità di trattamento tra situazioni meritevoli di pari tutela e che sia lesiva del principio della capacità contributiva, in quanto, sotto tale profilo, non e’ ravvisabile palese arbitrarietà e manifesta irragionevolezza nella scelta, da parte del legislatore, dell’indice rivelatore di ricchezza. Ne’ risulta leso il diritto di difesa del contribuente, non essendovi spazi di rilevanza per la eventuale prova del mancato pagamento del canone, salvo l’ipotesi di cessazione del rapporto contrattuale”.

 

I principi ritraibili dall’importante pronunciamento possono così riassumersi:

a) i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta tecnicamente dovuto un canone locativo;

b) si potrà evitare tale eccezionale modalità di tassazione quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa etc…), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile.

Ma soprattutto il pronunciamento della Corte Costituzionale non fa alcuna distinzione fra immobili locati per uso commerciale e immobili locati per uso abitativo, legittimando il convincimento (peraltro confermato da qualificata giurisprudenza di legittimità quale Cass. nn. 11158/2013, 22588/2013 e 651/2012 con le quali è stata sancita la tassabilità dei canoni di locazione, sia ad uso abitativo che commerciale, non riscossi per morosità del conduttore fino al momento della risoluzione contrattuale, anche non giudiziale) che la risoluzione di un contratto di locazione legittimi anche il locatore dell’immobile abitativo a non dichiarare i canoni non riscossi e che il provvedimento di convalida di sfratto, nell’ottica della citata sentenza, oltre agli effetti di natura civilistica, rappresenta il presupposto giuridico per l’ottenimento del credito d’imposta nel caso in cui il locatore abbia versato imposte per canoni non riscossi.

 

A completamento della problematica trattata, non va trascurata la norma introdotta con l’art. 6, c. 5, del D.L. 31 agosto 2013, n. 102 (conv. L. 147/2013, legge di stabilità 2014) che ha istituito, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.

Come chiarisce la norma “Le risorse del Fondo possono essere utilizzate nei Comuni ad alta tensione abitativa dove siano già stati attivati bandi per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli” ed alla stessa è stata data concreta attuazione con il D.M. del 14 maggio 2014 (emesso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’Economia), pubblicato sulla G.U. del 14/07/2014, il quale prevede l’assegnazione di risorse il contributo sarà fino a euro 8.000) agli inquilini con un reddito non superiore a euro 35.000 in situazione di morosità incolpevole con il proprietario dell’immobile in affitto, dovuta a perdita o riduzione consistente del reddito per avversità lavorative o familiari.

Come precisa il regolamento, per beneficiare del contributo statale deve innanzitutto trattarsi di casi di morosità incolpevole, definiti dal decreto come quelli dove è diventato impossibile pagare il canone di locazione a causa di una sopravvenuta perdita, o consistente riduzione, della capacità reddituale della famiglia dovuta ad uno dei seguenti casi:

  • perdita di lavoro per licenziamento;

  • accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro;

  • cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale;

  • mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici;

  • cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente;

  • malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la consistente riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell’impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali.

La fonte di informazione per chi fosse interessato (inquilino, proprietario) è il Comune ove si trova l’immobile locato.

 

6 agosto 2014

Valeria Fusconi