I reati tributari dopo il decreto sulle semplificazioni fiscali

il decreto sulle semplificazioni tributarie nel caso di reati fiscali si applica retroattivamente in quanto prevede un trattamento favorevole rispetto alle previgenti disposizioni

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 28440 del 2 luglio 2014, ha affermato che nell’ambito del procedimento penale le novità contenute nel decreto legge n.16/2012, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, c. 1, Legge 26 aprile 2012, n. 44, in caso di reati fiscali, si devono applicare in maniera retroattiva.

La vicenda

Con decreto del 4 marzo 2013, il Gip del Tribunale ha disposto il sequestro preventivo di beni mobili, immobili e crediti di una società e dei suoi amministratori in relazione al reato di dichiarazione infedele, di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2009 e 2010, recanti elementi passivi fittizi tali da superare le soglia di punibilità previste da detta disposizione, con riferimento ad operazioni sull’acquisto di oro usato, in relazione al quale vi erano soggetti che avevano dichiarato di aver venduto alla società quantità di oro inferiori a quelle indicate nel registro di detta società o di non averne venduto affatto.

Con ordinanza del marzo 2013, il Tribunale in parziale accoglimento della richiesta di riesame presentata dall’interessata, ha ridotto l’importo del sequestro.

Avverso l’ordinanza l’amministratrice ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice. Nella difesa si sostiene che la denuncia dei redditi presentata dalla indagata nell’interesse della società era stata all’origine corretta, ma era diventata infedele per il reato addebitato al cd. amministratore di fatto della società, che era soggetto terzo nei confronti del quale era stata esercitata l’azione penale, in epoca successiva rispetto al termine di presentazione della denuncia dei redditi per gli anni di imposta in contestazione.

Vi sarebbe stata, inoltre, un’indebita interpretazione retroattiva dell’art. 8, della legge n. 44 del 2012, perché ritenuto applicabile alle dichiarazioni riferite agli anni di imposta 2009-2010.

Né la sussistenza del reato potrebbe essere desunta dall’art. 4-bis introdotto dalla legge n. 289 del 2002, relativamente alla tassazione dei redditi derivanti da illecito, perché neanche in forza di tale disposizione una denuncia dei redditi inizialmente corretta potrebbe divenire infedele per fatti meramente successivi. A tali considerazioni il ricorrente aggiunge che, laddove il patrimonio della società fosse reso libero, non sarebbe «concretamente pensabile una sua possibile dispersione, dolosa, perché in tal caso sarebbe ipotizzabile la violazione dell’art. 11 legge penale tributaria».

La novità sull’indeducibilità dei costi da reato

L’art. 8, del D.L. n. 16/2012, pubblicato sulla G.U. n. 52, del 2 marzo 2012, è intervenuto sul tenore del comma 4-bis, dell’articolo 14 della legge n. 537/1993, prevedendo sostanzialmente che sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni e delle prestazioni di servizio “direttamente” utilizzati per il compimento di atti e attività qualificabili come “delitto non colposo”. E’ venuto, quindi, meno il generico riferimento ai “reati”.

Il decreto legge suindicato, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento dell’accertamento, nonché ulteriori disposizioni urgenti in materia finanziaria”, è intervenuto sul suddetto comma 4-bis dell’art. 14, della legge n. 537/1993, nei seguenti termini:

(comma 1): nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi;

(comma 2): ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi, relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’art. 12, del D.Lgs. n. 472/1997, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’art. 16, comma 3, del medesimo decreto legislativo.

La nuova formulazione della disposizione di legge che sancisce l’indeducibilità dei cosiddetti costi da reato ammette in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio “direttamente” utilizzati per il compimento di atti o attività, qualificabili come “delitto non colposo”.

Ma l’aspetto più interessante è rappresentato dal riferimento alla necessaria “diretta” riferibilità dei costi agli illeciti innanzi qualificati come delitti non colposi.

Ciò si traduce in un maggiore sforzo per l’Amministrazione finanziaria, che, a differenza di quanto fatto sinora, sarà chiamata a esperire un’attenta istruttoria in sede di applicazione della norma, al fine di individuare i soli costi effettivamente riconducibili alle azioni astrattamente delittuose.

Con riferimento all’IVA, la situazione per i giudici di legittimità è differente nel senso che la norma introdotta dal legislatore non sancisce lo stesso criterio di deducibilità, per tale imposta.

La sentenza

Con riferimento alla sentenza in commento il ricorrente muove dall’assunto che le dichiarazioni relative agli anni imposta 2009 e 2010 sarebbero corrette, perché il reato di ricettazione dell’oro ipoteticamente acquistato dalla società sarebbe stato commesso non dalla persona indagata e ricorrente, legale rappresentante della società stessa, ma dal cd. amministratore di fatto della SRL.

Dallo stesso tenore letterale del ricorso emerge, però, la contraddittorietà di tale assunto, laddove non si contesta l’affermazione fatta propria dal Tribunale secondo cui questo era l’amministratore di fatto della società. Tale commistione di ruoli rende evidente, secondo la valutazione di merito dello stesso Tribunale, la continuità tra le dichiarazioni di imposta e gli illeciti relativi all’acquisto dell’oro, trattandosi di un’unica operazione, diretta a realizzare un’evasione fiscale.

Ai sensi dell’art. 14, c. 4-bis, della legge n. 537 del 1993, nel testo inserito dall’art. 2, c. 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, a decorrere dal 1° gennaio 2003 e precedente alla modifica operata dal dall’art. 8, c. 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, «nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti».

A seguito della modifica operata dall’art. 8, del decreto-legge n. 16 del 2012 richiamato, nella determinazione dei redditi non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati, per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, per il quale il pubblico ministero aveva esercitato l’azione penale.

Tale ultima disposizione trova applicazione retroattiva nel caso in esame, in quanto più favorevole di quella previgente, ai sensi del comma 3, del richiamato articolo 8, del d.l. n. 16 del 2012, perché richiede, per l’indeducibilità dei costi da reato, l’ulteriore requisito dell’esercizio dell’azione penale.

E lo stesso Tribunale evidenzia che è proprio quest’ultimo il caso di specie, in cui l’azione penale per i reati di riciclaggio e ricettazione è stata promossa nei confronti dell’amministratore di fatto della società.

Per i giudici di legittimità del tutto generiche risultano sul punto le deduzioni difensive secondo cui, al momento della presentazione delle dichiarazioni, l’azione penale non era ancora stata esercitata, non avendo il ricorrente assolto all’onere di fornire dati temporali certi e documentati a sostegno della sua doglianza.

Manifestamente infondato è, infine, il rilievo secondo cui non vi sarebbe nel caso di specie alcun periculum in mora, trattandosi di sequestro finalizzato alla confisca, per il quale il requisito del periculum in mora stesso non è richiesto, ai sensi dell’articolo 321, c. 2, c.p.p..

Per la Corte di Cassazione il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

8 agosto 2014

Federico Gavioli