il Fisco, in presenza di collegamenti logici, può desumere che conti di nome intestati a persone fisiche (soci e amministratori di una società e loro familiari) possano essere utilizzati per incassare in in nero i ricavi della società
Con l’ordinanza n. 10043 dell’8 maggio 2014 (ud. 3 aprile 2014) la Corte di Cassazione, richiamando la precedente e costante giurisprudenza, ha confermato che “in tema di imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, una volta dimostrata la pertinenza all’impresa dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Amministrazione finanziaria non è tenuta a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma è onere dell’impresa contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa – cfr., ex plurimis, Cass. n. 21420 del 30/11/2012. Si è pure precisato che detto contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative – cfr. Cass. n. 25502 del 30/11/2011; Cass. n. 18081/2010 e Cass. n. 4589/2009”.
Brevi note
E’ possibile per l’ufficio acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, intestati a soggetto diverso rispetto a quello oggetto di accertamento, se legato allo stesso da particolari rapporti di parentela che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento (cfr. circolare n. 131/1994, parte 3).
E’ questo il pensiero peraltro espresso dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni. Su tali tematiche registriamo le seguenti recenti sentenze della Cassazione.
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Con la sentenza n. 21420 del 30 novembre 2012 (ud. 11 ottobre 2012), per la Corte di Cassazione “in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 17.06.2002 n. 8683, con specifico riferimento a conto corrente intestato al coniuge del contribuente; id. 5′ sez. 21.12.2007 n. 27032) o quando comunque “l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 12.01.2009 n. 374).
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Con la sentenza n. 446 del 10 gennaio 2013 (ud. 18 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha affermato che il dettato normativo di riferimento (art. 51, c. 2, n. 7, del D.P.R. n. 633/72) che “abilita gli Uffici finanziari e la Guardia di Finanza a richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente, non circoscrive l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda, in quanto l’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate, ben possono essere giustificati dal rapporto di stretta contiguità familiare o lavorativa e da un’attività d’impresa logicamente compatibile con la produzione di ricavi, incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova contraria (C. 26173/11)”.Inoltre, “l’utilizzazione dei dati risultanti dai depositi bancari non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati a terzi, allorchè risulti provata tramite presunzioni la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati (C. 13391/03)”.Nella prova per presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.), è infatti sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Sez. Un. 9961/1996), così che il convincimento del giudice di merito “può ben fondarsi persino su una sola presunzione, purchè grave e precisa, nonché su una presunzione che sia in contrasto con altre prove acquisite, qualora la stessa sia ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli elementi di giudizio ad essa contrari (C. 16993/07)”.
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Con la sentenza n. 3762 del 15 febbraio 2013 (ud. 4 dicembre 2012), per la Suprema Corte “i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente consentono, in virtù della presunzione contenuta nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività. Detta presunzione legale ‘vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova’” (Cass. n. 19493 del 2010 in motivazione ed ivi richiami di conformi precedenti).Peraltro, la giurisprudenza della Corte ha altresì chiarito che “l’estensione delle indagini bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o quale amministratore e soci o quale congiunto di questi e, quindi, in una società, come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l’esistenza di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati a tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa origine di tali entrate” (Cass. n. 19493 del 2010 in motivazione ed ivi richiami di conformi precedenti).
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Con la sentenza n. 4904 del 27 febbraio 2013 (ud. 20 dicembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che, in forza di consolidata giurisprudenza (i.e. Cass. 1999 n. 1728, Cass. 2002 n. 8683, Cass. 2003 n. 13391, Cass. 2007 n. 2085, Cass. 2007 n. 6743), è legittima l’estensione “delle indagini bancarie ai congiunti, reputando il rapporto familiare sufficiente a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati o cointestati a familiari”. Resta fermo, osserva la Corte, che gli indizi possano costituire prove dell’evasione e sono utilizzabili nella globalità del meccanismo presuntivo, “legittimando appunto le presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti (cioè dotate di inferenza probabilistica univoca, non plurima, e non confliggente con altri elementi probatori: cfr. Cass. 2012 n. 3281) in coerenza con la connotazione evincibile dagli artt. 2727 e 2729 c.c..”.
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Con l’ordinanza n. 2029 del 30 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto utilizzabili, ai fini dell’accertamento sulla società, le risultanze delle movimentazioni sui conti bancari intestati all’institore ed all’amministratore della stessa.Questa Corte ha reiteratamente affermato che “In tema di imposte sui redditi ai sensi degli artt. 32 e 37 del dP.R. n. 600 del 1973, delle imposte sui redditi di società di capitali, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa” (così Cass. 20199/10, conformi, Cass. 15217/12 e 12625/12).
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Con la sentenza n. 5677 del 12 marzo 2014 (ud. 18 dicembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato e ribadito che costituisce, infatti, ius receptum che, in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, “autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico, relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. n. 27032/2007, n. 18421/2005, n. 6232/2003, n. 8683/2002)”. Nel caso specifico si trattava di conti di soci e della madre.
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Con la sentenza n.25474 del 13 novembre 2013 la Corte di Cassazione confermato il legittimo uso di dati bancari appartenenti a soggetti terzi (procuratori) rispetto all’ente societario. L’atto impositivo l’Ufficio si fondava sui riscontri contabili effettuati sui conti correnti bancari intestati all’amministratore ed al procuratore speciale della società. In sintesi, i principi che emergono sono i seguenti: “con riferimento alle imposte sui redditi, si è – per vero – osservato che, ai sensi degli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti presso gli istituti di credito non può ritenersi limi ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda che quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali; sempre che, in siffatta ipotesi, risulti provata dall’amministrazione finanziaria, anche presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne discende, sul piano della distribuzione dell’onere della prova, che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma – al contrario – la corretta interpretazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare l’estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20199/10, 15217/12, 12625/12)”. “Allo stesso modo, in tema di IVA, questa Corte ha osservato che, ai sensi dell’art. 51, co. 2, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 633/72, l’acquisizione, dagli istituti di credito di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente e l’utilizzazione dei dati da essi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti – qualora il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili – non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli intestati ai soci, amministratori o procuratori generali. In tale ultima ipotesi, tuttavia, deve risultare provata dall’amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (cfr., ex plurimis, Cass., 24995/06, 8634/07, 374/09, 11145/11, 5849/12)”. Nel caso concreto, l’Amministrazione ha fondato l’atto impositivo su una serie di elementi indiziari e presuntivi, particolarmente significativi. “Tali indizi – rilevanti sia ai fini delle imposte dirette che dell’IVA – si concretano, in particolare: 1) in elementi positivi di reddito non contabilizzati scaturenti dal riscontro sui conti dei soci, e privi di idonea ragione giustificativa; 2) nell’omessa fatturazione per accreditamenti non giustificati in alcun modo, a seguito degli accertamenti bancari; 3) nell’omessa fatturazione di operazioni imponibili e nell’omessa dichiarazione IVA; 4) nella mancata regolarizzazione di acquisti senza fattura, derivanti da prelievi bancari non giustificati dai soci. Inoltre, come riferito anche dalla stessa resistente (p. 7 del controricorso), nei confronti dell’ amministratore e dei soci della E. 2000 s.r.l. era stata esercitata l’azione penale, per gli stessi fatti oggetto dell’avviso di accertamento impugnato”. A fronte dei succitati elementi, di particolare pregnanza sul piano indiziario e presuntivo, la contribuente si è limitata “a mere allegazioni, del tutto sfornite del necessario riscontro probatorio, circa il carattere extra-aziendale delle operazioni sottese alle movimentazioni bancarie suindicate, rinviando del tutto genericamente, in proposito, ai documenti prodotti nei giudizi di merito”.
10 luglio 2014
Roberta De Marchi