Il possesso di un'autovettura di grossa cilindrata e l'impatto sull'accertamento sintetico

nel vecchio accertamento sintetico il possesso di autovetture era uno degli indici più rilevanti per desumere reddito evaso: analisi delle differenze fra vecchio e nuovo sintetico

La Corte di Cassazione, con la sentenza 6 giugno 2014, n. 12745, torna ad occuparsi del vecchio accertamento sintetico, ribadendo importanti principi.

L’accertamento

L’accertamento sintetico era stato costruito, ai sensi dell’allora vigente art. 38, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in riferimento a beni indici di capacità contributiva, costituiti dalla disponibilità, in base a contratto di locazione con canone significativo, di un bene storico artistico e, per gli anni 1996 e 1997, dall’intestazione di un’autovettura Jeep Cherokee; ciò era indice, secondo l’ufficio, di un tenore di vita in contrasto con i redditi dichiarati, atteso che non era stato dichiarato alcun reddito né era stata presentata la dichiarazione.

 

Il giudizio di appello

Il giudice d’appello, ritenuta la legittimità dell’accertamento sintetico, considerava non idonei a superare la presunzione posta a fondamento della pretesa del Fisco gli elementi addotti dalla contribuente, “ perché non vi erano redditi di un terzo, come il marito, che potessero giustificare il tenore di vita della contribuente stessa, non essendo state presentate dichiarazioni per buona parte degli anni interessati dall’accertamento: non lo era, in particolare, la dichiarazione dei redditi del marito per il 2003, poiché periodo successivo a quelli oggetto dell’accertamento, né la compravendita dei titoli nel 2001, da parte del marito della contribuente, non risultando neppure che avesse costituito un reddito a favore di quest’ultimo”.

Quanto alla documentazione dei movimenti bancari, “ la contribuente aveva prodotto non la scheda relativa all’intera movimentazione del conto corrente, ma una dichiarazione dell’istituto di credito relativa a singoli versamenti da parte del marito, la quale non poteva evidentemente escludere che le somme versate fossero state immediatamente dopo recuperate”.

 

La sentenza della Cassazione

Come già la Corte ha chiarito,

l’accertamento dei redditi con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non postula, in difetto di ogni previsione al riguardo della norma, che gli elementi e le circostanze di fatto in base ai quali il reddito viene determinato dall’ufficio siano in qualsiasi modo contestati al contribuente, ferma restando per quest’ultimo la possibilità di fornire, in sede di impugnazione dell’atto, la dimostrazione che il redito effettivo è diverso e inferiore rispetto a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’amministrazione finanziaria, sicché la sola circostanza relativa alla mancata instaurazione di una qualche forma di contraddittorio con il contribuente nella fase istruttoria non può giustificare l’annullamento dell’accertamento stesso” (Cass. n. 27079 del 2006).

Inoltre,

la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto redditometro, da un lato non pone alcun problema di retroattività, per i redditi maturati in epoca anteriore, stante la natura procedimentale degli strumenti normativi secondari predetti (emanati ai sensi dell’art. 38, comma quarto, del d.P.R. n. 600 del 1973); dall’altro, essa dispensa l’amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori – indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore” (Cass. n. 9539 del 2013).

E in conclusione afferma che

l’accertamento del reddito con metodo sintetico, infatti, non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta (art. 38, sesto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 20588 del 2005). Una prova siffatta, secondo il giudice di merito, non è stata fornita”.

 

Le nostre considerazioni

Lo strumento dell’accertamento sintetico misura la capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo e permette all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, di determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, quando il reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato, e per almeno un biennio (norma ante riforma).

Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, nel vecchio regime, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti (norma soppressa nel nuovo redditometro).

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, attraverso idonea e probante documentazione, sia prima che dopo la notificazione dell’avviso di accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

La circolare n. 101/E del 30 aprile 1999 aveva già posto in risalto che

in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente“ occorre attenersi “ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili, secondo gli ordinari canoni probatori“ e “considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo … si sottolinea l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici, soprattutto nei casi in cui la ricostruzione presuntiva del reddito sia essenzialmente fondata su fatti-indice che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità (in particolare, spese per l’abitazione e spese per mutui immobiliari)“.

Successivamente, la circolare n.49/2007, invita gli Uffici a valutare la probatorietà della “documentazione prodotta dal contribuente”.

La prova contraria, nei casi in cui l’amministrazione finanziaria proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore (come nel caso di specie) è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso, rimane a carico del contribuente.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva.

Ricordiamo che, nell’ambito dell’onere della prova su accertamenti sintetici, con sentenza n. 6813 del 20 marzo 2009 (ud. dell’11 febbraio 2009) la Corte di Cassazione, ha affermato in ordine ai redditi esenti che l’interpretazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 non è

conforme alla lett. e, soprattutto, alla ratio della norma perché postula una scissione tra 1) dimostrazione documentale del possesso dei redditi determinati sinteticamente dall’Ufficio in base al fatto che il contribuente abbia sostenuto una spesa per incrementi patrimoniali e 2) prova dell’impiego materiale di tali redditi inammissibile perché nel sesto comma dello stesso art. 38 (‘il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’; ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione’) il legislatore individua l’oggetto della prova liberatoria a carico del contribuente unicamente nella (dimostrazione della) identità della ‘spesa per incrementi patrimoniali’ con ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’: per la norma, quindi, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di ‘redditi’ – e men che mai di ‘redditi esenti’ ovvero di ‘redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’ – ma è necessario anche la prova che la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’; la scissione supposta, peraltro, ridonda illogicamente a danno del contribuente perché senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa ‘per incrementi patrimoniali’, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (‘la stessa si presume’) posta, a suo svantaggio, dalla norma.

Nel caso i contribuenti hanno dedotto solo il preteso possesso di redditi che assumono sufficienti ma non hanno mai neppure allegato né che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare la “spesa per incrementi patrimoniali” recuperata a tassazione dall’Ufficio né, soprattutto, che quegli stessi redditi erano “ esenti” da imposta o erano stati già assoggettati “ a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”.

Sempre di recente, con la sentenza n.8995 del 18 aprile 2014, la Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia di secondo grado che aveva affermato che l‘Ufficio aveva errato nel considerare rilevante ai fini del redditometro un’autovettura che non era nella disponibilità del contribuente, e che, in ogni caso, il contribuente aveva dimostrato di avere avuto nella propria disponibilità, in relazione agli anni in questione, redditi esenti per £ 51.100.000 e per £ 106.067.670. Preso atto del vecchio dettato normativo, secondo cui (art. 38 c. 6 DPR n. 600/1973) l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione“.

Per la Corte,

la norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

Aggiunge la Corte

che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la ‘durata’ del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice ‘transito’ nella disponibilità del contribuente). È infine da evidenziare che questa Corte, in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento a spese per incrementi patrimoniali, ha avuto occasione di affermare che ‘la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, DPR n. 600/1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)’ (cfr. Cass. n. 6813/2009)”. Osservano i massimi giudici che, nel caso di specie, “risulta accertato che il contribuente ha fornito la prova dell’esistenza e dell’ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risulta accertato che abbia altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della ‘durata’ del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi”.

Da ultimo, rileviamo che la sentenza in rassegna, si attesta su quell’indirizzo giurisprudenziale che ha ritenuto legittima l’applicazione dei decreti ministeriali del 1992 ai periodi d’imposta anteriore all’entrata in vigore degli stessi, stante la natura procedimentale degli strumenti normativi secondari predetti (cfr. sentenza n. 13776 del 31 maggio 2013, ud. 9 maggio 2013, dove la Corte di Cassazione ha confermato, ancora una volta, la legittimità dell’applicazione retroattiva dei decreti ministeriali. Tale sentenza si pone sul solco di ulteriori precedenti pronunce (da ultimo, n. 26437/2010, secondo cui

E’ infatti giurisprudenza consolidata di questa Corte v, Cass. nn. 12731/2002, 14161/2003, 1797/2005, 19403/2005 che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla rettifica, con metodo sintetico, del reddito complessivo sulla scorta di elementi e circostanze di fatto certi, utilizzabili anche dal Ministero delle finanze per la fissazione dei coefficienti presuntivi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, consente il riferimento a redditometri contenuti in decreti ministeriali emanati successivamente ai periodi d’imposta da verificare, senza porre problemi di retroattività, poichè il potere in concreto disciplinato è quello di accertamento, sul quale non viene ad incidere il momento della elaborazione”).

22 luglio 2014

Francesco Buetto