Crisi economica ed omesso versamento dell'IVA: nessun reato in caso di comprovata crisi

non è punibile l’imprenditore che non versa l’IVA dichiarata a debito se l’omesso versamento dipende da una grave crisi finanziaria dell’impresa

Il reato previsto dall’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 non è punibile a titolo di responsabilità oggettiva; pertanto l’imprenditore in crisi finanziaria può rispondere dell’omesso versamento dell’IVA soltanto se c’è prova del dolo.

È quanto afferma la Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con la sentenza 26 giugno 2014, n. 27676.

Di nuovo, quindi, all’attenzione della Suprema Corte la fattispecie di omesso versamento IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000) nel contesto, sempre più frequente nella giurisprudenza in materia, della crisi di impresa.

Il principale argomento difensivo consisteva nella carenza, in capo al ricorrente del dolo, quale necessario elemento soggettivo del reato, da escludersi per le difficoltà societarie dimostrate, in causa, dalla dichiarazione dei redditi dell’ente e dall’istanza di rateizzazione delle cartelle di pagamento.

Il caso

Ad un imprenditore veniva contestato il reato di cui all’art. 10-ter, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per non avere versato entro il termine del 27 dicembre 2006, l’IVA per il periodo di imposta 2005 pari a oltre 216mila euro, come risultava da un controllo automatizzato ex art. 54 bis, del D.P.R. 633/1972.

Il Tribunale ordinario con sentenza del novembre del 2011, assolse l’imputato perché il fatto non sussiste.

Il Procuratore Generale ricorse davanti alla Corte di Appello che osservò che:

  1. la condotta si era consumata il 27 dicembre 2006 e, quindi, era intervenuta nella vigenza della legge 248/06, di conversione del d.l. 223/06;

  2. l’imputato non aveva dedotto elementi a proprio discarico e non poteva ignorare di non avere pagato il proprio debito IVA;

  3. era irrilevante la circostanza che egli potesse trovarsi nella impossibilità di versare il dovuto per problemi economici, ancorché gravi, della propria impresa.

In secondo grado l’imprenditore fu, quindi, ritenuto colpevole di omesso versamento dell’IVA.

Il ricorso in Cassazione

L’imprenditore nel ricorso in Cassazione ha dedotto che:

1) vi è stata erronea applicazione degli artt. 10- ter, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e 42 cod. pen.. Osserva che il reato richiede il dolo e che nella specie (come risulta dalla documentazione prodotta: istanza di rateizzazione di cartelle di pagamento, dichiarazione dei redditi della società) è evidente che l’imputato non ha coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all’IVA, in quanto la difficoltà finanziaria della società non ha consentito i versamenti. La Corte d’Appello ha ammesso lo stato di difficoltà della società ma lo ha ritenuto irrilevante. Inoltre non ha considerato che l’imputato avrebbe dovuto reperire la liquidità necessaria in appena cinque mesi, poiché l’art. 10-ter è stato introdotto nel luglio 2006. Se si ritenesse integrato lo elemento psicologico anche in presenza di grave crisi aziendale vi sarebbe contrasto con l’art. 27 Cost. perché sarebbe punito un soggetto per un fatto a lui non rimproverabile e quindi per una condotta inesigibile.

Poiché il dolo penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, il dolo omissivo richiesto nella specie deve necessariamente accompagnare il mancato adempimento alla scadenza del termine; circostanza che la Corte d’Appello ha omesso di valutare. Nella specie risulta provato che la società versava in grave crisi e l’imputato non disponeva della liquidità necessaria per versare le somme.

2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato. L’imprenditore ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha rilevato lo stato di difficoltà della società, ma erroneamente non ha escluso il dolo nella condotta omissiva posta in essere;

3) incostituzionalità dell’art. 10-ter in relazione all’anno di imposta 2005.

L’imprenditore osserva, inoltre, che se con l’art. 10 ter (introdotto nel maggio del 2006) il legislatore ha ricompreso nella condotta criminosa anche l’omesso versamento dell’IVA relativa all’anno 2005, si è dato corso ad una illegittima applicazione retroattiva. L’imprenditore nel 2005, in cui si provvedeva alla liquidazione periodica dell’IVA, riteneva non costituisse reato l’omesso versamento dell’IVA e non si è preoccupato di accantonare la liquidità necessaria, privilegiando altri pagamenti. Il comportamento dell’imputato non era previsto come reato nel 2005 e neanche durante la dichiarazione annuale IVA e delle imposte dirette , ossia sino al maggio 2006.

L’analisi della Cassazione

I giudici di legittimità osservano che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter, D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006, punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale. Inoltre, va ricordato che la Corte Costituzionale, con le ordinanze n. 224 del 2011 e 25 del 2012, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione all’art. 3 Cost., dell’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, ritenendo non lesivo del parametro costituzionale evocato il fatto che il debitore IVA per l’anno 2005, disponesse di un termine minore, dall’introduzione della norma, a luglio 2006, al 27 dicembre 2006, di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi.

La difesa dell’imprenditore aveva invero ricordato che l’art. 10-ter, del D.Lgs. 74/2000 prevede la sussistenza del dolo, escludendo quindi ipotesi colpose. Aveva poi eccepito che nel concreto caso in esame, anche attraverso una produzione documentale (istanze di rateazione di cartelle di pagamento, dichiarazione dei redditi della società) emergeva la prova che l’imprenditore non aveva coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all’IVA, ma per la difficoltà finanziaria della società da lui rappresentata non si era trovato nella condizione di potere effettuare i versamenti degli importi risultanti dalle relative dichiarazioni.

La condotta di versamento dell’IVA era dunque per lui inesigibile perché lo stato di crisi aziendale aveva di fatto reso impossibile il versamento per il legale rappresentante. Aveva inoltre evidenziato che, relativamente all’IVA, l’imputato avrebbe dovuto reperire la liquidità necessaria in appena cinque mesi, perché l’art. 10 ter, che aveva introdotto la nuova norma incriminatrice penale anche per il periodo di imposta del 2005, era entrato in vigore solo nel luglio del 2006. Pertanto, secondo la difesa, la condotta omissiva non era rimproverabile all’imprenditore , perché la stessa era da ritenere inesigibile, mentre per i reati omissivi propri il dolo è costituito dalla rappresentazione del presupposto del dover agire e dalla volontà di non compiere l’azione doverosa (idonea e possibile). Aveva inoltre osservato che il dolo penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, e quindi il dolo omissivo in questione doveva necessariamente accompagnare il mancato adempimento del comportamento doveroso alla scadenza del termine prescritto. Pertanto, qualora il soggetto, a causa di una obiettiva mancanza di liquidità, non possa fare altro che omettere il tempestivo versamento delle imposte dovute, non risulta integrato il dolo tipico del reato, stante la effettiva mancanza di volontà dell’omissione, e dunque il soggetto non può essere ritenuto personalmente responsabile per il fatto reato.

Un caso precedente

Con la sentenza n.14953, del 1 aprile 2014, i giudici di legittimità ritengono che il mancato pagamento dell’IVA, in una situazione di grave crisi di liquidità, sia giustificato solo se dipende da un evento eccezionale e di rilevanti dimensioni.

La Corte di Appello con sentenza emessa nel luglio del 2013, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava un imprenditore colpevole del predetto reato e lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione; pena sospesa e non menzione.

L’interessato proponeva ricorso per Cassazione sostenendo, principalmente, che nella fattispecie non ricorreva l’elemento soggettivo del reato contestato, ossia il dolo.

Per l’imprenditore ricorrente, infatti, non erano state corrisposte le somme dovute unicamente perché versava in una situazione di carenza di liquidità economica, dovuta a debiti pregressi.

Sull’argomento è di interesse la circolare n. 12/2013 della Fondazione Centro Studi U.N.G.D.C., pubblicata il 29 aprile 2013 dal titolo “Omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento IVA ed illiquidità: scelta punibile od omissione necessitata?”.

Secondo lo studio della Fondazione l’imprenditore potrà appellarsi alla propria illiquidità non certo quando egli si sia trovato a vivere in una situazione critica momentanea e transitoria, ma solo quando risulti conclamata una vera e propria perdurante impossibilità di fare fronte alle proprie obbligazioni.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale per insolvenza deve intendersi l’incapacità dell’imprenditore di continuare ad operare sul mercato fronteggiando le obbligazioni contratte, attraverso l’impiego di mezzi ordinari.

Il documento sottolinea, ovviamente, che per potere eventualmente invocare una sentenza di assoluzione da parte dell’imprenditore, a fronte di un omesso versamento IVA , occorre che l’insolvenza risulti conclamata sia alla scadenza del termine sancito dalle norme tributarie, sia alla scadenza del termine indicato dall’art. 10-ter.

E’, infatti, necessario verificare se l’imprenditore ha fornito un contributo causale all’insorgere dell’insolvenza, che egli avrebbe potuto o dovuto scongiurare mantenendo una condotta diversa.

L’imprenditore non solo non deve aver cagionato o concorso a cagionare il sorgere dello stato di insolvenza, ma neppure deve averne cagionato il persistere sino alla data di scadenza del pagamento.

In altre parole, l’imprenditore deve avere fronteggiato la situazione di insolvenza mantenendo una condotta conforme alla legge. Solo a queste condizioni l’imprenditore stesso potrà poi dire che l’omesso versamento IVA non è imputabile alla sua volontà.

Il documento evidenzia che l’imprenditore chiamato a rispondere del reato di cui all’art.10-ter del D.Lgs. 74/2000, che invochi a propria discolpa l’impossibilità di riuscire ad adempiere al versamento IVA, dovrà farsi parte attiva al fine di dimostrare la sussistenza delle condizioni “scriminanti” allegando elementi sulla cui base il giudice potrà ritenere non sufficientemente dimostrata la sussistenza del dolo di omissione, con conseguente necessità di pervenire ad una pronuncia di assoluzione, perché il fatto non costituisce reato.

Secondo il documento della Fondazione:

  1. per l’imprenditore non sarà sufficiente invocare l’esistenza della crisi economica e finanziaria che ha investito il Paese, né potrà richiamare a un “blocco” del proprio settore di appartenenza e né, infine, potrà lamentarsi della impossibilità di accedere al credito;

  2. l’imprenditore dovrà dimostrare attraverso una allegazione analitica opportunamente accompagnata da una relazione di carattere tecnico, che l’impresa versava in una situazione di reale insolvenza e che detta situazione di insolvenza è sorta prima o al più tardi alla scadenza del termine previsto dalle disposizioni tributarie per il versamento dell’IVA;

  3. che la stessa situazione era presenta la momento del termine indicato dall’articolo 10-ter e che l’imprenditore non ha cagionato l’insolvenza;

  4. che una volta insorta tale condizione l’imprenditore stesso ha posto in essere una condotta conforme alle previsioni normative, in particolare con riferimento ai pagamenti.

I giudici di legittimità dopo un attento esame del ricorso hanno verificato che l’imprenditore ricorrente , titolare di una impresa individuale, aveva omesso di versare entro il 27/12/2006 l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale relativa all’anno 2005, per l’ammontare complessivo di € 108.172,00, imposta superiore al limite di non punibilità, pari ad € 50.000,00.

Per la Corte di Cassazione il ricorso è infondato, per i seguenti motivi:

  1. le asserite difficili condizioni economiche avrebbero determinato la carenza di liquidità da parte della ditta di cui l’imprenditore era rappresentante legale sono state solo prospettate, ma non provato in modo univoco, specifico e certo;

  2. dette precarie condizioni economiche, comunque, almeno che le stesse non siano determinate da eventi eccezionali e di rilevante dimensione, non costituiscono di per sé solo un caso fortuito o di forza maggiore, come tale idoneo ad escludere la punibilità o quantomeno il dolo del reato di cui all’art. 10 ter, del D.Lgs. 74/2000.

Per i giudici di legittimità l’eventuale crisi di liquidità economica, nell’ambito dell’attività di impresa, di norma non costituisce un evento imprevedibile e come tale insuperabile. La crisi di liquidità, invece, rappresenta un evento possibile, concretizzando lo stesso un rischio inerente all’attività di impresa, cui occorre far fronte tempestivamente con opportuni interventi sul cosiddetto “flusso di cassa” dell’azienda, quali:

a) tempestivi e frazionati accantonamenti;

b) il ricorso all’acquisizione di ulteriori somme erogate da istituti bancari /o finanziari ed altri.

I giudici ritengono che l’asserita crisi di liquidità economica costituiva, tutt’al più, soltanto motivo personale e soggettivo per il quale l’imprenditore non ha effettuato il versamento dovuto.

La stessa (cioè la crisi di liquidità), tuttavia, non era una valida ragione giuridica idonea a giustificare il mancato pagamento dell’IVA dovuta.

Le conclusioni della Cassazione

I giudici di legittimità con la sentenza in commento ricordano che le sentenze delle Sezioni Unite n. 37424/2013, in tema di omesso versamento IVA, e n. 37425/2013, in tema di omesso versamento di ritenute, hanno affermato che non può essere invocata l’assenza di liquidità, qualora non si dimostri che essa non sia dipesa dalla scelta di non fare fronte all’adempimento. La sentenza 21.1.2014, n. 2614, ha riconosciuto che indicazioni specifiche e concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole al l’adempimento possono escludere il dolo e, dunque, il reato. La sentenza 5.2.2014, n. 5467, ha affermato che, nei casi di mancato versamento, non si può escludere in astratto l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di assolvere all’obbligazione tributaria per la crisi di liquidità, occorrendo, però, provare la non imputabilità al contribuente della crisi e che detta crisi non può essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, a idonee misure, sempre da valutarsi in concreto.

La sentenza 7.2.2014, n. 5905, ha affermato che può essere esclusa la colpevolezza dell’imprenditore che omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti, e che in tale caso l’onere probatorio o meglio di allegazione della situazione di insolvenza incombe sull’imputato, aggiungendo che la forza maggiore può escludere la punibilità del reato di cui all’art. 10 bis nel caso di una imprevista ed imprevedibile indisponibilità del denaro necessario, non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore.

La sentenza 25.02.2014, n. 13019, ha ritenuto che non è escluso che siano possibili casi nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, ma in tal caso occorre che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Va, altresì, sottolineato che, nel caso in esame, la Corte d’Appello ha poi totalmente omesso di esaminare l’aspetto evidenziato con i motivi di appello relativo al fatto che si trattava di una situazione particolare perché il reato riguardava il mancato versamento degli importi IVA dovuti per il 2005, mentre la norma che puniva la condotta omissiva come reato è entrata in vigore solo nel luglio 2006, dando così solo pochi mesi di tempo al contribuente che eventualmente, a fronte di una crisi finanziaria dell’impresa, avesse voluto gestire le risorse economiche confidando sul fatto che il mancato versamento dell’IVA avrebbe comportato solo sanzioni pecuniarie e avesse perciò privilegiato il pagamento di debiti maggiormente indilazionabili.

La sentenza delle Sezioni Unite n. 37425/2013, ha affermato che «Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra il momento di effettuazione delle ritenute e l’introduzione della norma penale, all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato. Ciò in particolare potrebbe verificarsi nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura prevista al momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto in essere “prima” dell’introduzione della norma penale, quando le conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa».

La Corte di Cassazione affermato , pertanto , che la sentenza impugnata va dunque annullata per mancanza di motivazione con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello.

10 luglio 2014

Federico Gavioli