I ricavi continuano ad essere omessi pur se il giudice penale ha assolto il contribuente

l’assoluzione in sede penale non vincola il giudice tributario alla stessa decisione, quindi è possibile che un contribuente sia condannato in processo tributario anche se nel collegato processo penale è stato assolto

Con la sentenza n. 7651 del 2 aprile 2014 (ud. 27 gennaio 2014) la Corte di Cassazione ha cassato la decisione della CTR che aveva confermato la decisione di prime cure (che a sua volta aveva annullato l’avviso di rettifica limitatamente alla pretesa fiscale della maggiore debenza IVA per omessa fatturazione di ricavi realizzati dalla società nell’anno 1995), sostenendo che il Giudice penale aveva accertato la “non sussistenza dei fatti materiali ascritti all’imputato” e dunque rimaneva precluso al Giudice tributario procedere ad una diversa valutazione dei medesimi fatti materiali posti a fondamento dell’avviso.

La pronuncia della Corte

Per la Corte, la motivazione della CTR contrasta coi principi espressi finora dalla giurisprudenza in materia di efficacia esterna del giudicato penale e che possono essere riassunti nella seguente massima consolidata, secondo cui “l’art. 654 c.p.p., che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale – norma operante, in base all’art. 207 disp. att., anche per i reati previsti da leggi speciali, ed avente, quindi, portata immediatamente modificativa del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, (conv. in L. 7 agosto 1982, n. 516), disposizione che regolava l’autorità del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poi espressamente abrogata dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, lett. d), la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova ‘della posizione soggettiva controversa’“.

Nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, art. 7, c. 4, (e, in precedenza, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, c. 5), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa e di recupero di imponibile ai fini IVA, anche presunzioni semplici (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, c. 2) prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729 c.c. c. 1), che nel processo penale (art. 192 c.p.p. c. 2).

Di conseguenza, “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte Cass. 5′ sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 n. 1014).

Nel caso di specie il Giudice di appello, da un lato, si è limitato all’astratta affermazione del principio che “se il fatto materiale su cui è fondato l’atto impositivo è riconosciuto come non sussistente in ambito penale, ciò non può che avere rilevanza anche in ambito tributario” senza tuttavia poi specificare quali fossero le ipotesi di reato contestate e quali accertamenti in fatto ed elementi probatori erano stati in concreto presi in esame del Giudice penale e da questi ritenuti rilevanti ai fini della pronuncia assolutoria; dall’altro ha giustificato la decisione adottata, ribadendo che “a mente della L. n. 516 del 1982, art. 12 … le circostanze accertate nel corso del giudizio penale assumono rilevanza anche ai fini tributari“, con ciò intendendo fare applicazione della norma richiamata (“la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale“) che estende al giudizio tributario l’accertamento in fatto contenuto nella sentenza penale assolutoria pronunciata nei confronti dell’amministratore unico della società, per un verso, non considerando la intervenuta abrogazione tacita del D.L. n. 429 del 1982, art. 12, conv. In L. n. 516 del 1982, ad opera del combinato disposto dell’art. 654 c.p.p., e dell’art. 207 disp. att. c.p.p., (quest’ultima norma dispone che “Le disposizioni del codice si osservano nei procedimenti relativi a tutti i reati anche se previsti da leggi speciali…”, tra le quali rientrano anche le leggi penali tributarie), secondo la uniforme interpretazione che di tali norme processuali è stata fornita dalla Corte (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9410 del 17/07/2000; id. Sez. 5, Sentenza n. 3421 del 08/03/2001; id. Sez. 5, Sentenza n. 19481 del 29/09/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 3724 del 17/02/2010), e gli espressi limiti soggettivi alla efficacia del giudicato penale previsto dalle nuove norme, “ritenendo erroneamente estendibile la efficacia dell’accertamento contenuto nella sentenza penale anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria sebbene questa – il fatto è incontroverso – non fosse stata parte in quel giudizio, così incorrendo nella violazione del chiaro disposto dell’art. 654 c.p.p., (che in relazione a tale specifica condizione ha innovato alla disciplina del precedente art. 28 c.p.p.: Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19481 del 29/09/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 20325 del 20/09/2006; id. Sez. 2, Sentenza n. 10817 del 11/05/2009; id. Sez. 2, Sentenza n. 4961 del 02/03/2010)”. Per altro verso “non ha considerato che la estensione della efficacia dell’accertamento penale non poteva operare nel caso di specie in quanto, anche nella vigenza del D.L. n. 429 del 1982, abrogato art. 12, tale efficacia era subordinata alla sentenza emessa in seguito a giudizio dibattimentale, mentre – a quanto risulta dalla stessa sentenza della CTR – il giudizio penale era stato definito con sentenza di ‘non luogo a procedere … perchè il fatto non sussiste“, emessa in data 26.02.1998 dal GIP presso il Tribunale Ordinario di Roma, ai sensi degli artt. 424 e 425 c.p.p., all’esito della udienza preliminare (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 586 del 13/01/2006; id. Sez. U, Sentenza n. 674 del 19/01/2010 – con riferimento al giudizio abbreviato).

In ogni caso, osserva la Corte, il Giudice di appello ha omesso del tutto di verificare, alla stregua dell’art. 654 c.p.p., (che subordina la efficacia del giudicato penale nel diverso giudizio – civili, amministrativo e tributario – alla condizione che la legge “non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa“) se gli elementi probatori ritenuti determinati dal Giudice penale per escludere il fatto-reato fossero compatibili coi limiti propri del regime probatorio del giudizio tributario (in cui non è ammessa la prova testimoniale) e fossero idonei a superare la presunzione legale juris tantum, in tema di indagini finanziarie.

Breve nota e carrellata giurisprudenziale

L’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale risiede nella circostanza che nel primo, per un verso, vigono limitazioni della prova – comeil divieto di quella testimoniale (art.7, del D.Lgs. n. 546 del 1992)e, per altro verso, possono valere anche presunzioni inidonee afondare una pronuncia penale di condanna.

Di conseguenza l’efficacia automatica del giudicato penale non opera nel processo tributario, proprio per le limitazioni della prova.

Il giudice tributario, dal canto suo, non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare.

Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente.

Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di intervenire affermando, con l’ordinanza n. 18233 del 24 ottobre 2012 (ud. 10 ottobre 2012) che “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 20860 del 08/10/2010)”. Prosegue la sentenza: “nel processo tributario, il giudice può fondare il proprio convincimento in materia di responsabilità fiscale anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione del quadro indiziario complessivo esaminato dal giudice penale, poichè nè le sentenze penali hanno efficacia di giudicato nel processo tributario, nè in questo la legge pone limitazioni (salvo che per le prove orali, non ammesse D.Lgs. n. 546 nel 1992, ex art. 7) alla prova della situazione soggettiva controversa. Ne discende che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di sentenze penali in materia di reati tributari, recependone, senza motivazione critica, le conclusioni assolutorie (V. pure Cass. Sentenza n. 20860 del 08/10/2010, n. 12041 del 2008), mentre ciò non è stato svolto nel caso in esame”.

E ancora si segnalano ulteriori pronunce in materia.

  • Con l’ordinanza n.11490 del 14 maggio 2013 la Corte di Cassazione ha ribadito che il giudice di seconde cure non può limitarsi a respingere l’appello dell’Amministrazione finanziaria “sulla scorta della mera acritica ricezione degli esiti dei processo penale e senza chiarire in alcun modo la ragione per la quale detti esiti potessero avere rilevanza probatoria nell’alveo del procedimento relativo all’accertamento dell’obbligazione tributaria concernente l’avvenuta detrazione di costi che si assumono essere inesistenti e nulla ha detto – inoltre – con riferimento alle contestate omissioni di fatturazione di operazioni di vendita. Non par dubbio che siffatte motivazioni del provvedimento risultino apodittiche ed insufficienti a consentire a questa Corte di assolvere al dovere di controllo della coerenza logica del provvedimento giudiziale, a proposito di decisive circostanze oggetto di controversia tra le parti”.

  • Con l’ordinanza n. 15190 del 18 giugno 2013 (ud. 9 maggio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che costituisce principio consolidato quello secondo cui “l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna” (Cass. nn. 6337/2002, 10945/2005 e 2499/2006).

  • Con la sentenza n. 20496 del 6 settembre 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha confermato chenessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (ex multis, Cass. n. 8129 del 2012). Infatti, “il giudice può fondare il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale; ne discende la legittimità della tassazione dei proventi di attività illecite anche quando dalla sentenza penale di condanna non è emerso in modo certo che il denaro in questione sia entrato nella disponibilità dell’interessato” (Cass. n. 12141 del 2008).

  • Con la sentenza n. 25467 del 13 novembre 2013 (ud. 23 settembre 2013) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei rapporti fra giudizio penale e giudizio tributario.Premesso che i fatti accertati e le prove assunte in un diverso giudizio (penale, amministrativo, ecc.) sono pienamente utilizzabili come indizi, da sottoporre al vaglio critico, anche nel giudizio tributario (cfr. Corte cass. 5 sez. 2.12.2002 n. 17037; id. 3 sez. 4.3.2004 n. 4394 secondo cui il Giudice tributario ‘può legittimamente porre a base del proprio convincimento, in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria in lite, le prove assunte in un diverso processo e anche in sede penale, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico – riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato – con le altre risultanze del processo’; id. 5 sez. 21.2.2007 n. 4054), la possibilità per il Giudice di merito di trarre elementi confermativi della responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte e deriva dalla considerazione secondo cui tale sentenza ‘pur non determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nei giudizi civili 0e amministrativi, costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito e, sebbene priva di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati, implica tuttavia l’insussistenza di elementi atti a legittimare l’assoluzione dell’imputato e, quindi, può essere valutata dal giudice contabile al pari degli altri elementi di giudizio’ (cfr.: Corte cass. SU 12.4.2012 n. 5756; id. Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 15889 del 20/07/2011 – con riferimento al giudizio disciplinare -; id. 6-3 sez. ord. 6.12.2011. Cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010, id. Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 21/04/2008, id. Sez. U, Sentenza n. 17289 del 31/07/2006 – tutte con specifico riferimento al giudizio tributario -)”.I principi di diritto enunciati da questa Corte in ordine all’utilizzabilità da parte del Giudice tributario di prove atipiche e di prove acquisite in altri giudizi diversi da quello tributario, “non possono evidentemente estendersi all’intero apparato motivazionale della sentenza emessa dal Giudice penale che, per quanto concerne al suo contenuto critico-valutativo (dei fatti provati processualmente), non assolve direttamente ad alcuna funzione dimostrativa di un fatto storico, dovendo distinguersi a tal fine le prove raccolte nel corso delle indagini e verificate nel processo penale, dalla valutazione di tale prove compiute dal Giudice all’esito di quello stesso procedimento e compendiate nella motivazione della sentenza. Ne segue che il mero richiamo alle ‘conclusioni’ cui è pervenuto il Giudice penale (in ordine alla valutazione della inefficacia probatoria degli elementi fattuali acquisiti al giudizio), non può dunque costituire ‘ex se‘ valido e sufficiente supporto alla decisione adottata dal Giudice tributario, stante la relazione di autonomia in cui si pongono il giudizio penale ed il giudizio tributario (che ha ricevuto espressa conferma nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20), poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) che non operano nel giudizio penale e, dall’altro, possono invece valere anche presunzioni legali (ed anche presunzioni prive dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c.) inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna (cfr. Corte cass. 5 sez. 24.5.2005 n. 10945; id. 8.10.2010 n. 20860), atteso che ‘nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare’ (cfr. Corte cass. 5 sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte cass. 5 sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 n. 1014 – in materia di fatturazione per operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione di quei fatti -; id. 17.2.2010 n. 3724; id. 8.10.2010 n. 20860; id. 27.9.2011 n. 19786; id. 23.5.2012 n. 8129)”.

  • Con la sentenza n. 27822 del 12 dicembre 2013 (ud. 22 maggio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato la reciproca autonomia fra il processo penale e il processo tributario, anche in ragione della tutela degli interessi che ciascun procedimento persegue. In concreto, il giudice di appello ha rilevato, in ogni caso, che “gli elementi che la contribuente chiede di assumere dai verbali del processo penale, ai quali ovviamente non potrebbe attribuirsi altra valenza se non quella di elementi di valutazione aggiuntivi rimessi … all’apprezzamento del giudice tributario, non conferiscono alcun dato ulteriore di rilievo rispetto a quelli già conosciuti in relazione alla metodologia di accertamento adottato e, pertanto, non rivestono valenza utile ai fini del decidere“.Secondo il consolidato orientamento della Corte, “ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12, (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (ex multis, Cass. n. 3724 del 2010).

25 maggio 2014

Roberta De Marchi