Omesso versamento: la responsabilità dell'ex amministratore

non può essere responsabile dei reati di omesso versamento l’ex amministratore di una società fallita, per omessi versamenti di imposte relativi alle norme sulle procedure concorsuali

Non è sempre responsabile del reato di omesso versamento dell’IVA l’ex amministratore se la situazione patrimoniale della società, da lui amministrata nel momento in cui era in carica, non era chiara; è compito, inoltre, della pubblica accusa ricostruire i movimenti di cassa nelle varie fasi di vita della società al fine di determinare eventuali responsabilità penali.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.39082, del 23 settembre 2013, ha accolto il ricorso di un ex amministratore annullando la sentenza dei giudici del merito, affermando che il precedente amministratore risponde del reato di omissione solo se si dimostra che la sua gestione era finalizzata all’evasione dell’imposta.

Il Tribunale con ordinanza del novembre 2012, ha confermato il sequestro preventivo di immobili e quote di immobili, oltre autoveicoli disposto dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale con decreto dell’ottobre 2012, nei confronti dell’ex amministratore di una società per azioni, dichiarata fallita, per i reati di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000, perché ometteva di versare entro il termine per il versamento dell’acconto per il periodo successivo la somma di poco inferiore a 217.000 euro dovuta a titolo d’imposta sul valore aggiunto, in base alla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2009. Il Tribunale evidenziava che il termine per il pagamento dell’IVA relativa al 2009 era da individuarsi al 27 dicembre dell’anno successivo, data nella quale la società era già fallita; tuttavia l’imputato era stato amministratore della società fino al 27 aprile del 2010, e pertanto, il reato era stato determinata dalla sua gestione, che non aveva accantonato le somme necessarie per il pagamento del debito IVA.

Va ricordato che l’art. 35, c. 7, del D.L. n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, mediante l’inserimento degli artt. 10-ter e 10-quater nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, integra il sistema delle sanzioni tributarie penali, introducendo due fattispecie delittuose riferite all’omesso versamento dell’IVA e all’utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, ove l’ammontare ecceda 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta. In particolare, l’art. 10-ter del citato D.Lgs. n. 74/2000, introduce una nuova fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alle risultanze della dichiarazione annuale. A tale nuova fattispecie è estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10-bis del citato decreto legislativo. Il comportamento del soggetto che non versa l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è, quindi, assimilato dal legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Considerato che il predetto art. 10-ter stabilisce che “La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto…”, occorre che l’omesso versamento superi l’importo di 50.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

In proposito si ricorda che l’art. 6, c. 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 405, stabilisce che l’acconto IVA va versato entro il giorno 27 del mese di dicembre. Conseguentemente, per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo, al periodo d’imposta di riferimento.

Nel ricorso in Cassazione l’ex amministratore sottolinea che la violazione è stata commessa in un momento in cui, oltre a non essere più amministratore della società, la stessa era già stata dichiarata fallita; di conseguenza anche volendo non avrebbe potuto pagare al posto del curatore fallimentare già nominato dal Tribunale. L’ex amministratore evidenzia, inoltre, la mancanza della prova decisiva della sua colpevolezza, non essendo stati ammessi documenti che avrebbero evidenziato una situazione non chiara in quanto nel corso del 2009, la società versava già in situazione di “sofferenza” e i fidi bancari erano già stati revocati, per cui era impossibile adempiere al versamento dell’imposta.

Per i giudici di legittimità il ricorso dell’ex amministratore è giustificato. La Corte di Cassazione, in particolare, evidenzia che il Tribunale del Riesame sottolinea l’erronea determinazione del tempus commissi delicti, per individuare proprio al 27 dicembre 2010 il perfezionarsi della fattispecie, nonostante il ricorrente , a quel tempo, fosse già stato dichiarato fallito e i poteri gestori dell’impresa erano già transitati nelle mani del curatore fallimentare.

Perciò non essendo più l’amministratore della società in quella data non avrebbe potuto adempiere più a tale obbligo, né l’ordinanza impugnata ha evidenziato altri specifici elementi probatori, durante le indagini fino a quel momento svolte, dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’IVA, ed a tale scopo fossero indirizzati i mancati accantonamenti ai quali l’ordinanza fa generico cenno; nulla si dice, ad esempio, dell’eventuale residuo di cassa travato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente per l’esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore onde il pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio.

Per i giudici di legittimità solo provando tali circostanze sarebbe stato possibile ascrivere il delitto al precedente amministratore a norma dell’art.48 del codice penale, in base al quale, del fatto commesso da una persona ingannata risponde chi l’ha determinato a commetterlo.

14 dicembre 2013

Federico Gavioli