La svalutazione delle rimanenze di magazzino

Quali effetti fiscali ha, sul reddito d’impresa, la svalutazione delle rimanenze di magazzino effettuata a fini esclusivamente civilistici?

 

Il minore valore rispetto al costo dei beni valutati al costo specifico, anche se iscritto in bilancio, non ha rilevanza fiscale.
Con la risoluzione n. 78 del 12 novembre 2013, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la svalutazione delle rimanenze dei beni valutati a costo specifico è fiscalmente irrilevante. Conseguentemente, le imprese che vi procedono sono obbligate ad effettuare in sede di dichiarazione una variazione in aumento, che va a neutralizzare sotto il profilo fiscale la componente negativa iscritta a Conto Economico.

 

 

Le rimanenze di magazzino – Premessa

Le rimanenze di magazzino costituiscono costi imputabili a beni ancora in giacenza e, dunque, rinviabili a successivi esercizi. In sede civilistica, il principio generale è che le rimanenze siano valutate al minore tra il costo storico e il valore di mercato, tenuto conto che tutte le volte che l’utilità funzionale misurata dal valore originario si riduce, occorre evidenziare tale riduzione.

Ai fini fiscali, l’articolo 92, comma 1, del TUIR stabilisce che

“… le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma…”

dei successivi commi 2, 3 e 4. Il successivo comma 5 prevede che

“Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio il valore minimo di cui al comma 1 è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale”

 

Il comma 5 dell’articolo 92, nel regolamentare la svalutazione fiscale delle rimanenze, prende in considerazione unicamente i beni fungibili valutati con metodi convenzionale, senza nulla disporre in ordine ai beni in giacenza valutati in base al costo di acquisto o produzione ad essi specificamente riferibili.

Il meccanismo adottato dall’art. 92 del TUIR per la valorizzazione ai fini fiscali delle rimanenze riguarda i soli beni fungibili, valutati secondo le tecniche del LIFO a scatti o continuo, del FIFO o del costo medio ponderato.

Diversamente, per i beni valutati secondo il criterio del costo specifico, il valore ai fini fiscali sarebbe sempre rappresentato dal costo stesso, essendo invece irrilevanti le riduzioni che sono obbligatorie in bilancio, in quanto il comma 1 dell’art. 92 stesso indica che i criteri di valutazione ivi indicati riguardano le rimanenze finali la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’art. 93.Infatti la rilevanza fiscale dei minori valori dei beni valutati a LIFO, FIFO o media ponderata si porrebbe, secondo l’Agenzia delle Entrate, quale deroga al principio generale del costo, che caratterizza la generalità dei beni, immobilizzazioni o del circolante.

 

 

Valutazione civilistica e fiscale delle rimanenze

L’Agenzia nell’affrontare la tematica, in primis, focalizza l’attenzione sul trattamento civilistico delle rimanenze; sul punto, infatti, si rammenta che:

  • le rimanenze, sono valutate al costo di acquisto o di produzione ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi

  • il costo dei cd “beni fungibili” può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli FIFO o LIFO; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza va indicata, per categoria di beni, in nota integrativa. (art. 2426, n. 9, c.c.).

  • i beni cd “infungibili” (unici e non sono sostituibili con beni aventi caratteristiche identiche) vanno valutati al costo specifico (costo di acquisto o di produzione); per tali beni, infatti, risulta possibile una misurazione puntuale dei costi effettivi ad essi afferenti.

 

Pertanto, come evidenziato dalla stessa Agenzia, già in ambito civilistico si osserva un trattamento diverso dei beni in relazione alla natura degli stessi: solo per i beni fungibili non dotati di una propria individualità, per i quali è possibile la gestione in massa ed il raggruppamento in categorie omogenee, è consentita la valutazione con criteri forfetari (costo medio ponderato, FIFO, LIFO e relative varianti).

 

Per quanto riguarda il trattamento fiscale delle rimanenze, il documento di prassi chiarisce che l’articolo 92 del TUIR, recante il trattamento delle giacenze di magazzino, “si pone in rapporto di dipendenza dalla normativa civilistica” nella misura in cui riconosce, ai fini fiscali, i criteri di valutazione adottati in sede di redazione del bilancio, 

“nel rispetto tuttavia di un valore minimo imposto dalla norma fiscale”.

 

 

Svalutazione delle rimanenze magazzino valutate a costi specifici: parere dell’Agenzia dell’Entrate

Con la Risoluzione n. 78/E del 12 novembre 2013, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito al trattamento fiscale dei beni merce valutati a costi specifici. (c.d. beni infungibili).

La pronuncia dell’Amministrazione finanziaria origina da un’istanza di interpello presentata da una società che, dopo avere acquistato a un’asta giudiziaria un immobile iscritto in bilancio al costo di acquisto come rimanenza, ha in seguito proceduto a svalutarlo, considerata la non conformità dello stesso alla licenza edilizia a suo tempo rilasciata dall’ente comunale. Il perito incaricato dalla società ha infatti attestato una significativa riduzione del valore del bene.

La società istante domandava se la svalutazione contabile dell’immobile assumesse rilevanza fiscale ai sensi dell’art. 92 del TUIR.

Le rimanenze di magazzino devono essere iscritte al costo di acquisto o di produzione, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore.

Per effetto della divergenza riscontrata la società prospettava la possibilità di imputare come componente negativo la svalutazione dell’immobile. Di diverso avviso è stata l’Amministrazione finanziaria, la quale ha posto preliminarmente in evidenza come in ambito civilistico il trattamento dei singoli beni sia diverso in base alla natura degli stessi.

L’art. 2426 c.c. dispone in riferimento alle regole riguardanti l’iscrizione in bilancio delle rimanenze; in particolare è stato considerato il diverso trattamento tra beni fungibili e beni infungibili che, essendo unici per la loro specificità e non sostituibili con beni aventi caratteristiche identiche, devono essere valutati al costo specifico e per i quali risulta possibile una misurazione puntuale dei costi effettivi ad essi afferenti.

L’Agenzia delle Entrate nel dare prevalenza al criterio civilistico rispetto a quello fiscale ne ha posto anche dei limiti. Infatti il rapporto di dipendenza tra la normativa civilistica e fiscale deve tenere conto che il valore delle rimanenze finali dei beni non può scendere sotto il valore minimo stabilito dalle norme tributarie.

In tale contesto, il mancato richiamo nell’ambito dell’art. 92, c. 5, ai beni valutati a costi specifici (“c.d.beni infungibili”) conduce a ritenere che il legislatore abbia inteso individuare una specifica disciplina fiscale, ai fini della valutazione delle rimanenze, con esclusivo riferimento ai beni valutati con criteri di determinazione alternativi al costo, per i quali ha riconosciuto la possibilità di procedere alla relativa svalutazione.

Tale facoltà risulta preclusa in relazione ai beni valutati al costo, la cui svalutazione non trova riconoscimento fiscale.

In pratica, la possibilità di procedere a valutazioni che possano avere rilevanza fiscale è circoscritta alle sole giacenze di magazzino comprendenti beni valutati con criteri forfetari (FIFO, LIFO, costo medio ponderato). Diversamente, per i beni valutati al costo specifico, il valore ai fini fiscali sarebbe sempre rappresentato dal costo stesso, essendo irrilevanti le svalutazioni che, invece, sono obbligatorie in bilancio.

 

Ne consegue, quindi, che nessuna rilevanza fiscale può derivare dalla svalutazione dei beni per i quali è prevista la valutazione al costo. Oltretutto, l’irrilevanza fiscale dei maggiori o minori valori da valutazione degli immobili è conforme ai principi dei soggetti Ias adopter per i quali le plusvalenze e le minusvalenze concorrono alla determinazione della base imponibile esclusivamente in sede di realizzo.

 

Infine, l’Agenzia, a fronte di tale situazione indica anche il comportamento da adottare in sede di dichiarazione dei redditi: è necessario operare una variazione in aumento del reddito corrispondente al valore del componente negativo imputato al conto economico.

 

4 dicembre 2013

Maria Benedetto