Accertamento anticipato verso un terzo non soggetto a verifica

le regole e le tutele specifiche previste per l’accertamento anticipato non valgono nell’ipotesi in cui l’ufficio si sia avvalso di un PVC redatto nei confronti di terzi e non dello stesso contribuente accertato

Con la sentenza n. 25515 del 13 novembre 2013 (ud. 21 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento effettuato avvalendosi di un Pvc redatto nei confronti di terzi, per il quale l’Amministrazione finanziaria non ha rispettato il termine dei 60 giorni previsto dallo Statuto del contribuente.

 

IL PROCESSO

La CTR del Piemonte confermava la sentenza emessa dalla CTP di Asti che aveva dichiarato l’illegittimità di tre avvisi di accertamento e dell’atto di contestazione relativi al tributo IVA per l’anno 2000 in relazione ad un Pvc redatto sulla base di una verifica svolta nel confronti della M.C..

 

La CTR, nel rigettare l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, evidenziava che gli atti impugnati traevano origine dal Pvc redatto dalla Polizia tributaria a seguito di verifica svolta presso la T.M. e “che appariva evidente come la notifica degli atti, effettuata dopo 14 giorni dal ricevimento della segnalazione contenente il p.v. della polizia tributaria, non aveva rispettato i termini di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non potendo ipotizzarsi che la fattispecie esaminata rientrasse nei casi di particolare e motivata urgenza. Ed infatti, come rilevato dal giudice di primo grado, il fatto che la verifica fosse stata eseguita nei confronti di terzi e non del soggetto contribuente non si conciliava con l’ipotesi, prospettata dall’ufficio, di deroga al termine per le osservazioni del contribuente al p.v.”.

 

LA SENTENZA

La Corte prende le mosse dal pronunciamento a SS.UU. (sent. n. 18184/2013), con cui è stato definito il contrasto insorto fra diversi indirizzi in ordine agli effetti del mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dal rilascio del processo verbale di contestazione.

 

I massimi giudici a SS.UU. “hanno ritenuto che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dell’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

 

La Corte rileva che in detto pronunciamento a SS.UU. si è precisato che “risponde a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico – fattuale, del requisito dell’urgenza, anzichè dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’esonero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata“.

 

Fatte le superiori premesse, la Corte osserva che “non pare potersi revocare in dubbio che il mancato rispetto del termine dilatorio di cui al ricordato art. 12, comma 7, riscontrato nella fattispecie concreta non rende illegittimi gli avvisi di accertamento, stante l’inoperatività della tutela apprestata dal comma 7 ai casi in cui non vi è stato un processo verbale di constatazione nei confronti del contribuente, ma l’amministrazione si è avvalsa di verifiche compiute nei confronti di terzi”.

 

La Suprema Corte Corte ritiene, quindi, condivisibile l’assunto dell’Agenzia “per cui sarebbe lo stesso tenore letterale ad imporre simile tesi, avendo il legislatore testualmente presupposto che il termine decorre dalla consegna della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controlli. Ragion per cui, prosegue l’Agenzia, laddove il contribuente non è stato presente alle operazioni di verifica, nessun termine dilatorio potrà allo stesso essere concesso”.

 

Tale tesi è stata condivisa dalla Corte nella sentenza n. 16354/12, ove si è ritenuto che le garanzie di cui all’art. 12, della L. n. 212 del 2000, si riferiscono espressamente agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali eseguiti “nei locali destinati all’esercizio di attività, industriali, agricole, artistiche o professionali“, che debbono appunto essere giustificati da “esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo” (art. 12 c. 1), “con la conseguenza che tali garanzie operano esclusivamente nella predetta ipotesi suddette garanzie sono apprestate esclusivamente a favore del contribuente verificato (in loco) e non anche del terzo a carico del quale possano emergere dalla detta verifica dati, informazioni od elementi utili per la emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti”.

 

La stessa Suprema Corte ricorda che con la sentenza n. 13486/2009 è stato affermato che secondo quanto previsto dall’art. 54, c. 3, del D.P.R. n. 633/72, l’ufficio può procedere a rettifica, “indipendentemente dalla previa ispezione del contribuente, qualora l’esistenza di operazioni imponibili risulti da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonchè da altri atti e documenti in suo possesso, risultando irrilevanti eventuali violazioni delle regole relative alla fase di accertamento che possono unicamente agitarsi da chi ha subito l’accesso”.

 

Inoltre, precisa la Corte, l’art. 12, c. 7, della L. n. 212/200 non si riferisce esplicitamente “agli atti di constatazione irrogativi di sanzioni, invece rivolgendosi esplicitamente all’atto impositivo”. Nel caso di specie siamo in presenza di atti irrogativi di sanzioni che trovano una specifica regolamentazione e garanzie nell’art. 16, del D.Lgs. n. 472 del 1997 (cfr. Cass. nn. 20479/12 e 22000/13).

 

BREVE NOTA

Il comma 7, dell’articolo 12, dello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

 

Tale norma (da un pò di tempo a questa parte sotto i riflettori della dottrina e della giurisprudenza), è stata oggi letta dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013, fissando dei precisi principi, che qui di seguito sintetizziamo.

 

  • “… l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dal comma 7 dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale”.

  • La sanzione della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, “pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo … di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve … e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante”.

 

  • In relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus, la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio, conduce il collegio a preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità “non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza”. Infatti, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, “non essendo, invece, necessario dar conto, in quella sede (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di regole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario). Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esame, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta”. L’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non appare alla Corte in sé decisiva, “poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine ‘motivata’ non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento. In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requisito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’esonero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata. Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e ‘particolare’ – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento”.

In conclusione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione enunciano il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

 

Resta fermo, comunque, osserva e riafferma la Corte nel pronunciamento che si annota, che le garanzie previste dall’art. 12, c. 7, della L.n.212/2000 trovano applicazione solo nei confronti del contribuente che ha ricevuto il pvc.

 

In pratica, come rilevato nella sentenza n. 16354/2012, dette garanzie sono apprestate esclusivamente a favore del contribuente verificato (in loco) e non anche del terzo a carico del quale possano emergere dalla detta verifica dati, informazioni od elementi utili per la emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti.

 

Le ripetute garanzie previste dall’art. 12, della L. n. 212 del 2000, non vengono inquestione, invece, nel caso di attività di verifica e di controllo effettuata dagli Uffici in base all’esame della dichiarazione fiscale ovvero nel caso di attività di accertamento iniziata a seguito di segnalazioni, rapporti, comunicazioni ricevute da altri organismi od autorità, nell’ambito dei rapporti di cooperazione, ovvero direttamente dalla Polizia giudiziaria che ha operato nell’ambito di indagini penali, ovvero nel caso di accertamento effettuato dagli Uffici finanziari in base a documenti ed elementi acquisiti a seguito di richieste, questionari od inviti: in tutti questi casi, infatti, gli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria formalizzata nell’avviso di accertamento risultano acquisiti aliunde e non comportano accessi, ispezioni e verifiche fiscali presso i locali di esercizio dell’attività professionale o dell’impresa.

 

5 dicembre 2013

Gianfranco Antico

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