Ristretta base sociale nelle SRL: imputazione utili in nero, distribuzione occulta dei dividendi

Quando il Fisco effettua un controllo contro una società di capitali a ristretta base partecipativa è prassi che l’accertamento venga esteso ai soci, in quanto è presumibile che gli utili non dichiarati siano stati distribuiti in nero.

presunzione di distribuzione di utili extracontabili in società a ristretta base societariaNel caso di ristretta compagine sociale, il giudice tributario, ai fini della decisione sulla fondatezza dell’accertamento nei confronti del socio, deve attendere la definizione del contenzioso tra l’Ufficio e l’impresa, in quanto si tratta di giudizi legati da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro.

Se invece l’accertamento a carico della società è divenuto definitivo per mancanza d’impugnazione, risulta pregiudicato l’esito del giudizio pendente nei confronti del socio unico, cui siano stati imputati gli “extra utili” accertati dall’Amministrazione Finanziaria alla società, in quanto la persona fisica non può contestare il merito della pretesa relativa alla persona giuridica.

Tantomeno il socio di una società di capitali può lamentare che, all’avviso di accertamento a lui notificato, non è stato allegato l’atto impositivo redatto a carico della società e notificato soltanto a quest’ultima. È quanto emerge dalla più recente giurisprudenza di legittimità e, in particolare, dalle sentenze n. 1867/12 e n. 441/13, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria.

Ristretta base sociale: imputazione utili “in nero”

Sospensione

In caso di rettifica del reddito di una società a ristretta base sociale, il processo sull’accertamento emesso nei confronti del socio deve essere sospeso in attesa della definizione di quello relativo alla società. Tale regola si applica sia alle società di capitali che di persone.

È questo il chiarimento contenuto nell’ordinanza numero 1867/2012 della Corte Suprema di Cassazione.

Rettifica sul presupposto della ristretta base

L’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito d’impresa ai fini dell’IRPEG di una società di capitali e, conseguentemente, sul presupposto della ristretta base azionaria e della distribuzione occulta di dividendi, contestava, pro quota, ai soci una maggiore IRPEF per il 2002.

Per farla breve, all’esito del giudizio di secondo grado, la C.T.R. del Lazio annullava l’accertamento nei confronti della società e, conseguentemente, ancorché tale pronuncia non fosse divenuta definitiva, annullava anche l’atto relativo al socio.

Paragrafo

Avverso la decisione dei giudici capitolini, l’Ufficio ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e l’omessa applicazione dell’art. 295 c.p.c, perché la C.T.R.:

  •  aveva applicato la pronuncia relativa alla società, a beneficio del socio, pur non essendo ancora la prima passata in giudicato (art. 2909 del c.c.).
  • Il procedimento riguardante il socio avrebbe dovuto invece essere sospeso, a mente dell’articolo 295 del c. p.c.: in attesa della definitività della sentenza nei confronti della società.

 

La C.T.R. ha annullato l’accertamento nei confronti del socio senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza che aveva annullato l’accertamento nei confronti della società.

L’Ufficio La C.T.R. avrebbe dovuto attendere il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti della società.

 

Sospensione necessaria

Gli Ermellini hanno accolto il ricorso del Fisco, osservando che è pacifico il principio secondo cui:

“la sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ. si applica anche al processo tributario e ricorre qualora risultino pendenti davanti a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico- giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati” (dello stesso avviso: Cass. n. 10270 del 2011; 20721/2010; n. 15171/2006; n. 22171/2008; n. 7564/2003 e 10951/2002).

Nel caso in specie, però, la CTR si è discostata da tale principio, avendo riconosciuto effetti decisivi alla sentenza della C.T.R., non definitiva, che aveva annullato l’accertamento, relativo allo stesso anno, nei confronti della società, e non avendo disposto la sospensione del giudizio nei confronti del socio, in attesa della definizione del reddito della società a ristretta compagine sociale.

Preclusioni per il socio

Insomma, a parere della Cassazione, il giudice tributario, prima di decidere sulla fondatezza dell’accertamento IRPEF operato sul socio, deve attendere che sia definitivo quello sulla società.

Infatti, il processo iniziato dal socio e quello iniziato dalla società sono legati da un nesso di pregiudizialità che impone alle Commissioni tributarie di sospendere la lite nei confronti della persona fisica in attesa della definizione del reddito societario.

Rimanendo in tema, è importante anche evidenziare le possibili conseguenze processuali per il socio, nel caso in cui l’accertamento nei confronti della società sia divenuto definitivo per mancata impugnazione nei termini.

Ad affrontare tale aspetto è stata di recente la Sezione Tributaria della Cassazione, nella sentenza numero 441 del 10 gennaio 2013.

Dalla citata pronuncia emerge che, nel caso di accertamento a carico della società divenuto definitivo per mancata impugnazione, l’esito del giudizio pendente nei confronti del suo socio unico – cui siano stati imputati gli “extrautili” accertati dall’Amministrazione Finanziaria alla società -, risulta pregiudicato, in quanto la persona fisica non può contestare il merito della pretesa relativa alla persona giuridica.

Tantomeno il socio può lamentare che, all’avviso di accertamento a lui notificato, non è stato allegato l’atto impositivo redatto a carico della società e notificato soltanto a quest’ultima.

 

Il caso

Il socio al 100 per cento di una società di capitali (s.r.l.) impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio gli contestava un maggior reddito per il 1996, ai fini dell’IRPEF. L’atto impositivo faceva seguito all’accertamento ai fini IRPEG, ILOR e IVA esperito nei confronti della società.

Ebbene, l’impugnazione del socio non ha avuto esito felice, essendo stato il gravame ritenuto infondato sia in primo che in secondo grado. Dal che la prosecuzione del giudizio in Cassazione.

Il rigetto dell’appello è avvenuto sulla scorta delle seguenti considerazioni: l’accertamento nei confronti della società e alla stessa regolarmente

  • notificato non era stato impugnato, divenendo così definitivo;
  • la presenza di un unico socio costituiva presunzione legale “relativa” che i maggiori redditi non contabilizzati, accertati a carico dell’ente, fossero stati distribuiti allo stesso, con onere della prova contraria a suo carico.

 

Armi processuali “spuntate”

Il ricorso per cassazione non ha dato i frutti sperati. I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondato il motivo con il quale il socio ha lamentato la violazione, tra l’altro, degli articoli 6, primo comma, e 7, primo comma, dello Statuto del contribuente (L. n. 212/200):

  • per non aver avuto notizia dell’avviso di accertamento eseguito nei confronti della società;
  • perché l’atto non era stato neanche allegato successivamente;
  • per non essere stato posto nelle condizioni di contraddire ai maggiori redditi accertati dall’Ufficio nei confronti della stessa società.

A giudizio della Corte, se il reddito nei confronti della società risulta accertato in maniera definitiva (perché, per esempio, non vi è stata impugnazione nei termini): il giudizio nei confronti del socio, per quanto attiene all’esistenza degli utili extra – contabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa.

In altre parole, al socio resta preclusa la possibilità di dare la prova della diversa destinazione dei maggiori utili accertati; prova che comporterebbe l’annullamento dell’avviso di accertamento.

Né vale lamentare la mancata notifica dell’avviso se non ricorre l’ipotesi di litisconsorzio necessario tra soci e società.

Il litisconsorzio infatti riguarda le società di persone (Cass. SS.UU. n. 14815/2008) e non anche quelle di capitali, con la conseguenza che nel caso di una s.r.l., (come nella fattispecie) l’atto impositivo deve essere notificato alla:

  • “società e non anche ai soci, i quali, in quanto tali, sono privi di legittimazione processuale nel distinto giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale.

Nel caso di specie, quindi, l’avviso è stato “correttamente notificato” al legale rappresentante p.t. della s.r.l., nella persona del curatore del fallimento.

Per quanto riguarda, infine, la mancata allegazione dell’atto d’accertamento notificato alla società, la Corte ha ritenuto tale elemento irrilevante per le sorti del giudizio, dal momento che l’articolo 7, primo comma, della L. n. 212 del 2000, non commina la sanzione della nullità in caso di violazione dell’obbligo di allegazione degli atti richiamati nella motivazione degli accertamenti, ove gli stessi siano conosciuti o, comunque, conoscibili dal contribuente (Cass. n. 25617 del 2010 e n. 25721 del 2009).

E se delle attività sociali sono informati anche i soci che non partecipano all’amministrazione (art. 2476 c.c.), a maggior ragione deve ritenersi che un socio unico sia a conoscenza degli affari sociali (quindi anche dell’accertamento e degli utili), avendo un forte controllo del loro effettivo andamento.

corte di cassazione sezione tributariaSe la società avesse radicato il contenzioso col Fisco, il ricorrente avrebbe potuto chiedere la sospensione del giudizio ex articolo 295 c.p.c., in quanto il procedimento sull’avviso di accertamento societario è pregiudiziale per l’accertamento personale relativo al singolo socio, e nel frattempo il medesimo avrebbe potuto sperare nel buon esito del giudizio riguardante la determinazione del reddito della società.

 

Utili Extra contabili. Presunzione legale relativa

Nelle motivazioni che hanno portato al rigetto del ricorso, gli Ermellini hanno pure ricordato l’orientamento consolidato secondo il quale:

 “[…] è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti […]”.

 

In effetti, rispetto alla società a ristretta compagine sociale (o a base familiare) che si presume abbia conseguito utili “in nero”, la tendenza dei giudici è quella di ritenere verosimile che gli stessi siano stati distribuiti tra i soci, proprio perché legati tra loro da vincoli di parentela o di coniugio (Cass. n. 13399 del 2003, n. 7492 del 2002) o da forte complicità e reciproco controllo, in ragione del numero limitato (Cass. n. 21415 del 2007 en. 3896 del 2008).

Molto spesso, inoltre, la rettifica del reddito della società a ristretta base azionaria o familiare si fonda sulle indagini finanziarie effettuate sui conti intestati ai soci. E anche sotto tale aspetto non mancano i pronunciamenti dei giudici.

Per questa ragione, qui di seguito, si procederà a una breve rassegna delle più recenti sentenza di merito e di legittimità, intervenute sul tema trattato.

C.T.R. Liguria Sez. n. 32/22/12

  • Gli utili extra – contabili accertati in capo alla società di capitali a ristretta base societaria, in assenza di prova contraria, si presumono percepiti dai soci (nel caso di specie, il ricorrente, quale socio di società di capitali a ristretta base societaria, risultava destinatario per l’anno d’imposta 2004 di un accertamento di maggiori redditi di capitali per imputazione pro – quota di maggiori redditi accertati nei confronti della società per presunti utili extra contabili).
  • Concorre per intero alla determinazione del reddito IRPEF dei soci il maggior reddito accertato in capo alla società di capitali a ristretta base societaria per utili extra contabili non dichiarati in quanto, a motivo del mancato assoggettamento a IRES in capo alla medesima, non è consentito l’abbattimento parziale della base imponibile ai fini della tassazione del reddito di capitale.

Cass. Sez. V civ., n. 9849 del 2011 e n. 1338 del 2009

  • La presunzione di riparto degli utili extra -bilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso di diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di uguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale e all’attribuzione di rilevanza giuridica dell’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare.

Cass. Sez. Trib. Civ. n. 12624 del 2012.

  • Tanto in relazione agli accertamenti fiscali in materie di imposte sui redditi (art. 32 c. 1. n. 7 D.P.R. 600/73), quanto in materia IVA (art. 51 c. 2, n. 7 D.P.R. 633/72), sono pienamente legittime le indagini estese ai conti bancari dei terzi (come a esempio nel caso di congiunti della persona fisica dell’amministratore e/o socio della società contribuente), reputando lo stretto rapporto familiare, o la ristretta composizione societaria elementi indiziari sufficienti a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate sui conti correnti degli indicati soggetti (nel caso di specie, si è trattato di prelevamenti e di versamenti riscontrati nei conti dei soci e non riferibili ad altra fonte reddituale, utilizzati quale prova di ricavi relativi a operazioni non contabilizzate dalla società.
    In particolare, la C.T.R. Toscana aveva ritenuto legittimi gli avvisi emessi nei confronti dei due soci di una S.r.l., con i quali erano stati recuperati a tassazione IRPEF i maggiori redditi – conseguiti dalla distribuzione di utili occulti realizzati e non contabilizzati dalla predetta società – in misura corrispondente a quella degli importi delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti personali dei detti soci).

Si vedano anche Cass. n. 1728/99, n. 8683/02 e n. 13391/03, per le società di capitali, e n. 6743/07, n. 27947/09 e n. 18083/10, per le società di persona.

Cass. Sez. Trib. Civ. n. 14785 del 2011

  • L’acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente e l’utilizzazione dei dati dagli stessi risultanti ai fini delle rettifiche e degli accertamenti (se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili) non possono ritenersi limitate, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati alla società, ma riguardano anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi.
  • Il rapporto di coniugio o di parentela, ovvero la qualifica di amministratore, determinano un legame talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria, l’utilizzazione dei dati raccolti. Sicché, una volta accertata, anche tramite presunzioni, la riferibilità dei conti correnti dei terzi alla società, operano, senza alcuna limitazione, i criteri, anche di natura presuntiva, stabiliti per tale modalità di accertamento. In presenza di accertamenti bancari, costituisce quindi onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere recuperati a tassazione, o perché egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perché non sono fiscalmente rilevanti, in quanto non si riferiscono ad operazioni imponibili.
  • L’onere dell’amministrazione di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari, per cui resta a carico del contribuente l’onere di provare il contrario.

C.T.R. Piemonte n. 85/30/12

  • È illegittimo l’accertamento conseguente a un’indagine bancaria svolta nei confronti di un socio di una società a ristretta base societaria per presunta distribuzione di utili non dichiarati dalla società, in quanto tale presunzione opera soltanto per i contribuenti imprenditori e lavoratori autonomi e non anche per i contribuenti privati (nel caso di specie, il contribuente, socio di una società a ristretta base societaria, risultava destinatario per l’anno d’imposta 2004 di un accertamento che traeva origine da indagini bancarie sui suoi conti personali dove venivano riscontrati, tra gli altri, versamenti per € 202.372,41 per i quali egli aveva contestato come la presunzione dei versamenti operasse soltanto per gli imprenditori ed i lavoratori autonomi e non anche per i soggetti privati).

C.T.R. Piemonte n. 74/30/12

  • È illegittimo l’accertamento conseguente ad un’indagine bancaria svolta nei confronti di un socio di una società a ristretta base societaria per presunta distribuzione di utili non dichiarati dalla società, qualora questi abbia dimostrato che tali somme non avevano rilevanza reddituale, provenendo da prestiti erogati da famigliari e/o parenti e pur non avendo dimostrato la rispettiva capacità contributiva dei suddetti erogatori (nel caso di specie, il contribuente, socio di una società a ristretta base societaria, risultava destinatario per l’anno d’imposta 2004 di un accertamento che traeva origine da indagini bancarie sui suoi conti personali dove venivano riscontrati, tra gli altri, versamenti per Euro 102,00 per i quali egli aveva provveduto a dimostrare l’irrilevanza reddituale a motivo della loro provenienza da prestiti erogati da famigliari e/o parenti, per i quali non poteva rilevare in alcun modo la rispettiva capacità contributiva).

 

 

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7 novembre 2013

Antonio Gigliotti

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