Licenziamento disciplinare: si ha diritto all'ASPI?

il lavoratore ha diritto al contributo di disoccupazione denominato Aspi anche se viene licenziato per motivi disciplinari?

Recentemente, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere del ministero del lavoro in merito alla possibilità che si configuri il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo di cui all’art. 2, c. 31, della L. n. 92/2012 (ticket licenziamento), nell’ipotesi di licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

Prima, però, di entrare nel merito della risposta fornita dal ministero, è opportuno rammentare, in estrema sintesi, che i datori di lavoro sono tenuti all’assolvimento del contributo in parola in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto generi in capo al lavoratore il teorico diritto alla nuova indennità, a prescindere dall’effettiva percezione della stessa: esiste, quindi, un nesso causale tra il contributo in parola e il teorico diritto all’ASpI da parte del lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato interrotto.

Al riguardo va ricordato che, ai fini dell’accesso all’assicurazione sociale per l’impiego (ASPI), la legge pone due requisiti di carattere contributivo: 2 anni di assicurazione e 1 anno di contribuzione. Laddove detti requisiti non siano posseduti dall’interessato, la fruizione della nuova indennità è preclusa.

Se, tuttavia, il motivo della cessazione del rapporto è, per esempio, il licenziamento, detta causa di risoluzione fa sorgere il teorico diritto all’Aspi anche se il soggetto, in conseguenza della sua situazione contributiva (assenza dei requisiti), non potrà materialmente beneficiare della prestazione: in questo caso, il contributo per la cessazione del rapporto di lavoro è comunque dovuto.

Ciò premesso, ai consulenti del lavoro premeva conoscere se il licenziamento disciplinare potesse costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione della predetta indennità. Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale per le Politiche Attive e Passive per il Lavoro, il ministero interpellato osserva preliminarmente che l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI) garantisce un’indennità di disoccupazione ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria e che detta indennità viene finanziata da un contributo che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di particolari ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Tra le ipotesi di interruzione che danno diritto all’ASPI si annoverano:

  • l’interruzione dei rapporti di apprendistato diverse dalle dimissioni o dal recesso del lavoratore, ivi compreso il recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione di cui all’art. 2, c. 1, lett. m, del D.lgs. n. 167/2011;

  • le dimissioni dell’apprendista per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità (ossia il periodo che va da 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento del primo anno di vita del figlio);

  • l’interruzione a seguito di procedura di conciliazione da tenersi presso la D.T.L. secondo le modalità previste all’art. 7 della legge n. 604/1966 come sostituito dall’art. 1, c. 40, della legge di riforma. In questa ultima ipotesi, infatti, qualora la conciliazione abbia un esito positivo e preveda una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, è riconosciuta espressamente al lavoratore l’erogazione della nuova indennità ASpI.

Restano, invece, escluse dall’obbligo contributivo in argomento, le cessazioni del rapporto di lavoro a seguito di dimissioni, ad eccezione di quelle per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità, nonché le risoluzioni consensuali del contratto di lavoro, ad eccezione di quelle derivanti da procedura di conciliazione presso la D.T.L. ( in base al cosiddetto nuovo Rito Fornero per i licenziamenti economici), da trasferimento del dipendente ad altra sede della stessa azienda distante più di 50 km dalla residenza del lavoratore eo mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici, nonché decesso del lavoratore.

Tornando al quesito posto dai consulenti del lavoro, circa il diritto del lavoratore a percepire l’ASpI e l’obbligo del datore di lavoro di versare il contributo previsto in caso di licenziamento disciplinare (per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa), il ministero del lavoro sottolinea come quest’ultima ipotesi non sia mai stata espressamente menzionata tra le ipotesi di esclusione dalla disciplina ASPI in alcun documento di prassi pubblicato dall’Ente previdenziale (cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013).

Nel silenzio dell’Ente previdenziale, il Ministero interpellato non può non fare riferimento a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità: in caso di licenziamento disciplinare, deve comunque essere corrisposta l’indennità di maternità, atteso che una esclusione di tale indennità integra una violazione degli artt. 31 e 37 della Costituzione (Corte Costituzionale sentenza n. 405/2001). In buona sostanza, secondo il Ministero del lavoro, la fattispecie oggetto dell’interpello (diritto all’aspi e debenza del ticket in presenza di licenziamento disciplinare) è suscettibile di essere analizzata con il medesimo criterio adottato dalla richiamata sentenza della Corte Costituzionale: analogamente a quanto argomentato dalla Corte a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità, anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore e, pertanto, negare la corresponsione della ASpI costituirebbe un’ulteriore reazione sanzionatoria nei suoi confronti.

Sotto altro profilo, il ministero evidenzia che il licenziamento disciplinare non può essere qualificato ex ante come disoccupazione “volontaria”: la sanzione del licenziamento quale conseguenza di una condotta posta in essere dal lavoratore, sia pur essa volontaria, non è “automatica”, potendo il lavoratore impugnare il licenziamento comminatogli. In tali casi – a parere del Ministero – potrebbe risultare peraltro iniquo negare la protezione assicurata dall’ASpI nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato. Sulla base di quanto precede, quindi, anche nell’ipotesi di licenziamento disciplinare, intimato per inadempienze contrattuali e mancanze più o meno gravi del lavoratore (giustificato motivo soggettivo o giusta causa), si configura il diritto del lavoratore ad essere ammesso all’ASpI e il conseguente obbligo, per il datore di lavoro, di versare il c.d. “contributo di licenziamento”.

 

12 novembre 2013

Sandro Cerato