La mancanza dell’autorizzazione non inficia l’efficacia probatoria

la raccolta delle prove per un processo tributario e per un processo penale segue regole diverse: analisi della giurisprudenza relativa alle prove tributarie emerse durante indagini penali

Con la sentenza n. 23729 del 21 ottobre 2013 (ud. 17 dicembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato “che per costante e condiviso principio di questa Corte, in materia di IVA, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63, comma 1, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi; ciò neppure nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti diversi dal contribuente, anche considerato che la L. n. 413 del 1991, art. 18, comma 1, eliminando dal suddetto art. 33, comma 3, le parole “nei confronti dell’imputato, ha reso irrilevante la circostanza che l’indagine penale si sia svolta nei confronti del contribuente o di altro soggetto; l’autorizzazione in parola è stata infatti introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorie) (Corte cost., sent. n. 51 del 1992), piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass. 7279/2009; 11203/2007; v. anche Cass. 28695/2005; 2450/2007)”.

 

Alla stregua del predetto principio, pertanto, “la CTR ha ritenuto giustamente, sia pur con una motivazione succinta (ma sufficiente, visto anche il contenuto richiamo a pronuncia delle sez. unite di questa Corte), l’autorizzazione in parola non necessaria ai fini fiscali, atteso che ‘la salvaguardia del segreto delle indagini penali non rappresenta un ostacolo all’azione fiscale’; di conseguenza, implicitamente, a maggior ragione ha correttamente ritenuto non necessaria la motivazione di tale autorizzazione”.

 

Nota

Come è noto, la Guardia di Finanza (che svolge anche funzioni di PG) trasmette agli uffici finanziari elementi e notizie relative a indagini penali1.

L’acquisizione documentale è subordinata alla previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, in relazione alle norme disciplinanti il segreto nelle indagini penali (pur se la sua assenza non determina la illegittimità dei successivi atti di accertamento). Infatti, la Guardia di finanza (ex art. 63 del D.P.R. n. 633/72), anche in deroga all’art. 329 c.p.p., utilizza e trasmette agli uffici documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti, e ottenuti dalle altre forze di Polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.

Oltre che in sede di istruttoria penale, i dati e gli elementi possono essere richiesti dall’ufficio o trasmessi dalle magistrature procedenti, anche successivamente al processo (copie di decreti di rinvio a giudizio, ordinanze e sentenze, estratti di fascicoli).

Il comma 2, dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/72, come richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n. 600/73, non prevede espressamente che i provvedimenti di autorizzazione emessi dall’A.G. debbano motivare in ordine a particolari situazioni di irregolarità fiscale o ad altri fatti o situazioni: la norma si limita a stabilire che la Guardia di Finanza “… previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto, utilizza e trasmette agli Uffici delle imposte documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti da altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”.

A seguito della richiesta dell’organo investigativo, il magistrato valuta l’esistenza o meno di indizi e decide: l’utilizzazione di questi dati integra impiego di atti dei quali la Pubblica amministrazione, unitariamente intesa, ha in precedenza conseguito il possesso; eventualmente, può entrare in conflitto con il diverso segreto impresso dalla natura di tali provvedimenti, in quanto inseriti nell’istruttoria di processo penale o nella fase delle indagini ad esso preliminari (cfr. Cass. 26.03.1996 n. 2668 della Sez. I Civ. Si confronti anche Cass., Sez. I, Sent. n. 1932 del 9.12.1998, dep. il 6.3.1999, secondo cui allorché la Guardia di Finanza rinvenga degli atti nel corso di una indagine ispettiva ad esclusivi fini di polizia tributaria, gli stessi sono utilizzabili, in sede penale, non occorrendo il rispetto degli adempimenti a garanzia dell’indagato, come invece occorre nei casi in cui si tratti di attività di polizia giudiziaria)2.

E’ permessa, infatti, l’utilizzazione ai fini tributari dei dati acquisiti nel corso di un processo penale, senza che al giudice tributario sia consentito sindacare la legittimità dei relativi provvedimenti assunti dal giudice penale; al giudice ordinario spetterà invece applicare le norme che disciplinano la utilizzabilità a fini fiscali degli atti del processo penale (come peraltro confermato dalla Corte Suprema, con sentenza n. 12050 del 15 aprile 1998, depositata il 27 novembre 1998).

Sul punto si registrano una serie di sentenze della Corte di Cassazione, sostanzialmente uniformi3.

 

  • Con la sentenza n. 3852 del 9 novembre 2000 (depositata il 16 marzo 2001), ha statuito che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria alla trasmissione di dati e notizie acquisiti in sede di indagini non è richiesta per la garanzia di diritti del contribuente, ma per la mera tutela del segreto, cosicché la sua assenza non comporta la illegittimità degli atti di accertamento fondati sulle acquisizioni trasmesse in carenza di autorizzazione. Pertanto, ove gli uffici vengano in possesso di dati e notizie trasmessi dalla Guardia di finanza, in assenza di autorizzazione ciò non determina l’inutilizzabilità delle prove stesse, in quanto, come abbiamo già visto, l’inutilizzabilità è categoria giuridica valida solo per il processo penale.

  • Con la sentenza n. 14058 del 12 giugno 2006, ha affermato che la violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti, in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso.

  • Con la sentenza n. 14055 del 16 giugno 2006, ha ritenuto che “l’utilizzo ai fini fiscali della documentazione acquisita nel corso di attività di polizia tributaria non è condizionaro all’autorizzazione di cui all’art. 63 del d.p.r.n.633 del 1972, posta a tutela del segreto istruttorio, cosicchè è irrilevante la questione relativa alla mancata produzione dell’autorizzazione stessa ovvero alla sua tardività”.

  • Con la sentenza n. 7900 del 20 febbraio 2007, dep. il 30 marzo 2007, nel ribadire il principio, ne ha fatto discendere la conseguenza che, la carenza di autorizzazione, che precede la trasmissione degli atti e non l’avvio delle indagini, non è suscettibile di incidere direttamente sulla legittimità dei provvedimenti fiscali emanati a seguito dell’utilizzo dei documenti, dati e notizie in tal modo acquisiti.

  • Con la sentenza n. 8181 del 20 febbraio 2007,dep. il 2 aprile 2007, ha ritenuto che l’autorizzazione necessaria alla Guardia di finanza per la trasmissione ed utilizzazione al competente ufficio fiscale di documenti, dati e notizie acquisite nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria non investe il profilo dello svolgimento delle indagini quanto quello relativo alla disciplina del segreto istruttorio penale. Conseguentemente, la carenza di autorizzazione, che precede la trasmissione degli atti e non l’avvio delle indagini, non è suscettibile di incidere direttamente sulla legittimità dei provvedimenti fiscali emanati a seguito dell’utilizzo dei documenti, dati e notizie in tal modo acquisiti. Qualora intervengano accessi, ispezioni e verifiche, il giudice di merito è tenuto a verificare, in base alle risultanze degli atti processuali, la preventiva concessione delle autorizzazioni contemplate dalla disciplina dell’accertamento. La Cassazione, che accoglie il ricorso dell’ufficio, evidenzia che detta norma (art. 52 del D.P.R. n. 633/72) oltre a stabilire gli obblighi e le modalità di cooperazione della Guardia di finanza con gli uffici Iva, quale polizia tributaria, dispone che “inoltre“, e cioè oltre ad espletare tali compiti di cooperazione, essa deve trasmettere agli uffici fiscali interessati “documenti, dati e notizie acquisiti … nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria“, ossia nel corso d’indagini penali. In questo secondo caso, la “previa autorizzazione” richiesta dall’art. 52 del D.P.R. n.633/72 “ non si riferisce, ovviamente, allo svolgimento dell’indagine penale – essendo le funzioni di polizia giudiziaria disciplinate dagli artt. 55 e seguenti e 347 e seguenti del codice di procedura penale -, bensì alla possibilità di derogare all’obbligo del segreto istruttorio (art. 329 del codice di procedura penale) che, senza quella autorizzazione, necessariamente posteriore all’acquisizione dei documenti, dati e notizie, risulterebbe violato. Detta autorizzazione è necessaria, pertanto, al fine del corretto svolgimento dell’indagine penale, e non incide direttamente sulla legittimità degli atti impositivi assunti in base a documenti e notizie pervenuti, anche senza autorizzazione, all’ufficio erariale (Cass. n. 7208/2003, n. 3852/2001, n. 1932/1999)”. In proposito, la Corte richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 51/1992 che chiaramente esprime (in massima) il concetto nei termini seguenti: “La previa autorizzazione del giudice, richiesta al riguardo, e che è appunto diretta a regolare i confini e le possibili interferenze tra l’istruttoria penale e quella tributaria, è infatti espressamente giustificata dall’esigenza di salvaguardare l’efficienza e il buon esito della indagine penale e di tutelare i diritti della persona che ad essa è sottoposta“.

  • Con la sentenza n. 8940 del 15 febbraio 2007 (dep. il 13 aprile 2006) ha sostenuto che ai fini dell’attività di accertamento, l’utilizzazione e la trasmissione di dati, documenti e notizie penalmente rilevanti acquisiti dalla Guardia di finanza sono suscettibili di autorizzazione da parte dell’Autorità giurisdizionale soltanto allorquando l’acquisizione sia avvenuta nell’esercizio di poteri di polizia giudiziaria e non anche per l’espletamento di compiti di polizia tributaria in quanto tale provvedimento è posto a presidio della segretezza e riservatezza dell’indagine penale, e “anche nella prima ipotesi, poiché l’autorizzazione è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel relativo procedimento o di terzi, nessuna conseguenza può derivare dalla sua eventuale mancanza, che, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cass. n. 5557 del 2000, n. 15914 del 2001, n.15538 e n. 16788 del 2002, n. 14058 del 2006; in tema di Iva, Cass. n.28695 del 2005)”.

  • Con la sentenza n. 13213 del 24 aprile 2007, dep. il 6 giugno 2007, ha confermato che l’eventuale mancanza dell’autorizzazione di cui all’art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 circa l’utilizzazione degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine per fatti penalmente rilevanti non è suscettibile di inficiarne validità ed efficacia probatoria in quanto tale adempimento è strumentale alla tutela del segreto istruttorio.

  • Con la sentenza n. 24533 del 24 settembre 2007, dep. il 26 novembre 2007, ha affermato il principio per cui le prove assunte in sede penale, in violazione delle garanzie previste proprio da quel processo, possono tuttavia essere trasferite in sede tributaria, purchè siano rispettate le regole del processo tributario. “E’ giurisprudenza di questa Corte che, in tema di accertamenti tributari, nelle indagini svolte ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 52 e 63, la Guardia di Finanza che, cooperando con gli uffici finanziari, proceda ad ispezioni, verifiche, ricerche ed acquisizione di notizie, ha l’obbligo di uniformarsi alle dette disposizioni, sia quanto alle necessaria autorizzazioni che alla verbalizzazione. Tali indagini hanno carattere amministrativo con conseguente inapplicabilità dell’art. 24 Cost. in materia di inviolabilità del diritto di difesa, essendo applicabili, nella successiva ed eventuale procedura contenziosa, le garanzie proprie di questa e vanno pertanto considerate distintamente dalle indagini, che la stessa Guardia di Finanza conduce in veste di polizia giudiziaria, dirette all’accertamento dei reati, con l’osservanza di tutte le prescrizioni dettate dal codice di procedura penale, a tutela dei diritti inviolabili dell’indagato. La mancata osservanza di tali prescrizioni, rilevante al fine della possibilità di utilizzare in sede penale i risultati dell’indagine, non incide purché non siano violate le dette disposizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52 e 63, sul potere degli uffici finanziari e del Giudice tributario di avvalersene a fini meramente fiscali, senza che ciò costituisca violazione dell’art. 24 Cost. (Cass. 8990/07, Cass. 22035/06, Cass. 15538/02)”.

  • Con la sentenza n. 7335 del 12 dicembre 2007, dep. il 19 marzo 2008, ha “ribadito da un lato (Cass. 5557/2000, 15538/2002) che l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 3, per l’utilizzazione e la trasmissione agli uffici dell’amministrazione finanziaria di documenti, dati e notizie penalmente rilevanti acquisiti dalla guardia di finanza, è necessaria soltanto quando l’acquisizione sia avvenuta nell’esercizio di attività di polizia giudiziaria e non già quando essa sia correlabile all’espletamento di compiti propri della polizia tributaria, come in fatto accertato dai Giudici di secondo grado e non idoneamente contestato dai ricorrenti. Dall’altro, in ogni caso (Cass. 115914/2001, 28695/2005) l’autorizzazione predetta è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza di essa, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta deglistessi”.

  • Con la sentenza n. 22173/2008 ha riaffrontato la questione, affermando che l’eventuale mancanza dell’autorizzazione di cui all’art. 33, D.P.R. n. 600/1973 circa l’utilizzazione degli elementi acquisiti nel corso dell’indagine per fatti penalmente rilevanti non è suscettibile di inficiarne validità ed efficacia probatoria in quanto tale adempimento è strumentale alla tutela del segreto istruttorio. I giudici osservano, aderendo a conforme e costante giurisprudenza in argomento (Cass. nn. 11203/ 2007, 2450/2007, 22035/2006, 15538/2002, 15914/2001), che l’autorizzazione del giudice penale, di cui deve munirsi la guardia di finanza per utilizzare e trasmettere al fisco dati, documenti e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria per l’accertamento dei reati, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, come pure dei diritti della persona che ad essa è sottoposta (C. cost., sent. n. 51/1992): premessa da cui non può trarsi la conseguenza che la sua mancanza infici la valenza probatoria dei dati trasmessi, o che implichi l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta di questi, non essendo essa predisposta al fine di filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass. n. 7208/2003). Si deve infatti considerare che la guardia di finanza, cooperando “con gli uffici delle imposte per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi e per la repressione delle leggi sulle imposte dirette” (art. 33 cit., c. 3), persegue l’interesse pubblico al corretto funzionamento del sistema tributario (art. 53 Cost.); interesse di rango non inferiore, ed anzi connesso, a quello per il perseguimento dei reati fiscali, allorché la guardia di finanza agisce anche in veste di polizia giudiziaria. La norma fiscale citata (e analogamente, in materia di IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63) riconosce quindi all’autorità giudiziaria penale il potere (comunque ad essa spettante in virtù, attualmente, dell’art. 329 c.p.p., e certamente non sindacabile dal giudice tributario né dal contribuente in quanto tale) di derogare al segreto istruttorio, in vista dell’interesse ad un sollecito e corretto accertamento tributario. La trasmissione non autorizzata di atti coperti dal segreto istruttorio rileva, quindi, solo nell’ambito del giudizio penale e, se può giustificare provvedimenti a carico del trasgressore, non inficia la valenza probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta di essi. L’interesse della parte privata a svolgere compiutamente le proprie difese nel giudizio tributario è peraltro pienamente garantito dalla conoscenza o conoscibilità degli atti trasmessi.

  • Con la sentenza n. 24923 del 25 novembre 2011(ud. del 28 giugno 2011) ha confermato che “sulla base del consolidato principio secondo il quale l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dalla norma citata, in materia di imposta sul valore aggiunto, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cass. nn.3852 del 2001, 28695 del 2005, 22035 del 2006, 2450 e 11203 del 2007, 27947 del 2009; in senso conforme, sull’analoga norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art.33, comma 3, in tema di imposte sui redditi, cfr. Cass. nn.15914 del 2001, 16788 del 2002, 7279 del 2009)”.

  • Con l’ordinanza n. 11607 del 10 luglio 2012 (ud. 24 maggio 2012) ha ancora confermato che “l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63, comma 1, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Sez. 5, Sentenza n. 11203 del 16/05/2007) il generico riferimento al disposto dell’art. 63 cit., e all’art. 220 disp. att. c.p.p., e alle garanzie della difesa non consente di identificare il criterio logico che ha condotto la CTR alla formazione del proprio convincimento”.

  • Con la sentenza n.8966 del 12 aprile 2013 la Corte di Cassazione ha confermato che, “sia in materia di imposte dirette sia in materia di iva, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, prevista (dall’art. 33 d.p.r. 600/1973 e dall’art. 63, comma 1, d.p.r. 633/1972) per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla G.d.F. nell’ambito di un procedimento penale, è volta alla tutela del segreto istruttorio, cui è preposto il Pubblico Ministero, e non alla tutela del contribuente, cosicché la mancanza dell’autorizzazione non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (cfr. Cass. 7279/09, 14058/06, 28695/05)”.

 

28 novembre 2013

Gianfranco Antico

1La precisione delle informazioni e la valutazione degli elementi indiziari, al fine di verificare se possano trovare accoglienza nel complesso motivazionale, va effettuata anche nel caso in cui le dichiarazioni di natura confessoria siano state rese nel corso del procedimento penale, fatto salvo, l’obbligo di valutazione complessiva del giudice, unitamente agli altri elementi di analoga natura indiziaria. Per la Suprema Corte, Sent. n. 20601/2005, le dichiarazioni rese dall’imputato in sede penale possono essere utilizzate liberamente dal giudice tributario per accertare l’esistenza di un maggior reddito non dichiarato. Sulla stessa lunghezza d’onda è la sentenza n. 2658 del 20 dicembre 2006, depositata il 7 febbraio 2007, della Corte di Cassazione che ha affermato che le dichiarazioni rese da terzi nel corso di un procedimento penale, alla Guardia di Finanza, possono essere acquisite in sede tributaria (e a nulla rileva la regolarità o meno dell’autorizzazione del magistrato penale) ed essere utilizzate nel processo come fonti di informazione. In particolare, la Corte evidenzia che: “in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato ulteriore riscontro nelle risultanze dell’accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Né è con ciò violato il principio della cosiddetta “parità delle armi”, di cui all’art.111 della Costituzione, atteso che – in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n.18 del 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il medesimo valore probatorio” (Cassazione civile, Sez. trib., 29 luglio 2005, n.16032; nello stesso senso: Cassazione civile, Sez. trib., 25 marzo 2002,n.4269, Cassazione civile, Sez. trib., 11 marzo 2002, n.3562, Cassazione civile, Sez. trib., 25 gennaio 2002, n.903)”. Alle dichiarazioni rese dall’imputato, in sede penale, viene attribuito il valore confessorio così che possono costituire “prova esclusiva della fondatezza dell’accertamento, anche perché mai ritrattate dallo stesso contribuente”. Un significato particolare assume, infatti, la confessione, quale specifica forma di testimonianza, atteso che il valore confessorio delle dichiarazioni rese viene disconosciuto, poiché nella confessione vige la regola dell’irretrattabilità, quale effetto della forza probatoria riconosciutale dalla legge fino a querela di falso (c.d. prova legale), e nello specifico vi difetta l’animus confitendi, che deve sussistere in chi rende le dichiarazioni.
2 In merito si veda la nota a sentenza di SANTACROCE, in “il fisco”, n. 19/1999, pag. 6519, che conclude il commento affermando che “il non rispetto delle garanzie processuali da parte degli organi preposti al controllo per attività di carattere penale ha rilevanza solo e unicamente sul piano penale e non pure sul piano amministrativo. La trasmissione degli atti conclusivi di una verifica fiscale, verifica nella quale siano stati determinati fatti a rilevanza penale, da parte dei militari della Guardia di finanza agli uffici finanziari non è, di per sé, soggetta ad autorizzazione, a meno che l’attività di verifica non sia inserita in un’indagine penale realizzata sotto la direzione dell’autorità giudiziaria”.
3 Cfr. BUETTO, L’autorizzazione del giudice penale alla trasmissione delle notizie, in www.https://www.commercialistatelematico.com, 2008.