Sanzioni tributarie ed incertezza normativa: un difficile equilibrio

partendo da un contenzioso sulla corretta applicazione del regime IVA del margine, la Cassazione illustra in quali casi è possibile non applicare sanzioni tributarie al contribuente data l’incertezza sull’applicazione della norma tributaria

Il fatto

La società ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 e del D.P.R. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che sussistevano al momento della effettuazione operazioni obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni concernenti il regime fiscale del margine di utile, tali da giustificare la non punibilità per l’illecito tributario ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, c. 2, in quanto soltanto con la circolare n. 40/E del 18.07.2003 l’Agenzia delle Entrate aveva specificato che la mera annotazione in fattura del regime speciale non esimeva l’acquirente da ulteriori accertamenti in caso emergessero ulteriori elementi oggettivi di sospetto, mentre in precedenza la circolare del 14.04.2001 n. 51522 si era limitata a prescrivere che nella fattura doveva essere specificata la ragione della mancata applicazione dell’IVA (se in quanto trattavasi di operazione di cessione intracomunitariao se trattavasi di operazione soggetta al regime del margine).

 

La sentenza

La Corte, in apertura, premette che “le circolari amministrative ‘contra legem’ non possono fondare alcun legittimo affidamento, ne segue che è del tutto inesatta la interpretazione che di tali atti amministrativi fornisce la ricorrente. L’Amministrazione finanziaria non può infatti derogare alle norme statali e comunitarie che disciplinano le condizioni di applicabilità del regime speciale del margine di utile, rimanendo esclusa pertanto una interpretazione della circolare del 2001 volta a ritenere che per la applicazione del regime fiscale era sufficiente la relativa annotazione sulla fattura emessa dal cedente, indipendentemente dal ricorso, in concreto, delle altre condizioni sostanziali (caratteristiche dell’usato; assolvimento a titolo definitivo dell’IVA corrisposta a monte dal soggetto cedente)”.

Nel caso di specie, “la circolare n. 40/2003 della Agenzia delle Entrate non è affatto venuta ad introdurre una nuova disciplina dei presupposti di applicazione del regime speciale del margine d’utile, nè ad aggiungere ulteriori obblighi non previsti, ma, in funzione meramente ricognitiva della materia, si è limitata a riconoscere la distinzione (già implicita nella disciplina normativa tributaria) tra regolarità formale della documentazione e presupposti normativi per la fruizione del regime speciale dell’IVA, richiamando i cessionari a prestare la dovuta diligenza nella verifica di detti presupposti in presenza di obiettivi elementi sintomatici di sospetto, quali per l’appunto le intestazioni proprietarie dei veicoli a soggetti che normalmente utilizzano tali beni strumentali per l’esercizio della impresa”.

Nello specifico, osserva la Corte, come ripetutamente affermato in precedenti pronunce, in tema di sanzioni per violazione delle norme tributarie, “l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, in base al principio generale stabilito nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, poi inserito nel c.d. Statuto del contribuente dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2192 del 16/02/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27707/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013)”.

Nel caso sottoposto alla Corte, “non è stato allegato dalla parte ricorrente nè risulta al Collegio che le disposizioni normative statali e comunitarie in materia di regime del margine abbiano dato luogo, in sede giurisdizionale, a differenti soluzioni interpretative contrastanti pur se da ritenersi egualmente valide in quanto fondate sulla corretta applicazione dei criteri ermeneutici, con la conseguenza che la prospettata difformità interpretativa delle norme in questione, riferita alle circolari amministrative indicate, non è idonea ad elidere, nella specie, la sanzionabilità della condotta violativa del regime fiscale del margine d’utile”.

 

Brevi note

Di recente, con la sentenza n. 8825 dell’1 giugno 2012 (ud. 17 aprile 2012) la Corte di Cassazione, in forza anche di precedenti interventi giurisprudenziali (Cass. nn. 24670/2007, 7765/2008, 19638/2009), ha fornito una precisa definizione dell’ambito di applicazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 546/92, redigendo una vera e proprio casistica sull’obiettiva condizione di incertezza normativa.

L’incertezza normativa aggettiva tributaria è quella “situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie”.

L’incertezza normativa oggettiva “costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che distingue in modo netto (comma 2 e comma 4) le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza inevitabile (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla Amministrazione”.

L’incertezza normativa oggettiva “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente:

1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge;

2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;

5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;

6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;

8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

9) nel contrasto tra opinioni dottrinali;

10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

Tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili (procedimenti riservati in via esclusiva all’organo giudiziario: cfr. da ultimo Corte Cass. 5′ sez. 23.3.2012 n. 4683)”.

 

In sede di prassi, la C.M. n. 98/E del 23 aprile 1996 (in ordine all’art. 8 del D.Lgs. n. 546/72) ritiene che “deve trattarsi di incertezza oggettiva – come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”.

La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 aveva chiarito che “si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.”

 

10 ottobre 2013

Roberta De Marchi