L'imposta di registro si applica in base all'effettiva natura degli atti

la giurisprudenza di Cassazione è oramai conforme: l’imposta di registro va applicata secondo l’intrinseca natura degli atti e tale disposizione antielusiva non implica il contraddittorio coi contribuenti

Con la sentenza n. 15319 del 19 giugno 2013 (ud. 28 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che l‘imposta di registro va applicata secondo l’intrinseca natura degli atti, senza ritenerla una disposizione antieleusiva che necessita del contraddittorio.

 

IL FATTO

In successione rapidissima il contribuente ha stipulato un contratto di finanziamento in riferimento ad immobili da apportare al Fondo comune di investimento immobiliare speculativo di tipo chiuso di € 563.460.000,00.

La stessa società apportò 23 immobili di tipo industriale (locati) al Fondo immobiliare indicato in precedenza, verso contestuale accollo liberatorio, da parte della società di gestione del Fondo, del finanziamento precedentemente acceso e, altresì, attribuzione di quote di partecipazione al Fondo, del valore di € 46.500.000, che, come da pregressi accordi, furono tutte cedute, nel giro di pochi giorni, ad altri partecipanti al Fondo ed investitori istituzionali qualificati.

All’atto di apporto furono applicate le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa.

Sulla base di tali presupposti di fatto l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’atto di apporto in oggetto s’inquadrava in una più ampia fattispecie di collegamento negoziale, di cui identificò il dato giuridico reale negli effetti tipici di una vendita immobiliare; e di conseguenza applicò l’art. 20 del D.P.R. n. 131/86 (imposizione in misura proporzionale, nel caso specifico).

La controversia ruota, quindi, intorno al tema dell’applicabilità, all’atto di apporto dell’imposizione in misura fissa, applicabilità che i giudici di merito hanno ritenuto legittimamente negata dall’Agenzia delle Entrate in funzione della qualificazione dell’atto operata, in rapporto alla riscontrata ipotesi di collegamento negoziale, ai sensi delle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 13.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Corte di Cassazione prende le mosse dal dettato normativo (art. 20, del D.P.R. n. 131/86, richiamato ai fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale dall’art. 13, del D.Lgs. n. 347 del 1990), secondo cui “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“.

La Corte osserva subito che, proclamando, ai fini dell’applicazione delle imposte in rassegna, la preminenza del reale dato giuridico, dell’effettiva causa negoziale dell’atto sottoposto a registrazione, rispetto al relativo assetto cartolare, la disposizione esprime “la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione, non della loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridici prodotti (v. Cass. 10273/07, 2713/02)”.

Sul punto, precedenti pronunce hanno avuto modo di affermare che l’applicazione delle imposte in oggetto ai sensi dell’art. 20, del D.P.R. n. 131/86, ha luogo, attesa l’unitarietà della causa, anche in ipotesi di collegamento negoziale; “di atti, cioè, che, ancorchè frazionatamente e non contestualmente, realizzino, sul piano della regolamentazione degli interessi dei contraenti, un preordinato unico risultato, identificabile in funzione di valutazione complessiva (cfr., tra le altre, Cass. 15192/10, 9162/10, 11769/08, 8098/06, 2713/02, 14900/01)”.

Inoltre, osserva la Corte, che la norma, quand’anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura “disposizione antielusiva” (del resto la sua formulazione, mutuata peraltro da normativa previgente, è storicamente ben precedente al diffondersi del dibattito sull’elusione), giacchè, in combinazione col precedente art. 1, interviene a delineare positivamente l’ambito oggettivo del rapporto giuridico tributario di riferimento, con specifica opzione per i contenuti sostanziali degli atti registrati rispetto ai relativi profili meramente cartolari (v. Cass. 10273/07, 2713/02), e non pone -come, invece, fa (in relazione a situazioni specifiche) il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis – una generale clausola antielusiva “di chiusura“, tesa a rendere comunque inopponibili all’Amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi, che risultassero privi di valide ragioni economiche e diretti solo ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario.

Pertanto, nella prospettiva dell’imposta di registro si procede alla ricostruzione dell’obiettiva portata, sul piano degli effetti giuridici, dell’attività negoziale posta in essere; ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, si procede, invece, al riscontro della ricorrenza di circostanze (in particolare: assenza di valide ragioni economiche per la relativa adozione, aggiramento di obblighi o divieti fiscali) sintomaticamente denunzianti lo sviamento di forme negoziali dalla propria specifica funzione ed il loro uso distorto al solo fine del conseguimento d’indebito vantaggio fiscale.

Ciò comporta che, “mentre la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale ai fini dell’applicazione della previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (cfr. Cass. 9162/10, 11769/08, 2713/02, 14900/01), in considerazione della specifica positiva definizione normativa dell’oggetto del rapporto impositivo – le condizioni prescritte ai fini dell’operatività della previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e in particolare quella attinente all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo, non possono ritenersi mutuabili, per l’eterogeneità morfologica e funzionale delle due disposizioni normative, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20”.

La natura della disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, peraltro, l’estraneità delle imposte d’atto al novero dei tributi armonizzati privano, poi, di ogni rilievo i richiami operati dalle società contribuenti alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria in tema di obbligatorietà del contraddittorio in sede di procedimento amministrativo.

 

Breve nota

Come è noto, la Corte di Cassazione, a SS.UU. (sentenza n. 30055 del 2008) ha sancito che “il contribuente non possa trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con una specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del risparmio fiscale, deve ritenersi, nella fattispecie, corretto l’operato dell’Ufficio che ha ritenuto che i due atti (costituzione della società con conferimento e cessione di quote) pur essendo distinti fra foro, avessero il solo scopo di far apparire come costituzione di società con conferimento di azienda agricola e successiva cessione di quota sociale, una vera e propria compravendita di beni immobili, aggirando tale operazione mediante lo sfruttamento del conferimento”.

E di recente, con la sentenza n. 14150 del 5 giugno 2013 (ud. 3 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che, in base al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, l’imposta di registro “è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“. E sul punto la corte richiama dei significativi precedenti (v. in particolare Sez. 5′ nn. 14900/01 e 2713/02) con cui ha chiarito che “la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma; id est, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali”. E conclude affermando il seguente principio: “In tema di imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, attribuisce prevalenza, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca e agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente; e in tal senso vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente – in uno o più atti. Pertanto una pluralità di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale costituito dal trasferimento della proprietà di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva“.

La sentenza in rassegna offre degli spunti di particolare interesse che, per certi versi, si discostano da altre precedenti pronunce, e che qui possiamo sintetizzare così:

  1. la filosofia dell’imposta di registro è sostanzialmente diversa da quella delle imposte dirette;

  2. non può parlarsi di disposizione antilelusiva, poiché è la stessa norma che impone la tassazione secondo l’intrinseca natura degli atti; di conseguenza, la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale;

  3. non è necessario il contraddittorio, in quanto non è mutuabile dalla normativa ai fini reddituali.

 

17 settembre 2013

Francesco Buetto