I prezzi troppo bassi sono indice di frode carosello

L’applicazione di prezzi troppo bassi, tali da essere considerati fuori mercato, è uno degli indizi più tipici da cui capire che la fattura formalmente corretta nasconde un’operazione inesistente.

Con l’ordinanza n. 16456 dell’1 luglio 2013 (ud. 12 giugno 2013) la Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione delle frodi carosello.

 

IL FATTO

L’accertamento si basava su presunzioni costituite dalle rilevazioni incrociate nei riguardi della società EIE srl, oltre che dalla verifica svolta a carico della FC stessa, per le quali si era trattato di operazioni inesistenti, a fronte della documentazione prodotta dalla contribuente, per cui invece gli acquisti delle autovetture usate, estere e nazionali, sarebbero stati effettuati presso le ditte ICA di CI e SGA di GS, essendo rilevante il fatto che queste poi non avessero pagato l’Iva; non possedessero un’effettiva organizzazione d’impresa; avessero fatto sì che il prezzo di cessione finale fosse addirittura inferiore rispetto a quello di mercato e di acquisto iniziale presso le ditte intracomunitarie e nazionali.

 

La decisione della Cassazione

Per la Corte di Cassazione, in particolare in tema di IVA, nelle c.d. frodi carosello –

“fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società ‘cartiere’ a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società o ditte filtro (‘buffers‘) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari, come nella specie (V. pure Cass. Sentenza n. 867 del 20/01/2010, Sezioni Unite: n. 30055 del 2008).

Gli stessi rilievi valgono anche in ordine alle altre imposte evase, trattandosi di effetti consequenziali alla ‘frode carosello'”.

 

 

Operazione inesistente e onere dela prova

Il principio oggi affermato dalla Corte di Cassazione non è certo nuovo.

Per la Corte (sentenza n. 8132 dell’11 aprile 2011, ud. del 3 giugno 2010, della Corte di Cassazione)

“la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzabile delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesima circostanza quest’ultima non indifferente ai fini dell’IVA, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre (Cass. n. 29467 del 2008)”.

Resta fermo che

“qualora, l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente, tuttavia, che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si basa la contestazione ed il giudice di merito deve prendere in considerazione tali elementi, senza limitarsi a dichiarare che essi esistono e sono tali da dimostrare la falsità delle fatture (Cass. n. 21953/2007)”.

Più specificamente,

“qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti; nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente – prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, che il committente – cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonchè dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi (Cass. n. 1950/2007)”.

Rileva, ancora, la Corte, che

“l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato va peraltro letto in coordinazione con la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE…

Nello specifico la Corte di Giustizia (sent. C – 439/04; conf. Sent. C -354/03) ha affermato che…, il diritto a deduzione previsto dal citato art. 17 della Sesta Direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell’iva e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni, essendo inteso a sgravare l’imprenditore dall’onere dell’iva dovuta o pagata nell’esercizio della sua attività economica, in applicazione del principio della c.d. neutralità dell’imposta;- ai fini del diritto del soggetto passivo alla deduzione è irrilevante (sempre per il principio di neutralità dell’imposta) se l’iva dovuta per le operazioni precedenti o successive sia stata versata o meno all’Erario; – il principio di neutralità dell’imposta non consente una distinzione generale tra le operazioni lecite e le operazioni illecite, nel senso che il diritto alla deduzione va in assoluto escluso per queste ultime, essendo necessario considerare la posizione assunta dall’operatore che richiede la deduzione; in particolare, l’imprenditore che abbia adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione posta in essere non faccia parte di una frode, deve poter fare affidamento sulla liceità dell’operazione senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell’iva pagata a monte; – ne consegue che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, il committente – cessionario conserva il diritto alla deduzione dell’imposta pagata qualora dalle circostanze del caso risulti che egli non sapeva e non poteva sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta”.

 

L’indirizzo giurisprudenziale comunitario trova evidente sostegno sia nei principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto che fanno parte dell’ordinamento CEE, sia nel già richiamato principio di neutralità dell’imposta.

 

I principi fissati sono i seguenti:

“1) l’iva pagata per l’operazione soggettivamente inesistente non è detraibile;

2) è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione qualora l’Amministrazione gli contesti l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti;

3) il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’iva relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha il diritto di detrarre l’iva se, a prescindere dal pagamento dell’imposta, dimostra che non sapeva e non poteva sapere di partecipare ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta; con una formula più rigorosa il medesimo principio può esser formulato così: il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, anche se pagata, relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA e, se vuole vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA, ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode dell’IVA”.

 

E anche di recente,con l’Ordinanza n. 10252 del 2 maggio 2013 (ud 27 febbraio 2013) la Corte di Cassazione richiama e fa suo il precedente pronunciamento (sentenza n. 10414/2001) che si sofferma sul riparto dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente in ordine al coinvolgimento dell’acquirente nelle frodi carosello poste in essere dal fornitore, enunciando, i seguenti principi.

  • “Nel caso, come il presente, di apparente regolarità contabile della fattura, dotata dei requisiti di legge, l’onere della prova grava sull’Ufficio, nel senso che questi deve provare 1) gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di cartiera, la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e simili; 2) la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente però con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purchè dotati del requisito di gravità precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi – che possono coincidere con quelli sub) 1 – tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sulla inesistenza sostanziale del contraente, il quale non può non rilevarla e peraltro deve coglierla, per il dovere di accortezza e diligenza insito nell’esercizio di una attività imprenditoriale e commerciale qualificata”.

  • Qualora, con giudizio di fatto rimesso al giudice del merito, l’Amministrazione abbia fornito una prova nei termini di cui sopra, “l’onere a carico della medesima si intende assolto e grava sul contribuente l’onere della prova contraria. L’onere di provare gli elementi di fatto della frode e la connivenza del cessionario con il cedente grava dunque sull’Amministrazione (che può fornire tale prova anche mediante presunzioni semplici, le quali possono derivare anche dalle medesime risultanze di fatto attinenti al cedente); nella specie la sentenza gravata si è attenuta a tale principio di diritto, perchè ha annullato gli avvisi di accertamento sulla base del giudizio di fatto che l’Ufficio non avesse provato la fittizietà delle operazioni di acquisto”.

 

 

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11 settembre 2013

Roberta De Marchi