un riassunto di tutte le novità in materia di concordato preventivo che sono state approvate col Decreto del Fare per correggere e migliorare la precedente normativa in vigore in tema di procedure concorsuali minori
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Il D.L. n. 69/2013, meglio conosciuto come il “Decreto del Fare”, convertito con modificazioni nella legge n. 98/2013, all’articolo 82 dispone importanti modifiche ad una questione ormai da molti evidenziata dell’attuale disciplina inerente l’istituto negoziale del concordato preventivo. Quest’ultimo, infatti, è stato più volte opportunamente modificato con miglioramenti apprezzabili, ma presta, tuttavia, il fianco a un possibile abuso della norma nella misura in cui consente al debitore di presentare, ai sensi del sesto comma, dell’art. 161 Legge Fallimentare, l’ormai nota domanda in “bianco” o con “riserva”. I dati che emergono dai tribunali evidenziano come da settembre 2012 l’istituto del concordato preventivo abbia conosciuto una vera e propria crescita esponenziale che se da un lato è riconducibile all’ormai strutturale crisi finanziaria ed economica che colpisce le imprese, dall’altro è imputabile a un utilizzo improprio di quanto disposto dal comma sesto, dell’articolo 161, della Legge Fallimentare.
L’articolo 82 del Decreto del Fare è volto ad offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale nel concordato preventivo “in bianco” (o “con riserva”). Con tale forma di concordato preventivo sono anticipati gli effetti protettivi del patrimonio dell’impresa in crisi, indipendentemente dalla elaborazione della proposta e del piano di concordato.
Il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, previsto dalla Legge Fallimentare, alternativo al fallimento, di cui impedisce la dichiarazione e le conseguenze personali e patrimoniali di cui agli articoli da 42 a 49 della Legge Fallimentare.
Cenni sull’istituto del concordato preventivo
Il concordato preventivo si sostanzia in un accordo tra l’imprenditore e la maggioranza dei creditori, finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione, anche parziale , dei creditori.
L’istituto del concordato preventivo è stato introdotto nel nostro ordinamento con la L. 24 maggio 1903, n. 197. Il codice di commercio del 1882, infatti, conosceva solo l’istituto della moratoria fallimentare con la quale il debitore che aveva cessato i pagamenti poteva ottenere una dilazione nel caso in cui fosse stato dichiarato il fallimento (con sospensione degli effetti della sentenza), oppure evitare l’apertura della procedura qualora:
a) giustificasse con valide prove che la cessazione dei pagamenti era la conseguenza di avvenimenti straordinari e imprevedibili;
b) dimostrasse con documenti o con prestazioni di idonea garanzia che l’attivo del suo patrimonio superava il passivo (artt. 819 e seguenti cod. comm. 1882).
Nel 1903 l’istituto della moratoria, che non aveva dato buona prova, venne sostituito con il concordato preventivo la cui funzione doveva essere quella di consentire una “sistemazione amichevole di un dissesto commerciale sostituita alla dichiarazione di fallimento”. Il concordato si configurava quindi come un “beneficio” per il debitore meritevole, “onesto ma sfortunato”, con l’effetto di determinare una esenzione dal fallimento. La disciplina originaria venne successivamente emendata dapprima con la L. 17 aprile 1925, n. 473, e successivamente con gli artt. 21-24 della L. 10 luglio 1930, n. 995, fino a che il concordato, con ulteriori modifiche, venne inserito nella legge fallimentare di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare), artt. 160-186. In generale il legislatore italiano del 1942 diede un’impostazione netta alla materia fallimentare: garantire il supremo interesse dei creditori, accentrando la gestione della procedura nelle mani dei giudici. La procedura principe era il fallimento: l’impresa decotta doveva essere eliminata dal tessuto economico, attraverso la liquidazione del patrimonio aziendale e la distribuzione ai creditori nel rispetto delle regole della par condicio. L’istituto del concordato preventivo è stato completamente ridisegnato con l’emanazione del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80 e con i successivi D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e il “correttivo” D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169. Per merito di queste riforme, alla finalità del soddisfacimento dei creditori si è aggiunto l’obiettivo di mantenere l’impresa sul mercato, gestendone la crisi in modo pilotato e nel rispetto di un più generale interesse.
Questo orientamento ha fatto in modo che la procedura “principe” sia oggi non più il fallimento, che rimane una extrema ratio, ma il concordato preventivo, al quale si può accedere in situazione di crisi e/o di insolvenza e che si fonda sulla negoziazione debitore/creditori. La riforma odierna accentua la volontà del legislatore di creare procedure finalizzate alla continuità dell’impresa: pertanto, abbiamo un concordato incentrato non più sulla mera dismissione dei beni, bensì su una ristrutturazione che consenta la salvaguardia dei valori aziendali, e ove possibile la stessa sopravvivenza dell’impresa.
Requisiti per l’ammissione al concordato preventivo
Dal disposto dell’art. 160 della Legge Fallimentare, così come modificato nel 2005, si evince come, ai fini dell’ammissione alla procedura di concordato, sia necessario il concorso di condizioni di natura soggettiva e oggettiva. Innanzitutto, essendo la procedura di concordato preventivo alternativa al fallimento, ed anzi, rappresentando possiamo dire per definizione, uno strumento per evitarlo, per esservi ammessi è necessaria la qualità di imprenditore assoggettabile a fallimento (art. 1 della Legge Fallimentare).
L’art. 1 della Legge Fallimentare prevede i requisiti di fallibilità: sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della Giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
Sono invece venute meno le condizioni soggettive che facevano riferimento alla “meritevolezza” dell’imprenditore, ossia alla sua incensuratezza per reati di bancarotta o altro delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia, l’industria o il commercio; alla regolare tenuta della contabilità; all’iscrizione nel registro delle imprese da almeno un biennio; e ciò conformemente all’idea secondo la quale il concordato preventivo è oggi strumento per la risoluzione in via negoziale della crisi d’impresa, e non più un beneficio per l’imprenditore onesto ma sfortunato. Il nuovo concordato, quale requisito per l’ammissione alla procedura, è svincolato dallo stato d’insolvenza dell’impresa (ravvisandosi quest’ultima allorché l’imprenditore non sia più in grado di far fronte “regolarmente” alle proprie obbligazioni: art. 5 della L.F.), ma ha previsto comunque la sussistenza di uno stato di crisi. Nei primi commenti successivi all’introduzione del nuovo concordato, ci si era domandati se lo stato di crisi fosse equiparabile allo stato di insolvenza: dubbio risolto in senso affermativo, dal comma terzo , dell’art. 160 della L.F.
Le recenti modifiche all’istituto del concordato preventivo
Con l’art. 33 del decreto-legge 83/2012 (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) è stata modificata la legge fallimentare con l’obiettivo di migliorare l’efficienza dei procedimenti di composizione delle crisi d’impresa, in modo da incentivare l’impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi.
In particolare, per quanto qui rileva, è stata rivista la disciplina del concordato preventivo. A tal fine è stato previsto che per l’ammissione al concordato preventivo il debitore possa presentare il piano anche successivamente alla presentazione della domanda, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prescritta entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta). Fino al decreto di apertura del concordato preventivo il debitore, previa autorizzazione del tribunale, può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione. Si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell’attività produttiva dell’imprenditore in concordato.
E’ in questo contesto normativo che si inserisce l’art. 82 del D.L. 69/2013.
Le novità contenute nel Decreto del Fare
L’obiettivo delle disposizioni è indicato nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del “Decreto del Fare” :“Le prime evidenze empiriche emerse nel corso di rilevazioni statistiche condotte dalla Direzione generale di statistica del Ministero della giustizia hanno consentito di rilevare un non trascurabile ricorso all’istituto del cosiddetto «concordato in bianco» non del tutto corrispondente alle finalità che ne hanno ispirato l’introduzione”.
L’art. 82, c. 1, lett. a, del D.L. 69/2013 modifica l’art. 161, sesto comma, Legge Fallimentare prevedendo che l’imprenditore che presenti la domanda per il concordato “in bianco” debba presentare insieme non solo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ma anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.
L’art. 82, c. 1, lett. b, del D.L. 69/2913, aggiunge due periodi all’art. 161, sesto comma, Legge Fallimentare , in base a cui:
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il tribunale, nel fissare un termine per la presentazione del piano, può nominare il commissario giudiziale;
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il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale nelle forme seguite per la dichiarazione di fallimento e verificata la sussistenza delle condotte stesse può con decreto dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o del p.m., accertati i presupposti per la dichiarazione di fallimento, lo dichiara con sentenza reclamabile ai sensi dell’art. 18 Legge Fallimentare.
L’art. 82, c. 2, del D.L. 69/2013 integra l’art. 161, settimo comma, Legge Fallimentare, concernente gli atti urgenti di straordinaria amministrazione che il debitore può compiere fino al decreto di apertura del concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. In base alla modifica introdotta il tribunale ha altresì l’obbligo di acquisire il parere del commissario giudiziale.
Infine, il comma 3, dell’art. 82 sostituisce l’art. 161, ottavo comma, della Legge Fallimentare , specificando ulteriormente gli obblighi informativi periodici disposti dal tribunale, che il debitore deve assolvere.
Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame presso la Camera dei Deputati, riconosce, al fine di garantire i crediti spettanti alle cooperative di lavoro, il privilegio generale sui mobili di cui all’articolo 2751-bis, c. 1, n. 5), c.c., spettante per corrispettivi dei servizi prestati e dei manufatti prodotti, a condizione che le medesime cooperative abbiano superato positivamente o abbiano comunque richiesto la revisione cooperativa di cui agli articoli 2-7 del D.Lgs. 220/2002, recante norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi.
Infine è disposto che la nomina del commissario giudiziale, ai sensi del sesto, comma dell’articolo 161 della Legge Fallimentare, così come modificato dalla disposizione in commento, debba aver luogo con decreto motivato.
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31 agosto 2013
Federico Gavioli