I compensi agli amministratori sono sindacabili dal Fisco?

Il problema della deducibilità dei compensi degli amministratori è sempre sentito: analizziamo in quali casi il fisco può intervenire per disconoscere i compensi considerati “abusivi”

Sindacabilità dei compensi agli amministratori da parte del Fisco

compenso agli amministratori della societàLa sentenza della Corte di Cassazione del 15 aprile scorso, numero 9036, fornisce l’occasione per svolgere qualche riflessione in merito alla possibilità da parte del Fisco di sindacare la congruità degli emolumenti corrisposti dalle società agli amministratori.

I Giudici di piazza Cavour, con la citata pronuncia, hanno stabilito che l’Amministrazione Finanziaria può sempre sindacare la congruità di tali compensi amministrativi, alla stessa stregua degli altri costi.

Non sempre, però, la giurisprudenza di legittimità si è dimostrata dello stesso avviso, giungendo in passato anche a soluzioni differenti.

 

 

Evoluzione giurisprudenziale

sentenza corte di cassazioneSecondo un orientamento più datato, rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa. Pertanto, la deducibilità dei compensi degli amministratori, soci e non soci, delle società non implica che l’Ufficio sia vincolato alla misura indicata in delibere sociali o contratti1.

Dal 2008, però, la Suprema Corte ha sviluppato un secondo filone giurisprudenziale, in base al quale è preclusa al Fisco ogni possibilità di sindacare l’ammontare degli emolumenti amministrativi2.

Peraltro, ancora nel 2010, con un’altra pronuncia, gli Ermellini hanno nuovamente confermato tale principio, affermando che lo stesso risulta di uniforme applicazione nelle più recenti sentenze della stessa Suprema Corte3.

Con una recente pronuncia sul tema, tuttavia, gli Ermellini sono tornati nuovamente sui loro passi, riprendendo l’orientamento più datato. In particolare, con la sentenza 3243 del 11 febbraio 2013, è stato stabilito che il Fisco può sempre disconoscere la deducibilità, ai sensi dell’articolo 109 del TUIR, dei costi che ritenga sproporzionati, anche se non emergono irregolarità dalle scritture contabili, ben potendo svincolarsi dai valori indicati in delibere sociali o contratti4. Inoltre, se l’Amministrazione Finanziaria contesta la congruità dei compensi amministrativi dedotti dalla società, spetta a quest’ultima fornire la prova contraria e, quindi, dimostrare che l’ammontare di tale emolumenti è congruo in relazione al caso concreto5.

La Cassazione, inoltre, ha anche stabilito che il mancato riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti nell’articolo 95 del TUIR6, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali i compensi amministrativi non possano essere deducibili, non confligge con i suesposti principi generali.

Sempre con la pronuncia 3243/2013, poi, la Suprema Corte ha invocato anche l’abuso di diritto, affermando che è inopponibile all’Amministrazione finanziaria il risultato elusivo ottenuto dalla impresa nel conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici7.

In sostanza, per i Giudici del Palazzaccio, gli emolumenti amministrativi che appaiono spropositati possono anche configurare un abuso di diritto e quindi essere ripresi a tassazione dall’Amministrazione Finanziaria.

 

 

La sentenza 9036 rafforza la posizione a favore del Fisco

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte si è nuovamente pronunciata nel senso della sindacabilità dei compensi amministrativi da parte del Fisco, sulla scia, quindi, di quanto già deciso con l’ultima sentenza sopra illustrata.

In particolare, con l’ordinanza 9036/2013, gli Ermellini hanno richiamato, innanzitutto, i precedenti giurisprudenziali, con i quali era stato stabilito che:

  • rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti8;

  • in tema di accertamento delle imposte sui redditi, incombe al contribuente l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi; e che, poiché rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi9.

 

I Giudici di piazza Cavour hanno osservato, quindi, che i sopra esposti principi non risultano incompatibili con la formulazione dell’art. 95 del TUIR, secondo cui i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’art. 73, comma 110, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti. Ed invero, il mancato riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali essi non possano essere deducibili, non confligge con il suesposto principio generale.

In conclusione, la Cassazione ha stabilito che la deducibilità ex articolo 95 del TUIR dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti, rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione11.

 

Il pensiero dell’Agenzia delle Entrate

Se la Suprema Corte, prima di assumere la posizione attuale che sembrerebbe ormai in via di consolidamento, ha maturato anche qualche decisione di segno contrario, l’Amministrazione Finanziaria, invece, ha affermato chiaramente che gli emolumenti amministrativi sono sempre sindacabili in sede di accertamento fiscale.

In particolare, con la risoluzione 113/E del 31 dicembre 2012, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che, posta la deducibilità dei compensi amministrativi, può essere disconosciuta “totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i componenti appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”. Secondo il Fisco, pertanto, i compensi amministrativi sono sempre sindacabili, anche sotto il profilo quantitativo.

In tal senso, viene richiamata, infatti, l’eventuale «sproporzione» di tali emolumenti, su cui potrebbe intervenire l’Ufficio in sede di controllo della posizione fiscale.

È appena il caso di osservare che la Direzione Centrale Normativa, con la citata risoluzione, non ha soltanto affermato che la deducibilità dei compensi amministrativi è disconoscibile, in sede di controllo, quando gli importi appaiono insoliti o sproporzionati, ma anche quando detti emolumenti sembrano “strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”.

 

Come rilevato da attenti osservatori12, tale formulazione testuale non può che richiamare la disciplina dell’abuso del diritto. È ormai noto che, secondo la Cassazione, il divieto di abuso del diritto è un principio immanente nell’ordinamento tributario, che discende direttamente dal principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione13.

Tuttavia, gli Ermellini, ancora recentemente, hanno stabilito che l’applicazione del principio giurisprudenziale dell’abuso del diritto, inteso come non ammissibilità per l’ordinamento tributario dell’utilizzo distorto dell’autonomia contrattuale e della libera iniziativa privata con finalità esclusivamente rivolte al risparmio d’imposta, comporta per l’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente, al quale compete allegare le finalità perseguite diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario14.

Se l’Agenzia delle Entrate decidesse, quindi, di invocare l’abuso di diritto per disconoscere la deducibilità dei compensi amministrativi ritenuti non congrui, questa dovrebbe adeguatamente argomentare circa le ragioni che inducono a ritenere che l’erogazioni di compensi amministrativi nella misura stabilita costituisca un abuso di diritto, adempiendo così al suo onere probatorio. Soltanto se il Fisco supera tale prova la contestazione diviene legittima e l’onere probatorio si ribalta sul contribuente.

 

 

Trattamento fiscale dei compensi amministrativi

Articolo 95, comma 5, del TUIR

I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, del TUIR sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti; quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili, anche spettanti ai promotori e soci fondatori, sono deducibili anche se non imputati al conto economico.

Circ. 57/E del 18 giugno 2001 (par. 7.1)

Come già chiarito nella circolare n. 7/E del 26 gennaio 2001, i compensi percepiti dall’amministratore entro il 12 gennaio 2002 saranno ugualmente deducibili dalla società nel periodo d’imposta 2001, in ossequio al principio di cassa “allargato”, che considera percepiti nel periodo d’imposta anche i compensi corrisposti entro il 12 gennaio dell’anno successivo.

Risoluzione 113/E del 31 dicembre 2012

Il comma 5 dell’articolo 95 del TUIR, disponendo che il componente negativo di reddito concorre alla formazione della base imponibile al momento in cui avviene l’erogazione, non mette in dubbio la deducibilità dei compensi erogati da soggetti IRES ai propri amministratori (il discorso è analogo per gli amministratori di Sas e Snc).

Tuttavia, resta fermo che, in sede di attività di controllo, l’amministrazione finanziaria può disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i compensi appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi.

Cass. 20748 del 25 settembre 2006

È consolidata giurisprudenza di questa Corte, condivisa in questa sede, che rientri nei poteri dell’Amministrazione finanziaria valutare la congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e procedere alla loro rettifica anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio di impresa, negando la deducibilità di costi sproporzionati ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, indicati nelle delibere o nei libri sociali o nei contratti con una rilevante divergenza tra il valore effettivo e il valore iscritto o riportato (ex multis, Cass. n. 11240/2002; Cass. n. 13478/2001; Cass. n. 12813/2000).

Cass. 24957 del 10 dicembre 2010

L’art. 95 del TUIR, in tema di deducibilità dei compensi spettanti agli amministratori, non contiene alcun riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali essi non possano essere deducibili, sicché nel sistema attuale la spettanza e la deducibilità dei compensi agli amministratori è determinata dal consenso che si forma o tra le parti o nell’ambito dell’ente sul punto, senza che all’amministrazione finanziaria sia riconosciuto un potere specifico di valutazione di congruità; la carenza di un siffatto specifico potere emerge dal confronto con la disposizione previgente, il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 59, il quale, nel prevedere che i compensi ai soci amministratori fossero deducibili nei limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci, potesse evitare possibili manovre elusive, attraverso la maggiorazione dei compensi agli amministratori-soci, sulla misura dell’imposta che faceva capo alla società.

L’eliminazione del riferimento a tale limite nel nuovo TUIR ha senza dubbio natura innovativa, poiché ha tolto all’amministrazione il potere di ricondurre ai prezzi di mercato previsti per gli amministratori non soci (prezzi facilmente individuabili nel concreto) i compensi sproporzionati.

La nuova disciplina ha, quindi, totalmente liberalizzato il concetto di spettanza ai fini della deducibilità. Atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, prevede ipotesi tassative fra le quali non rientra quella in esame, non si può riconoscere al Fisco il potere di valutare i compensi agli amministratori (in senso conforme Cass. 28595/2008).

Cass. 3243 dell’ 11 febbraio 2013

Questa Corte ha affermato (sent. 9497 del 11/04/2008) che rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con possibile negazione della deducibilità di un costo ritenuto insussistente o sproporzionato, non essendo l’Ufficio vincolato ai valori o ai corrispettivi indicati nelle delibere sociali o nei contratti.

Ha altresì ripetutamente ritenuto (Sent. 4554 e 26480 del 2010), che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, incombe al contribuente l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del DPR 597/1973, che del DPR 917/1986; e che, poiché rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria, in sede di accertamento, la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.

Tali principi non risultano incompatibili con la formulazione dell’art. 95, vigente pro tempore, secondo cui compensi spettanti agli amministratori delle società sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti.

Ed invero dall’eliminazione (in sede di redazione del Tuir) del riferimento del limite delle “misure correnti per gli amministratori non soci” consegue solo la liberalizzazione il concetto di spettanza ai fini della deducibilità.

Il mancato riferimento a tabelle o altre indicazioni vincolanti, che pongano limiti massimi di spesa, oltre i quali essi non possano essere deducibili, non confligge con i suesposti principi generali.

D’altro canto è inopponibile all’Amministrazione finanziaria il risultato elusivo ottenuto dalla impresa nel “conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr. Cass. 12622/2012; SS.UU. 30055/2008).

Di talché va in questa sede riaffermato che la deducibilità dei compensi degli amministratori non implica che gli uffici finanziari siano vincolati alla misura indicata in delibere sociali o contratti (Sent. 13478/2001 e 12813/2000), rientrando nei normali poteri dell’ufficio la verifica dell’attendibilità economica delle rappresentazioni esposte nel bilancio e nella dichiarazione.

 

13 maggio 2013

Alessandro Borgoglio

 

NOTE

1 Cass. 17.5.2000, n. 12813 (nello stesso senso: Cass. 30.10.2001, n. 13478).

2 In tal senso Cass. 28595/2008.

3 Cfr. Cass. 24597/2010.

4 Il rinvio è alle Cass. 9497/2008 e 12813/2000.

5 Vengono a tal proposito richiamate le Cass. 4554/2010, 11514/2001, 11240/2002.

6 L’articolo 95, comma 5, del nuovo TUIR prevede che “I compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”.

7 Cfr. Cass. Sez. 5 20/7/2012 n. 12622; Cass. SU 2.1.12.2008 n. 30055.

8 Cass. 9497/2008.

9 Cass. 4554/2010 e 26480/2010.

10 Si tratta di: società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e società di mutua assicurazione, nonché società europee di cui al regolamento CE n. 2157/2001 e società cooperative europee di cui al regolamento CE n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato; enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato; società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

11 In senso conforme: Cass. 13478/2001 e 12813/2000.

12 Cfr. D. Deotto, “Compensi eccessivi, niente sconti”, in Il Sole 24 Ore del 3 gennaio 2013, pag. 13.

13 Cfr. Cass. SS.UU. 30055/2008, Cass. n. 10257/2008 e n. 8772/2008.

14 Massima della Sent. della Cass. n. 1372 del 21 gennaio 2011.