Contratto d'appalto: l'IVA sulle ritenute a garanzia

quando diventano imponibili ai fini IVA le somme che il committente trattiene a garanzia e che eroga all’appaltatore dopo il collaudo dell’opera?

Con la sentenza n. 16977 del 5 ottobre 2012 (ud. 18 maggio 2011) la Corte di Cassazione affronta la questione relativa all’inquadramento fiscale, ai fini Iva, delle ritenute a garanzia, cioè le somme che il committente trattiene all’appaltatore, al fine di tutelarsi rispetto alla corretta esecuzione dell’opera ovvero all’esatto adempimento degli obblighi previdenziali.

 

Il processo

La contribuente impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di rettifica, col quale l’Ufficio recuperava l’IVA dovuta per l’anno 1999, in relazione all’omessa fatturazione degli importi della ritenuta a garanzia, operata dal committente, in relazione a lavori condotti in appalto e pagati sulla base di stati di avanzamento lavori.

L’adita C.T. di primo grado di Trento, accoglieva il ricorso, giusta decisione che, sull’impugnazione dell’Agenzia Entrate, veniva confermata dai Giudici di Secondo Grado.

In particolare, i Giudici di merito, riconoscevano che le somme ritenute a garanzia dal committente dei lavori, pur rappresentando un maturato economico dell’impresa, non potevano qualificarsi ricavi definitivi, ossia “corrispettivo“, poichè “non immediatamente esigibili, stante che la relativa liquidazione, in base a previsione contrattuale, non solo non poteva essere immediatamente effettuata, ma, oltretutto, restava subordinata al positivo esito del successivo collaudo delle opere e dell’esatto adempimento del contratto”.

Con ricorso l’Agenzia Entrate ha chiesto la cassazione dell’impugnata decisione, per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6 e 13, nonchè dell’art. 10 della Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n.77/388/CE. Sostiene l’A.F. che, ai sensi del combinato disposto delle citate norme, nel caso di specie, l’IVA è dovuta sull’intera somma contabilizzata nello stato di avanzamento lavori, ancor quando, parte di essa non venga liquidata e venga trattenuta a garanzia dell’esatta esecuzione dell’appalto.

 

I motivi della decisione

Rileva il Collegio, che, come è agevole desumere dalla relativa lettura, l’impugnata sentenza, ha ritenuto ed affermato che l’importo della ritenuta a garanzia, non va considerato corrispettivo, trattandosi di somma che in base al contratto di appalto ha una specifica destinazione, assolvendo alla finalità di garantire il committente per la corretta esecuzione del contratto stesso, e, fra l’altro, per eventuali vizi dei lavori previsti ed eseguiti e/o per possibili danni.

In buona sostanza, i Giudici di appello hanno ancorato la loro decisione alla particolare clausola contenuta nel contratto di appalto, alla cui stregua, non solo l’importo della ritenuta a garanzia non è immediatamente esigibile e non può essere considerata “corrispettivo“, ma, addirittura, proprio in base al contratto, può divenire certa, liquida ed esigibile in tutto od in parte, ovvero incamerata definitivamente dal committente, solo in un momento successivo, all’esito del collaudo dei lavori appaltati e della verifica dell’esatto adempimento del contratto.

Il ricorso, con tutta evidenza, non aggredisce tale ratio, limitandosi a dedurre la violazione delle denunciate norme ed a sostenere che, trattandosi di somme corrisposte in acconto a “fronte della fornitura di una parte del servizio“, la base imponibile va determinata con riferimento alla scadenza del periodo cui l’acconto stesso si riferisce e, quindi, alla data dell’emissione del SAL.

Rileva, altresì, il Collegio che l’impugnata sentenza non giustifica la formulata censura, desumendosi dal disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, c. 3, per. 1 che “Le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo“. Tale disposizione di carattere generale, in relazione a fattispecie quale quella in esame, non risulta subire deroga, nè da parte della legislazione nazionale nè ad opera delle Direttive e dei principi Comunitari.

Nè a diverse conclusioni inducono le disposizioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13 c. 1, ed all’art. 10 par. 2 c. 2 della Direttiva 77/388/CEE. La prima, infatti, non solo riguarda la ben diversa questione della base imponibile delle prestazioni di servizi, ma, oltretutto, nell’ambito del relativo procedimento, valorizza la circostanza fattuale della previsione convenzionale, specificando che la relativa determinazione va fatta secondo le condizioni contrattuali.

La seconda disposizione, che attiene, invece, “all’esigibilità delle prestazioni, non solo non prevede espressamente alcuna deroga al regime delineato dalle anzi citate norme, che valorizzano la volontà contrattuale ed il concreto pagamento, ma, anzi, in buona sostanza, quello presuppone, senza che a diverso opinamento possa indurre il prospettato distinguo in tema di acconti, che risulta inconducente, stante la mancanza di definitività, liquidità ed esigibilità della ‘ritenuta a garanzia’“.

Peraltro, le prestazioni di servizi che riguardano, fra l’altro, gli enti pubblici territoriali, sono oggetto di specifica previsione (art. 6 cit. c. 5), in base alla quale, normalmente, “l’imposta diviene, esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi“.

Corretto è stato, quindi, nel caso, l’operato della società, che dopo avere provveduto a fatturare quanto incassato al netto della ritenuta a garanzia, come danno atto i giudici di appello, dopo il collaudo ha provveduto alla relativa fatturazione, esponendo e versando l’IVA dovuta”.

 

20 maggio 2013

Roberta De Marchi