L'autotutela tributaria: cos'è e come funziona

La gestione del potere di autotutela è un argomento complesso, proviamo a capire: a chi spetta iniziare l’azione di autotutela, qual è la discrezionalità degli uffici e se vi è responsabilità per il diniego di autotutela.

  1. Che cos’è l’autotutela tributaria

autotutela amministrazione finanziariaL’autotutela è il potere-dovere di annullamento dell’atto che l’A.F. riconosce illegittimi od infondati. L’annullamento è il ritiro con efficacia retroattiva (ex tunc) dell’atto inficiato da un vizio di legittimità. L’efficacia retroattiva si spiega con il fatto che, essendo il vizio di legittimità dell’atto, presente sin dal momento in cui l’atto stesso è stato emanato, si impone la rimozione di tale vizio con effetto ex tunc.

L’istituto dell’autotutela trae origine dal diritto amministrativo, dove l’autotutela è definita come la capacità dell’ente di “farsi ragione da sé” in via amministrativa, nel rispetto del principio di legalità.

L’autotutela costituisce un rapido sistema per prevenire le liti tributarie. Infatti, in tutti i casi in cui un atto (avviso di accertamento, p.v.c., cartella di pagamento, etc.) è palesemente illegittimo o errato (perché per esempio riguarda una tassa, un tributo o una multa regolarmente pagata) prima di presentare il ricorso alla competente Commissione tributaria, è possibile tentare di ottenerne l’annullamento presentando all’ufficio che ha emesso l’atto stesso domanda di autotutela.

Quindi, l’Ufficio competente che ha emesso l’atto, presa coscienza di aver commesso un sbaglio o che l’atto è illegittimo, può annullare o correggere l’errore senza bisogno di andare dal giudice tributario.

Nella giurisprudenza, è consolidato il principio che il potere di annullamento d’ufficio può essere esercitato senza limiti di tempo, previo accertamento dell’attualità dell’interesse pubblico.

Tale accertamento è discrezionale, comparando l’interesse al rispetto della legge con quello dei destinatari dell’atto.

In materia tributaria è difficile individuare un interesse pubblico specifico, idoneo a giustificare il sacrificio degli interessi della P.A. a mantenere l’atto ritenuto illegittimo.

L’interesse dell’A.F. è che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (art.53 Cost.).

  1. Quali sono le norme che disciplinano l’autotutela?

La disciplina dell’autotutela, all’origine, era data dall’art.68, dpr n.287 del 27.03.92, successivamente abrogato dall’art.23, 1^ c., lett.m), n.7, dpr n.107 del 26.03.2001.

Successivamente, è stata riformulata dall’art.2-quater, D.L. n.564 del 30.09.1994, il quale ha previsto che:

1. Con decreti del M.F. sono indicati gli organi dell’A.F. competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione. 1-bis. Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell’atto che appaia illegittimo o infondato. 1-ter.

In attuazione della s.d. legge è stato emanato il D.M. n.38 dell’11.02.97 concernente il Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria, in base al quale:

Art. 1 (Organi competenti per l’esercizio del potere di annullamento e di revoca d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento):

Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento spetta all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia, alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende.

Art. 2 (Ipotesi di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento):

L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro:

  1. errore di persona;

  2. evidente errore logico o di calcolo;

  3. errore sul presupposto dell’imposta;

  4. doppia imposizione;

  5. mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;

  6. mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;

  7. sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;

  8. errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione.

Non si procede all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria.

Art. 3 (Criteri di priorità):

Nell’attività di cui all’art.2 è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso.

Art. 4 (Adempimenti degli uffici):

Nel caso in cui l’importo dell’imposta, sanzioni ed accessori oggetto di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento o della agevolazione superi lire un miliardo, l’annullamento è sottoposto al preventivo parere della direzione regionale o compartimentale da cui l’ufficio dipende.

Dell’eventuale annullamento, o rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, è data comunicazione al contribuente, all’organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso nonché – in caso di annullamento disposto in via sostitutiva – all’ufficio che ha emanato l’atto.

Art. 5 (Richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento):

Le eventuali richieste di annullamento o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento avanzate dai contribuenti sono indirizzate agli uffici di cui all’art.1; in caso di invio di richiesta ad ufficio incompetente, questo è tenuto a trasmetterla all’ufficio competente, dandone comunicazione al contribuente.

L’articolo 2 del D.M. 37/97 elenca le ipotesi di annullamento d’ufficio, anche senza necessità di istanza di parte. Tuttavia, l’elenco degli atti annullabili è indicativo perché qualsiasi atto sbagliato va annullato.

L’unico limite è costituito dall’esistenza di un giudicato sostanziale, che va inteso nel senso che l’ufficio finanziario abbia comunque il potere-dovere di autotutela per motivi diversi da quelli accertati e valutati dal giudice, nonostante sia stata emessa una decisione di merito passata in giudicato ad esso (Ufficio) favorevole.

La Circ. n.198/S del 05.08.98 ha chiarito che qualunque atto viziato deve essere d’ufficio annullato anche se:

  1. l’atto è divenuto definitivo per avvenuto decorso dei termini per ricorrere;

  2. il ricorso è stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di ordine formale (inammissibilità, irricevibilità improcedibilità, ecc.);

  3. vi è pendenza di giudizio;

  4. non è stata prodotta in tal senso alcuna istanza da parte del contribuente.

Ai fini dell’autotutela, all’ufficio

«è attribuito il solo e unico compito di verificare, in modo del tutto autonomo e indipendente (…) se l’atto è legittimo o meno». Se la pretesa è infondata in tutto o in parte, essa va ritirata o ridotta «in modo da ristabilire un corretto rapporto con il contribuente, il quale non può essere chiamato al pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge».

  1. Chi può attivare l’autotutela?

L’autotutela può essere attivata dallo stesso Ufficio finanziario o dal contribuente, fermo restando che l’istanza del contribuente, a differenza dell’istanza di accertamento con adesione, non sospende i termini per presentare ricorso o per il pagamento delle sanzioni in misura ridotta.

L’annullamento dell’atto travolge, con effetto ex tunc, tutti gli atti altri atti conseguenziali e comporta l’obbligo di restituzione delle somme indebitamente riscosse, con i relativi interessi.

  1. L’autotutela ha contenuto discrezionale?

In campo amministrativo la giurisprudenza ha riconosciuto all’autotutela un contenuto meramente discrezionale.

In sede tributaria, si sostiene che qualora l’atto sia stato ritualmente impugnato dal destinatario, l’esercizio dell’autotutela rappresenta un diverso meccanismo per estinguere le controversie prima che queste siano decise dal giudice (Cass. n.1547 del 02.02.02). Sotto questo aspetto, l’ufficio si basa sul principio di economicità dell’azione amministrativa, nonché della previsione di dover rimborsare le spese processuali in caso di soccombenza.

Nel caso di accertamento divenuto definitivo, per mancata impugnazione dell’atto, l’Ufficio deve contemperare l’esigenza di certezza dei rapporti con quella di salvaguardare situazioni giuridiche meritevoli di tutela, considerando in modo particolare la gravità dei vizi di illegittimità dell’atto, per evitare che l’istituto dell’autotutela si trasformi, come affermato da R.Lupi, in una indiscriminata scappatoia per riproporre qualsiasi eccezione dalla quale il contribuente sia decaduto.

Secondo F.Moschetti, in diritto tributario, a monte del potere di autotutela, non ci sarebbe un potere discrezionale, poiché l’A.F. non deve ponderare interessi, come avviene in diritto amministrativo, ma deve agire in conformità del principio di legalità che impone di ritirare le pretese tributarie illegittime.

Il dovere dell’Ufficio finanziario di annullare gli atti illegittimi deriva dai limiti posti dalla Costituzione:
  • di cui all’art.23, in base al quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge;

  • di cui all’art.53, in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva;

  • di cui all’art.97, in base al quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Inoltre, bisogna tenere conto del principio di buona fede previsto dall’art.10, L.212/2000 (Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente), in base al quale i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede. Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria. Dal quale, secondo la dottrina, dovrebbe desumersi “l’obbligo di ritirare l’atto impositivo illegittimo”.

  1. Il diniego di autotutela: di chi è la competenza?

Dal tenore letterale dell’art.19, d.lgs. 546/92, si evince che il rifiuto di autotutela non rientra tra gli atti impugnabili.

L’elenco di cui all’art.19, d.lgs. 546/92 contiene solo una serie di “atti tipici” che però non esaurisce l’insieme degli atti autonomamente impugnabili di fronte ai giudici tributari.

Si evidenzia che:

  • diniego di autotutelaai sensi dell’art. 2, 1^ c., d.lgs. 546/92 (Oggetto della giurisdizione tributaria), “appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonche’ le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio”.

  • ai sensi dell’art.19, 3^ c., d.lgs. 546/92, gli atti diversi da quelli sopra elencati non sono impugnabili autonomamente, ma il loro contenuto può essere contestato in sede di ricorso avverso l’atto impugnabile (ruolo e cartella di pagamento) che si sia basato su di essi;

  • in origine, l’indirizzo maggioritario di dottrina e giurisprudenza si era espresso a favore della tassatività dell’elencazione data dall’art.19, d.lgs. 546/92;

  • nel tempo, tuttavia, anche avuto riguardo alle recenti modifiche legislative, la giurisprudenza di legittimità ha espresso e consolidato un nuovo orientamento, statuendo che

    “l’elencazione degli atti impugnabili di fronte al giudice tributario, non esclude la facoltà del contribuente di impugnare davanti al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco” a condizione, però, “che l’atto contenga la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria, come dei relativi accessori” e precisando, altresì che “la mancata impugnazione di un atto non espressamente indicato nell’art.19 non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art.19” (Cass., sent. 08.10.07, n.21405).

In merito al diniego espresso o tacito di autotutela in presenza di atti di accertamento definitivi, le SS.UU. Cass., n.16776 del 220.08.05, hanno affermato che:

  • per effetto di tale ampliamento “la giurisdizione tributaria è così divenuta, nell’ambito suo proprio, una giurisdizione a carattere generale, competente ogni qual volta si controverta di uno specifico rapporto tributario, o di sanzioni inflitte da uffici tributari. Sicchè, restano al di fuori di tale giurisdizione solo controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale (art.5, 5^ c., ultimo periodo d.lgs. 546/92, o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, e di cui l’amministrazione riconosce pacificamente la spettanza al contribuente.

  • La riforma operata dalla L.448/2001, ha poi necessariamente operato una modifica dell’art.19, d.lgs. 546/92, nel senso che, avendo consentito l’accesso al contenzioso tributario in ogni controversia avente ad oggetto tributi, comporta la possibilità per il contribuente di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta l’amministrazione manifesti, anche attraverso la procedura del silenzio-rigetto, la convinzione che il rapporto tributario, o relativo a sanzioni tributarie, debba essere regolato in termini che il contribuente ritenga di contestare, in assenza di simile manifestazione di volontà espressa o tacita non sussisterebbe l’interesse del ricorrente ad agire in giudizio ex art.100 c.p.c.”.”.

Dall’esame di quanto affermato dalle SS.UU. Cass., si ritraeva l’assunto che era ammissibile il ricorso avverso il diniego di autotutela in presenza di eventi sopravvenuti che imporrebbero il ritiro dell’atto impositivo divenuto definitivo.

Successivamente, le SS.UU. Cass., n.7738 del 27.03.07, hanno affermato che il giudice tributario ha il potere di sindacare

“non solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria, ma prima di tutto il corretto esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, nei limiti e nei modi in cui l’esercizio di tale potere può essere suscettibile di controllo giurisdizionale”.

In particolare:

  1. diniego esplicito di annullamento, senza prendere in esame la fondatezza della pretesa tributaria. In questa ipotesi il giudice tributario può esercitare un sindacato soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria;

  2. rifiuto esplicito di annullamento che confermi la fondatezza della pretesa tributaria. In questa ipotesi il giudice tributario può sindacare la pretesa tributaria, e qualora tale fondatezza sia esclusa dal giudice, l’A.F. dovrà adeguarsi a tale pronuncia;

  3. diniego tacito (silenzio) di annullamento. In questa ipotesi non sarebbe esperibile alcun rimedio giurisdizionale, in quanto “il carattere discrezionale del ricorso all’autotutela comporta, altresì, l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-rifiuto, non esistendo, all’epoca dell’atto impugnato, alcuna previsione normativa specifica in materia”.

  1. E’ impugnabile il diniego di autotutela del Fisco?

La Suprema Corte, con le sentenze n.2870 del 06.02.09 e n.3698 del 16.02.09, ha ritenuto non impugnabile il diniego di autotutela dell’A.F., in quanto

“avverso l’atto con il quale L’amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo … non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”.

La Cass. n.19740 del 13.11.2012, ha confermato che:
  • Nel determinare i corretti limiti del sindacato giurisdizionale in ordine ai provvedimenti di diniego di autotutela, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che: “Il contribuente che richiede all’A.F. di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza dì un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11457 del 12/05/2010).

  • Nello specifico, il giudice del merito non ha fatto applicazione dell’anzidetto principio, limitandosi a prospettare in via generale quali sono le ragioni a fondamento dell’istituto dell’autotutela, ma omettendo di evidenziare quali fossero nella concreta specie di causa le ragioni utili a connotare di illegittimità il rifiuto di autotutela, salvo analizzare poi nel merito la fondatezza dell’esercizio del potere impositivo, alla luce delle risultanze dell’istruttoria espletata nel processo penale parallelo a quello tributario. In tal modo opinando, l’anzidetto giudice di merito ha dato di fatto ingresso, ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo, così erroneamente legittimando un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009: Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009).

Tuttavia, si evidenzia che il diniego di autotutela, anche in presenza di accertamento divenuto ormai definitivo, può essere censurato quando la pretesa impositiva sia palesemente infondata, oppure sia scaturita da errori di fatto emergenti prima facie senza alcuna valutazione di merito (Cfr. CTP Alessandria, n.72 del 23.07.09; CTP Savona n.4 del 20.01.09; CTR Roma n.490 del 03.12.08).

La Cassazione, ordinanza n.10020 del 18.06.2012:
  • pur ribadendo il principio generale per cui avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è sicuramente esperibile una autonoma tutela giurisdizionale – sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perché, diversamente opinando, si darebbe il via a una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo;

  • ne ammette, tuttavia, l’impugnabilità, ma solo per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto stesso, connessi all’esistenza di un pubblico interesse dell’Amministrazione all’annullamento dell’atto definitivo.

  • Il ricorso contro il diniego di annullamento di un avviso di accertamento divenuto definitivo è legittimo soltanto quando il ricorrente dimostri un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto stesso.

La C.T.R. di Bari, sent. N.3/2012, ha affermato che:
  • l’Amministrazione finanziaria deve esercitare il potere di autotutela ogniqualvolta l’atto impositivo emesso risulti illegittimo, anche se su di esso si è già formato il giudicato.

  • in base all’art.2-quater, D.L.564/1994 e al D.M. n.37/1997, l’autotutela costituisce un rimedio generale a mezzo del quale l’A.F. tutela autonomamente l’interesse pubblico di cui è portatrice, annullando o correggendo i propri atti illegittimi in ossequio ai principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità. Non si tratta di un potere discrezionale, ma di un dovere, soprattutto in presenza di errori evidenti dei suoi atti. La mancata autotutela nei casi previsti, infatti, espone il Fisco all’azione risarcitoria (Cass.698/2010 e 5120/2011).

Inoltre, in merito all’ipotesi specifica dell’esistenza di una sentenza passata in giudicato, il Collegio regionale ha osservato che:

  • mentre il previgente art.68, 1^ c., DPR 287/1992 escludeva genericamente l’esercizio dell’autotutela nel caso in cui “sia intervenuto giudicato”;

  • l’attuale art.2, 2^ c., D.M. n.37/1997, invece, reca una formulazione negativa, stabilendo che “non si procede all’annullamento d’ufficio … per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione”, riconoscendo così implicitamente l’autotutela in relazione a tutti gli altri motivi diversi da quelli esaminati o accertati dal giudice.

Per i giudici baresi, quindi, il diniego di autotutela del Fisco era illegittimo. Ma, di fatto, atto impositivo e cartella sono rimasti “in piedi”.

Peraltro, non avrebbero potuto decidere diversamente, poiché, come stabilito dalla Cassazione:

  • il ricorso contro il diniego di autotutela, di competenza del giudice tributario, può solo dar luogo, da parte di quest’ultimo, a un sindacato sulla legittimità del rifiuto e non sul merito della pretesa, dato che la possibilità di valutare il diniego non è un rimedio sostitutivo dell’ordinario ricorso contro l’atto impositivo (Cass. 26313/2010).

Secondo la Cass. sent. N.26313 del 29.12.10:
  • l’autotutela tributaria è espressione di un potere- dovere di ripristino della legalità violata, incidente sul diritto del contribuente, e pertanto, anche ai sensi della L.212/2000, art.7, grava sulla Amministrazione l’obbligo di dare corso alla relativa istanza fornendo motivata risposta.

  • le controversie in materia di autotutela rientrano nella giurisdizione tributaria, come si evince anche dalla sentenza di questa Corte n.14332/2005, e si pongono come un rimedio giudiziale straordinario, per cui la illegittimità del diniego di autotutela, ove ricorrano – come nella specie – le condizioni per l’annullamento dell’atto, rende illegittima la pretesa fiscale in tale atto contenuta (nella specie, la cartella di pagamento);

  • la posizione del contribuente in ordine ad un atto di autotutela non costituisce diritto soggettivo perfetto ma interesse legittimo, che potrà trovare tutela nell’ambito della Giurisdizione Tributaria, e non amministrativa, per effetto della riserva di legge sopra menzionata, rimanendo tuttavia sottoposta ai limiti di sindacabilità degli atti discrezionali, ovvero nell’ambito della legittimità dell’operato della Amministrazione (anche in caso di inerzia) e non del merito, non essendo ammissibile la sostituzione del Giudice Tributario alla Amministrazione nella adozione di un atto di autotutela;

  • il sindacato del mero rifiuto dell’esercizio di autotutela deve limitarsi all’esame della legittimità della condotta omissiva, e non può estendersi al merito, ovvero a valutare la fondatezza della pretesa tributaria del contribuente.

Dagli enunciati principi discende che:

  • l’esercizio del sindacato sulla attività di autotutela costituisce procedimento autonomo e ben distinto dal procedimento di impugnazione di un atto impositivo, con cui non interferisce;

  • in ogni caso non costituisce un mezzo di tutela del contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.

  1. Sussite responsabilità della P.A. in caso di non tempestivo esercizio del potere di autotutela?

SE L’ATTO DELL’UFFICIO E’ DIVENUTO DEFINITIVO LA POSIZIONE GIURIDICA DEL CONTRIBUENTE E’ PROTETTA?.

La Suprema Corte con la sent. N.698 del 19.01.10, ha affermato che:

  • il non tempestivo esercizio del potere di autotutela può essere idoneo a determinare una colpevole e ingiusta lesione dei diritti del contribuente, ritenendo pertanto che “ove il provvedimento di autotutela non venga tempestivamente adottato, al punto di costringere il privato ad affrontare spese legali e d’altro genere per proporre ricorso e per ottenere per questa via l’annullamento dell’atto, la responsabilità della P.A. permane ed è innegabile”.

  • Inoltre, ha confermato la sussistenza del potere del giudice ordinario di conoscere e valutare tali questioni, in quanto “non si tratta dell’indebita interferenza della giurisdizione sulle modalità di esercizio del potere amministrativo, ma dell’accertamento che il danno conseguente all’atto illegittimo ha esplicato tutti i suoi effetti, per non essere la P.A. tempestivamente intervenuta ad evitarli, con i mezzi che la legge le attribuisce”.

Tale orientamento presume il risarcimento dei danni conseguenti all’attivazione di un procedimento di annullamento in autotutela, in quanto l’esistenza di un atto contra legem imporrebbe all’Amministrazione emittente l’obbligo di valutarne la fondatezza e la legittimità e di procedere alla sua eliminazione ogni qual volta esso risulti emesso in violazione del principio del neminem ledere, sancito dall’art.2043 c.c., in base al quale “qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, dovendosi ravvisare il danno ingiusto nelle spese indebitamente sopportate dal contribuente per l’instaurazione della relativa controversia (in tal senso Cass. n.5120 del 03.03.11).

Si evidenzia che, in questi casi, l’esito favorevole del giudizio:

  • assicura al contribuente soltanto l’annullamento del provvedimento di diniego di autotutela o la valutazione di illegittimità della condotta omissiva dell’A.F., in caso di mancato riesame del provvedimento.

  • Il giudice non può sostituirsi all’A.F. annullando l’atto originario, ma può soltanto obbligare l’ufficio a pronunciarsi o a vagliare la legittimità del diniego espresso.

In sostanza, l’eventuale pronuncia del giudice tributario potrebbe eliminare il diniego di autotutela, ma non l’atto impositivo, in quanto oggetto di impugnazione non è l’atto originario (divenuto definitivo) ma il nuovo atto (diniego di autotutela).

Si evidenzia che:

Secondo il TAR Toscana, decisione n.767 del 22.10.99 l’autotutela costituisce uno strumento che contribuisce ad attuare “un sistema di rapporti tra Fisco e contribuente improntato a criteri di giustizia fiscale sostanziale prevalente su quella formale”. In presenza di un atto illegittimo, il contribuente ha una posizione giuridica protetta, anche se non ha presentato ricorso.

Secondo la Cassazione, sent. N.2575 del 29/03/90, se un’autorità giurisdizionale dello Stato ha riconosciuto l’atto di accertamento illegittimo in quanto oggettivamente errato, non è corretto e nemmeno onesto perseguitare il contribuente con pretese ingiuste.

La Circ. n.195/S del 05/08/1998, ha ricordato agli uffici «che non tengono conto della normativa vigente» e, in particolare del D.M. sull’autotutela n.37 dell’11/02/97, che l’atto sbagliato è annullabile senza limiti di tempo. Autotutela significa ascoltare le ragioni del cittadino quando è la stessa amministrazione che deve rimediare a un proprio errore ed eliminare liti inutili.

Il regolamento sull’autotutela (D.M. 37/97) riconosce il principio che chi ha il potere di fare ha anche il dovere-potere di disfare o di correggere il suo errore.

L’autotutela non è un “optional” che può essere usato o non usato a discrezione dei funzionari: l’atto sbagliato è sempre annullabile e chi ha pagato ha diritto al rimborso.

Approfondisci: 
Vademecum per gestire un’istanza di autotutela
Il provvedimento di rifiuto dell’autotutela non è impugnabile
Impugnazione del diniego di autotutela

 

15 aprile 2013

Antonino Pernice