Evasione fiscale: senza pagamento niente circostanza attenuante

In caso di contestazione di reati tributari, se il contribuente paga il debito tributario contestato (anche mediante gli istituti deflattivi del contenzioso), gode di un’attenuante nel processo penale.

Con la sentenza n. 176 del 7 gennaio 2013 (ud. 5 luglio 2012) la Corte di Cassazione non ha concesso lo sconto di pena, ex art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, se il contribuente non ha prima provveduto a pagare per intero quanto dovuto.

 

IL FATTO

Con sentenza del 7 luglio 2011, la Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Udine, che ha condannato l’imputato alla pena di mesi quattro di reclusione, dichiarandolo colpevole del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, nella qualità di legale rappresentante della società N.W. S.r.l., al fine di evadere le imposte sui redditi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indicato nella dichiarazione relativa ai fini delle imposte dirette presentata per l’annualità 2004, elementi passivi fittizi riconducibili alla fattura nr. 11, emessa dalla ditta V.M. in data 28 febbraio 2005, per un importo complessivo di € 4.400 (imponibile € 3.370 ed I.V.A. 20% € 740), importo imponibile, contabilmente imputato all’esercizio 2004, in quanto riferito a lavorazioni eseguite in tale annualità ma fatturate nel 2005 (conto: “fatture da ricevere”).

Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi.

1) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Il ricorrente ha sostenuto che difetterebbe il dolo della fattispecie contestata, non avendo egli agito al fine di evadere l’imposta sui redditi. Il ragionamento giuridico seguito dal giudice di merito si fonderebbe, infatti, su un travisamento pacifico della sequenza dei fatti, poiché nella dichiarazione dei redditi 2005 relativa al periodo d’imposta 2004, l’imputato si sarebbe avvalso solo della fattura n. 11, mentre se effettivamente avesse perseguito fine illecito, avrebbe indicato nella stessa dichiarazione gli elementi passivi fittizi riconducibili a tutte le altre fatture.

2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in particolare, D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, e D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe motivato con riferimento al diniego della circostanza attenuante di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13. Non sarebbe stata presa in considerazione il fatto che la società avrebbe fatto ricorso allo strumento giuridico di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, istituto che consente di correggere gli errori derivanti dalla dichiarazione presentata in precedenza nei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e ciò avrebbe consentito di ritenere sussistenti i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13.

3) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per violazione dell’art. 133 c.p., e L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, poichè la determinazione del trattamento sanzionatorio risulterebbe illogica. Infatti, un fatto oggettivamente modesto, privo di conseguenze economicamente significative per l’Erario, è stato punito duramente nonostante il contribuente avesse tenuto un comportamento penalmente irrilevante quale l’annotazione in contabilità, adoperandosi poi per non delinquere.

 

IL DIRITTO

Per la Suprema Corte, il ricorso è infondato, in quanto le censure prospettate dal ricorrente tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato.

Secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità, in sede di controllo sulla motivazione, non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili.

“Alla luce dei principi sopra richiamati, questa Corte ritiene, che il primo motivo di ricorso sia infondato. I giudici di merito hanno correttamente illustrato le ragioni poste a base della declaratoria di responsabilità dell’imputato, avendo evidenziato come quest’ultimo, nella sua qualità di legale rappresentante della società “N.W. S.r.l.U.”, aveva intrattenuto rapporti illeciti con il V. ed il fatto che lo stesso fosse al corrente della falsità della fattura oggetto di contestazione, come confermato dalle dichiarazioni rese dalla madre dell’imputato alla Guardia di Finanza, e soprattutto alla luce del verbale di acquisizione di documentazione redatto dalla Guardia di Finanza, in cui il R. aveva dichiarato di aver contabilizzato la fattura in questione quale costo di competenza del 2004 su precisa indicazione della società stessa.

Sotto il profilo soggettivo, la sentenza impugnata ha evidenziato come l’imputato avesse utilizzato solo quella fattura, in quanto l’operazione fittizia ivi indicata, e solo quella, poteva essere riferita al periodo di imposta 2004, mentre per tutte le altre fatture il relativo importo avrebbe potuto essere utilizzato solo con la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2005”.

Del pari risulta infondato il secondo motivo di ricorso atteso che, in tema di reati finanziari, secondo la precedente giurisprudenza (cfr. Sez. 3, n. 30580 del 13/05/2004, Pisciotta, Rv. 229355),

“l’attenuante prevista dal D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, art. 13, non è applicabile in caso di adesione all’accertamento, atteso che la stessa è subordinata all’Integrale estinzione del debito tributario mediante il pagamento, anche nel caso in cui il contribuente abbia espletato le speciali procedure conciliative previste dalle norme tributarie.

Di conseguenza, i giudici di merito correttamente hanno escluso l’applicazione dell’attenuante in parola, avendo dato conto del fatto che non l’imputato non ha estinto integralmente il debito tributario”.

Privo di fondamento è anche l’ultimo motivo di ricorso.

La gradazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, come pure la conversione della pena detentiva (L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e ss.) è anch’essa rimessa al potere discrezionale del giudice del merito, il quale deve valutare i presupposti legittimanti quali l’idoneità della sostituzione al fine del reinserimento sociale del condannato e della prognosi positiva circa l’adempimento delle prescrizioni applicabili (Sez. 5, Sentenza n. 528 del 23/11/2006, Ferraro, Rv. 235695). Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha evidenziato, con motivazione congrua, come l’imputato, pur indicando una sola fattura nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2004,

“con l’annotazione in contabilità di altre fatture false ha manifestato un’ampia disponibilità ad avvalersi di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte e di conseguenza ha ritenuto che la sanzione inflitta fosse adeguata, mentre la sola sanzione pecuniaria non avrebbe esplicato alcuna efficacia deterrente”.

 

Reati tributari – Brevi note

La disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, introdotta dal D.Lgs. n. 74 del 10.03.2000, che ha operato un radicale rovesciamento dei principi che stavano alla base del D.L. 10.07.82 n.429, convertito nella legge 7 agosto 1982 n.516, è stata, come è noto, rivista dall’emendamento della maggioranza approvato al Senato, al D.L. n. 138 del 13 agosto 2011.

L’art. 13, del D.Lgs. n. 74/2000, titolato “Circostanza attenuante. Pagamento del debito tributario” prevede (al comma 1) chele pene previste per i delitti di cui al citato decreto legislativo n.74/2000 sono diminuite fino ad un terzo (prima della metà) e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Il successivo comma 2 dispone che, a tale fine, il pagamento deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’articolo 19, comma 1.

Come rilevato dalla circolare n.154/2000, il legislatore delegato, anziché configurare la condotta risarcitoria quale causa di estinzione del reato, ha ricollegato ad essa l’applicazione di circostanze attenuanti, in modo da garantire la tenuta del sistema nei confronti di coloro che commettono il reato confidando nella possibilità di “monetizzarne” le eventuali conseguenze penali.

Fermo restando il riferimento “ai fatti costitutivi dei delitti”, per debiti tributari si devono intendere le somme dovute secondo la disciplina tributaria a titolo di imposte e relativi interessi, nonché di sanzioni amministrative come espressamente previsto dall’articolo 13, comma 2, anche in deroga al principio di specialità.

In virtù della formula normativa “aperta” (per le Entrate vedi C.M. n. 154/2000) devono ritenersi applicabili tutte le tipologie di definizione dei rapporti tributari, quali l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, l’acquiescenza da parte del contribuente e il ravvedimento, nonché tutte quelle, eventuali, di futura introduzione.

Il pagamento del debito tributario è effettuato secondo le regole e le modalità proprie della tipologia di definizione adottata. Nei casi previsti è quindi ammessa la compensazione introdotta dall’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241.

Al fine di evitare un’indebita fruizione del beneficio penale, la C.M. n. 154/2000 segnala l’esigenza che siano attentamente riscontrati l’esistenza dei crediti compensati e la congruità della garanzia prestata in caso di pagamento rateale.

Poiché l’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 nulla specifica in ordine al soggetto che può effettuare il pagamento, le Entrate ritengono che anche un soggetto diverso dall’autore della violazione possa estinguere i debiti tributari in argomento.

Per quanto riguarda le modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari, è stato emanato, ai sensi dell’art. 22 del decreto legislativo n. 74/2000, il decreto ministeriale 13 giugno 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 del 17 giugno 2000, L’articolo 1 di detto decreto stabilisce che il pagamento del debito tributario è documentato mediante una dichiarazione redatta in carta semplice in conformità al modello approvato con lo stesso decreto. La dichiarazione, da consegnare a cura del dichiarante all’ufficio giudiziario, deve recare in calce l’attestazione rilasciata dal competente ufficio finanziario dell’avvenuta estinzione del debito tributario.

 

19 gennaio 2013

Francesco Buetto