L'avvocato che suggerisce come evadere l’IVA compie reato di infedele patrocinio. Attenzione anche ai commercialisti…

Commette il reato di infedele patrocinio l’avvocato che consiglia al proprio assistito, indagato per bancarotta fraudolenta e frode fiscale, di presentare una dichiarazione fraudolenta ai fini dell’IVA, per non ingenerare sospetti rispetto alle precedenti dichiarazioni non veritiere. Non rileva l’assenso del cliente.

avvocato reato di infedele patrocinioCommette il reato di infedele patrocinio l’avvocato che consiglia al proprio assistito, indagato per bancarotta fraudolenta e frode fiscale, di presentare una dichiarazione fraudolenta ai fini dell’IVA, per non ingenerare sospetti rispetto alle precedenti dichiarazioni non veritiere. Non rileva l’assenso del cliente.

E’ quanto emerge dalla sentenza numero 6703, pubblicata dalla Sezione Sesta Penale della Cassazione il 20 febbraio 2012.

 

La sentenza

Commette il reato di infedele patrocinio l’avvocato che consiglia al proprio assistito, indagato per bancarotta fraudolenta e frode fiscale, di presentare una dichiarazione fraudolenta ai fini dell’IVA, per non ingenerare sospetti rispetto alle precedenti dichiarazioni non veritiere. Non rileva l’assenso del cliente.

E’ quanto emerge dalla sentenza numero 6703, pubblicata dalla Sezione Sesta Penale della Cassazione il 20 febbraio 2012.

 

Accusa mossa nei confronti del legale: infedele patrocinio

Infedele patrocinio, reato previsto e punito dall’articolo 380, comma 3 del Codice penale, unitamente alla violazione dell’articolo 36 del Codice deontologico forense, norma con la quale viene sancito il dovere professionale di correttezza.

A parere della Cassazione, l’obbligo dell’avvocato di difendere gli interessi dell’assistito incontra il limite dell’osservanza della legge.

Infatti, il codice deontologico forense, al citato art. 36, statuisce che l’assistenza dell’avvocato al proprio cliente deve essere eseguita nel miglior modo possibile, tuttavia nel limite del mandato e nell’osservanza “della legge e dei principi deontologici”.

 

L’intervento della Cassazione ha avuto origine dai seguenti fatti di causa.

 

Galeotto fu “il consiglio”

In riforma delle sentenza del Tribunale di Trento che lo aveva invece assolto, la Corte d’appello dichiarava responsabile un avvocato per il reato di cui all’art. 380, comma 3 c.p., condannandolo a un anno di reclusione e 516 euro di multa. In particolare, il reato di infedele patrocinio si era configurato in capo al professionista:

  • per avere questi consigliato al proprio assistito – all’epoca dei fatti imputato
    dei reati di bancarotta fraudolenta e frode fiscale – di presentare una dichiarazione IVA infedele.
    Ad avviso della Corte d’appello trentina, l’avvocato aveva agito:
  • per rendere meno evidenti le infedeltà delle precedenti dichiarazioni che avrebbero, di fatto, comportato una sorta di confessione indiretta del suo cliente.

Per il giudice di secondo grado tale condotta aveva comportato una violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 36 del Codice Deontologico forense, che, nel caso specifico, aveva cagionato un danno al cliente, integrando così la fattispecie di cui all’art. 380 c.p.

 

Ai sensi dell’articolo 380 del codice penale:

Il patrocinatore o il consulente tecnico, che rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516.

La pena è aumentata

  1. se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
  2. se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a euro 1.032, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte o l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.

 

Patrocinio o consulenza infedele: delitto contro l’attività giudiziaria

Nell’interesse dell’imputato la difesa ricorreva per cassazione, deducendo due motivi.

Con il secondo, in particolare, lamentava che:

  • la sentenza di secondo grado aveva del tutto ignorato la consapevolezza del cliente circa la falsità della dichiarazione IVA di cui, secondo l’accusa, il professionista aveva consigliato la sottoscrizione.

Peraltro, non era stata interpretata in modo corretto la norma di cui all’articolo 380 del c.p. la quale richiede un nocumento del cliente dalla condotta del difensore che, nella specie, non era dato rinvenire.

 

I due punti chiave della difesa

  1. il cliente era consapevole dell’infedeltà della dichiarazione
  2. il cliente non aveva subito alcun nocumento dalla condotta del legale. Il reato ascritto al professionista non poteva pertanto dirsi configurato.

 

La decisione

Né la ricostruzione dei fatti operata dalla difesa dell’avvocato/imputato, né il dedotto consenso dell’assistito, hanno condotto la Corte a cassare la sentenza impugnata.

Gli Ermellini:

• “deve considerarsi integrato il reato di infedele patrocinio in quanto l’obbligo dell’avvocato di difendere gli interessi della parte assistita, incontra il limite dell’osservanza della legge: lo stesso codice deontologico forense, prevede all’art. 36, che l’assistenza dell’avvocato al proprio cliente deve essere condotta nel miglior modo possibile, ma nel limite del mandato ricevuto e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici”.

Dal che la Sesta Sezione Penale, investita dell’esame della questione, ha del tutto condiviso la sentenza di secondo grado laddove ha riconosciuto che la condotta posta in essere dall’imputato si era tradotta:

• “nell’istigazione a presentare una dichiarazione IVA non veritiera, che costituisce violazione del dovere di correttezza, previsto dalla norma deontologica, e realizza inoltre il nocumento agli interessi della parte richiesto dalla norma incriminatrice, rappresentato dalla commissione del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000”.

 

Né vale ad escludere la commissione del reato:

 “il sostanziale consenso che il cliente ha dato al suo avvocato, sottoscrivendo la dichiarazione secondo le indicazioni di quest’ultimo”, posto che “il consenso deve ritenersi privo di rilevanza e inidoneo ad escludere il reato di cui all’art. 380 c.p., in quanto il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l’incarico ricevuto, ma il dovere professionale”.

 

L’istigazione 

Configura il presupposto del “nocumento agli interessi della parte” assistita dal professionista forense richiesto dalla norma incriminatrice.

In altre parole, il cliente è parte lesa della consulenza non rispettosa del principio di correttezza, in quanto tale potrebbe anche costituirsi parte civile nei confronti del professionista o agire separatamente per chiedere il risarcimento del danno.

La responsabilità risulta, quindi, una responsabilità nei confronti del cliente e quando vi sono gli estremi anche di rilevanza penale.

 

Dovere professionale

E’ il parametro di riferimento per individuare l’eventuale responsabilità dell’avvocato per il reato di cui all’art. 380 c.p.

 

In conclusione, il ricorso è stato respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese. 

 

Altri casi di responsabilità dell’avvocato

Fin qui, dunque, la sentenza in commento.

Ma in quali altri casi la giurisprudenza della Suprema Corte ha ravvisato la responsabilità dell’avvocato? Ecco alcuni esempi.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza numero 34375/2010, ha sostenuto che per aversi infedele patrocinio non è necessario che sia ancora aperto il giudizio, giacché la norma incriminatrice non richiede che la condotta illecita si concretizzi attraverso atti o comportamenti processuali.

Nel caso di specie il legale si era difeso, sostenendo che in assenza della pendenza del giudizio, non potesse configurarsi alcuna ipotesi di patrocinio infedele a suo carico.

Tesi che, però, non ha convinto il Giudice di vertice, secondo il quale:

  • la condotta punita dall’art. 380 c.p. non si concretizza solamente nel caso in cui vengano posti in essere atti o comportamenti processuali, perché ciò non è richiesto dalla norma incriminatrice, la quale si riferisce unicamente al fatto del patrocinatore che si rende infedele ai propri doveri professionali; ci si riferisce, quindi, a una condotta che si può estrinsecare, eventualmente, anche al di fuori del processo.

Rimanendo in tema di patrocinio infedele, la Cassazione, con sentenza numero 42913/2010, ha pure chiarito che:

• “il delitto di cui all’art. 380/1 c.p. (patrocinio infedele) è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali, stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest’ultimo, inteso non necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale, che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale (Cass. Sez. VI, 19/12/95-13/3/96 n. 2698 Rv. 204509; 9/11-18/12/06 n. 41370 Rv. 235548; 28/3-29/7/08 n. 31678 Rv. 240645)”.

 

Sul piano soggettivo, poi, non assume rilievo la volontà specifica di nuocere alla parte (Cass. Sez. VI, 2/3-2/4/1992 n. 3785 Rv. 189794).

Con sentenza numero 17506/2010, sempre la Cassazione (questa volta civile) ha riconosciuto la responsabilità dell’avvocato che con la propria scelta processuale:

  • ha impedito al cliente un rapido soddisfacimento del proprio credito, incorrendo nella responsabilità professionale, con conseguente obbligo di risarcimento del danno.

La responsabilità del professionista forense è stata altresì ravvisata nel caso di informazioni non corrette fornite al cliente (Cass. civ. numero 8016/2009.), ovvero di omesso compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del proprio assistito (Cass. civ. numero 24764/2007).

Infine, con sentenza numero 8312/2011, la Cassazione ha confermato la responsabilità dell’avvocato, per avere chiesto la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, senza prima avere dato corso alle prove sulle modalità del sinistro stradale oggetto di contenzioso, nonché sull’entità dei danni…continua nel PDF scaricabile ⇓

 

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