Comportamenti antieconomici: l'onere della prova grava sul contribuente

in caso di accertamento basato su comportamenti anomali del contribuente, che descrivono una gestione aziendale palesemente antieconomica, l’onere di provare la realtà di tali comportamenti grava sul contribuente stesso

Con l’ordinanza n. 18244 del 25 ottobre 2012, la Corte di Cassazione ha ancora una volta legittimato l’accertamento analitico induttivo, ex art. 39, c. 1, lett. d, D.P.R. n.600/1973, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ma inattendibile complessivamente, per contrasto con i canoni della ragionevolezza.

In questa ipotesi, l’accertamento “è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (cfr Cassazione, sentenze 951/2009 e 24532/2007).

 

Breve nota

La Suprema Corte di Cassazione, di recente, con sentenza n. 15250 del 12 settembre 2012 (ud. 12 luglio 2012) aveva già affermato che In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi, degli oneri di ogni altra componente negativa del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe al contribuente”. Prosegue la sentenza rilevando che “poichè nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei costi medesimi (Cass. 16115/07, 4554/10)”. Di conseguenza è pienamente legittimo “l’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, pur in presenza di una contabilità tenuta dal contribuente in modo formalmente regolare, qualora la contabilità medesima possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità della gestione di impresa. In tali casi è, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. 6337/02, 1711/07)”. In particolare – nel caso di specie – la Corte ha ritenuto “legittimo il recupero a tassazione di maggiori ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di parte delle merci acquistate nell’anno in considerazione, in difetto di elementi di prova adeguati, il cui onere cede – come detto – a carico del contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze di magazzino”. L’accertamento induttivo effettuato dall’amministrazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, è dovuto al riscontro, operato in sede di verifica della documentazione contabile fornita dal contribuente, “dell’esistenza di un magazzino assai rilevante ed in continuo aumento, con conseguente formazione di giacenze di merci per importi molto elevati, notevolmente superiori all’ammontare degli stessi ricavi dichiarati. Tali ricavi, peraltro, erano a loro volta molto inferiori ai costi di acquisto della merce, risultandone un’evidente, macroscopica, antieconomicità della gestione aziendale facente capo al contribuente. Il che, per le ragioni suesposte, ha determinato la piena legittimità dell’accertamento induttivo operato da parte dell’Ufficio finanziario”.

La sentenza che si annota è sostanzialmente conforme alla recente ordinanza della Corte di Cassazione – n.14798 depositata il 4 settembre 2012 – ma nel caso specifico conferma l’ulteriore principio secondo cui acclarata la legittimità degli accertamenti fondati sull’antieconomicità spetta al contribuente confutare l’assunto accertativo.

Ricordiamo che con sentenza n. 16642 del 29 luglio 2011 (ud. del 9 marzo 2011) la Corte di Cassazione aveva già ritenuto che il comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività dell’impresa legittima l’Amministrazione finanziaria all’accertamento analitico induttivo – anche attraverso gli elementi desunti dalle percentuali di ricarico – incombendo al giudice di merito – che disattende i rilievi dell’ufficio impositore – motivare adeguatamente in ordine all’assenza di violazioni di norme tributarie.

 

28 novembre 2012

Roberta De Marchi