Il destino del credito IVA se non viene presentata la dichiarazione in cui matura

La posizione del Fisco nei confronti dei crediti IVA maturati dal contribuente, ma per cui non era presentata la dichiarazione dei redditi. A cura di Maria Leo.

Crediti IVA maturati dal contribuente, ma per cui non era presentata la dichiarazione

recupero creditiLa circolare dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Affari legali e Contenzioso Settore strategie difensive-, del 6 agosto 2012 n. 34/E, rischia di stravolgere del tutto il percorso di numerosi contenziosi instaurati avverso cartelle di pagamento emesse a seguito del mancato riconoscimento di un credito Iva nel caso di omessa dichiarazione.

Difatti, quello che sembrava un giudizio a lieto fine alla luce della costante giurisprudenza di merito nonché alla luce della circolare della stessa A.E. n. 74/2007 subisce ora, a causa della citata circolare 34/E, una sferzata negativa.

 

 

Il fatto

I contenziosi in questione si sono instaurati a seguito della notifica di numerose cartelle di pagamento, emesse a seguito di controllo automatizzato ex articolo 54-bis del DPR n. 633/72, per il mancato riconoscimento delle eccedenze di imposta a credito maturate in annualità per le quali in contribuenti hanno omesso le dichiarazioni ai fini IVA, delle imposte dirette o dell’Irap.

Tali contenziosi fondano la loro difesa sul fatto che il diritto di detrazione del credito IVA permane anche nel caso in cui il contribuente abbia omesso la dichiarazione o non allegato il quadro Iva alla dichiarazione presentata.

In effetti l’aspetto sostanziale e, quindi, l’effettività e l’esistenza del credito deve prevalere sul dato formale di mancata indicazione dello stesso credito in dichiarazione o di dichiarazione omessa.

Tutto ciò confortato sia dai registri Iva, sia dalle liquidazioni periodiche, sia dai modelli F24 dai quali emerge con chiarezza la sussistenza del credito, a nulla rilevando l’aspetto formale che per l’anno di maturazione del credito stesso la dichiarazione sia stata omessa.

 

La norma

La legittimazione normativa a tale difesa è riposta nell’art. 19 del D.P.R. n. 603/72, che in maniera chiara sancisce: “il diritto alla detrazione dell’imposta … può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”.

Inoltre, vi è da sottolineare che il fisco dispone del potere di controllare l’esistenza del credito maturato nell’anno in cui la dichiarazione è stata omessa ex art. 55 del D.P.R. n. 633/72. Ma, se tale potere non viene esercitato, non è possibile far venir meno il diritto di detrazione solo perché l’ufficio risulta inerte e non instaura alcuna forma di controllo o di contraddittorio con il contribuente.

 

La giurisprudenza

La giurisprudenza conforme a tale indirizzo era oramai consolidata: Commissione Tributaria Provinciale dell’Emilia Romagna, n. 22 del 3/03/2011; Commissione Tributaria Regionale Roma, n. 284 del 27/09/2011; Commissione Tributaria Regionale Milano, n. 79 del 8/07/2011; Commissione Tributaria Regionale Torino, n. 16 del 21/01/2010; Tributaria Regionale Roma, n. 234 del 13/09/2010; Commissione Tributaria Provinciale Frosinone, n. 222 del 13/12/2010.

Quanto esposto è, altresì, confermato dalla Corte di Giustizia Comunità Europea, con la sentenza n. C-95/07 e n. C-96/07 del 8/05/2008, in cui è espresso un principio che, traslato nella fattispecie esaminata, comporta l’impossibilità di sanzionare la mancata presentazione della dichiarazione con il disconoscimento di un diritto di credito spettante.

 

 

L’AGENZIA DELLE ENTRATE NEL 2007

La stessa Agenzia delle Entrate con Risoluzione n. 74/E del 19/04/2007 conferma che il diritto alla detrazione, in base al combinato disposto dell’art. 8 del D.P.R. n. 322/1998 e dell’art. 19 citato, può essere esercitato fino al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, specificando, altresì, che è sempre fatta salva la possibilità per il contribuente di richiedere la restituzione del credito IVA attraverso la procedura di rimborso di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 546/1992.

 

 

L’AGENZIA DELLE ENTRATE OGGI

(Circolare n. 34/E del 6/8/2012)

Ora tutto il panorama sopra esposto cambia radicalmente in quanto l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 34/E del 6/8/2012, cambia in maniera netta la propria posizione ponendosi in contrasto non solo con la giurisprudenza succitata ma con la sua stessa circolare del 2007.

L’Agenzia partendo dal fatto che i contribuenti sovente ricorrono in giudizio avverso le cartelle di pagamento che recuperano il credito non esposto eccependo la “spettanza sostanziale” dello stesso e sostenendo che l’ufficio sarebbe stato obbligato a controllare l’effettività del predetto attraverso l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 55 del DPR 633/72 nega la validità di tale teoria.

Nega la validità di tale teoria riportando l’art. 30 del DPR n. 633/72 che sancisce: “Se dalla dichiarazione annuale” risulta una eccedenza di Iva detraibile

“il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività”.

 

Sulla base di tale articolo l’Agenzia sostiene, in maniera inequivocabile, che, in caso di omessa dichiarazione annuale, il contribuente non può riportare l’eccedenza di Iva detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo, ma chiedere il rimborso solo nelle ipotesi regolate dall’art. 30 medesimo.

Per cui l’Agenzia ribadisce la legittimità dell’operato degli uffici nell’ambito della procedura di cui all’art. 54-bis del DPR n. 633/72 che è volto anche a “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto di eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazione”, che nei casi di specie risulta omessa.

L’Agenzia conclude, ribadendo, che il credito che non è dichiarato nell’anno in cui si è maturato non è utilizzabile in detrazione del debito di imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia effettivamente maturato.

Punto di forza di tale teoria una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 268 del 12 gennaio 2012 che, secondo l’Agenzia confermerebbe un orientamento ormai consolidato.

Unica garanzia a favore del contribuente per il recupero del credito maturato rimarrebbe la procedura di rimborso di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 546/92.

Quindi, secondo la circolare n. 34, alla pretesa dell’Agenzia conseguente alla liquidazione della dichiarazione nella quale è stato riportato un credito maturato nell’anno in cui la dichiarazione è risultata omessa, potrebbe seguire la richiesta di rimborso del contribuente medesimo.

In conclusione l’Agenzia ribadisce:

  1. la violazione dell’art. 30 del DPR n. 633/72 nel comportamento del contribuente nei casi di specie;

  2. conferma la correttezza delle contestazione e pertanto l’operato ai sensi dell’art. 54-bis del DPR n. 633/72;

  3. il diritto al rimborso del contribuente richiesto ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs.n. 546/92 entro due anni dal pagamento degli esiti della liquidazione ovvero all’esito del contenzioso relativo alla cartella di pagamento conseguente alla liquidazione stessa. In tal caso il rimborso sarà erogato solo dopo aver riscontrato l’effettività del credito.

Tali conclusioni superano, pertanto, quelli riscontrate nella circolare n. 74 del 2007.

 

 

L’invito dell’Agenzia delle Entrate agli uffici periferici nella fase del contenzioso

L’Agenzia invita, pertanto, gli uffici del contenzioso a coltivare tali processi, li invita ad evidenziare al giudice la piena legittimità della procedura operata ai sensi degli artt. 30 e 5-bis del DPR n. 633/72 e, in subordine e in via prudenziale, di valutare la sussistenza di elementi per contestare l’esistenza stessa del credito illegittimamente compensato ed eccepire in giudizio anche tale inesistenza, così da precludere un’eventuale pronuncia circa la spettanza del diritto al rimborso.

 

 

Aspetti critici

È ovvio che non si può assolutamente convenire con quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate in questa ultima circolare del 3 agosto.

Tanto alla luce di diversi motivi che brevemente si cercherà di esporre.

In primo luogo la circolare basa il proprio convincimento su una sentenza della Cassazione pronunciata il 23/11/2011 e depositata il 12/1/2012, la n. 268.

Orbene, tale sentenza supporta la propria motivazione facendo riferimento ad altre sentenze che riguardano casi non analoghi a quello trattato e che fanno riferimento a degli articoli (ci si riferisce, in particolare agli articoli n. 27, quinto comma e 28, quarto comma del DPR n. 633/72) che hanno subito delle modifiche per adeguarsi alla normativa comunitaria.

Infatti non bisogna dimenticare quanto statuito a livello comunitario sul diritto alla detrazione che non può e non deve subire limitazioni. Eventuali limitazioni possono essere consentite solo nei limiti della Dir. 2006/112/CE nell’ambito della quale vengono sanciti i presupposti per l’esercizio alla detrazione.

In particolare:

  • l’art. 27, comma quinto del DPR n. 633/72 (abrogato dall’art. 4, comma 1 lett. b) n. 2 del D.lgs. 2/9/1997 n. 313, prevedeva: “le detrazioni non computate per il mese di competenza non possono essere computate per i mesi successivi, ma soltanto in sede di dichiarazione annuale”;

  • l’art. 28, comma quarto del citato decreto (articolo abrogato dall’art. 9, c. 9, D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) prevedeva: “il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza né in sede di dichiarazione annuale”.Ora la disciplina applicabile è quella prevista dall’articolo 8, comma 3 del DPR n. 322/98 che prevede: “le detrazioni sono esercitate entro il termine stabilito dall’art. 19, comma 1, secondo periodo del decreto del Presidente della Repubblica 26/10/1972 n. 633”.

Si rammenta che l’art. 19, comma 1, secondo periodo, prevede:

“il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai bene e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”.

Basta una semplice lettura agli articoli succitati per capire che nessuna ragione attualmente supporta le ragioni del fisco a non riconoscere un’eccedenza di imposta che non viene riportata nella dichiarazione di competenza ma viene riportata in quella successiva.

 
 
CASSAZIONE N. 12041 DEL 25/05/2009

In tale sentenza il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava innanzitutto la richiesta di rimborso di un credito Iva, da parte di una società, negato dall’Amministrazione Finanziaria e che non era stato esposto oltre che nella dichiarazione annuale anche nelle liquidazioni periodiche Iva.

Inoltre, il rimborso Iva veniva chiesto in relazione ad acquisti di natura immobiliare effettuati dal 1979 al 1982, per cui riguardavano annualità di imposta per le quali non erano ancora intervenute le modifiche sulla detraibilità dell’Iva.

Importante, invece, per la Cassazione (cfr sentenza 268) sarebbe stato prendere un altro principio espresso nella stessa sentenza ossia quello secondo il quale (si noti: sempre a proposito della mancata indicazione del credito in dichiarazione):

“la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria (Cass. nn. 4755/2008, 1708/2007, 8362/2002), mentre i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente debbono essere improntati a collaborazione e buona fede (principio ora consacrato nella L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10); sia a principi del diritto comunitario”

 
 
CASSAZIONE N. 16257/2007.

Anche in questo caso le annualità trattate sono precedenti (si parla di dichiarazioni per l’annualità 1993)

 
 
CASSAZIONE N. 17067/2006.

Questa sentenza stabilisce:

“ il mancato computo dell’imposta nelle dichiarazioni periodiche e nella dichiarazione annuale comporta la perdita del diritto alla detrazione, ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – che prevede l’unica decadenza in tal senso – ma non la perdita del diritto al rimborso, comunque dovuto in assenza di una norma sanzionatoria al riguardo”.

Quindi fa riferimento al citato articolo 28 del DPR Iva (ora abrogato) per il quale

“il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza né in sede di dichiarazione annuale”.

Fa comunque salvo il diritto al rimborso del contribuente.

 

 

Spunti di difesa del contribuente

Sarebbe opportuno, in un’eventuale contenzioso, sottolineare al giudice questi aspetti di criticità al fine di ottenere una sentenza di accoglimento.

Sottolineare inoltre il forte contrasto tra le posizioni prese dall’Agenzia delle Entrate nelle due circolari. Peraltro, il cambio di posizione dell’A.E., espresso nell’ultima circolare, sarebbe dettato solo dal riferimento a quella sentenza della Cassazione superabilissima sia con le considerazioni sopra esposte, sia con le considerazioni effettuate dalla stessa A.E nella circolare n. 74 del 2007.

Inoltre, sempre, secondo i principi stabiliti dallo Statuto del Contribuente di legittimo affidamento nella Pubblica Amministrazione e di cooperazione fra le parti, sarebbe stato, invece, opportuno, da parte dell’Amministrazione Finanziaria salvaguardare il rapporto con il contribuente e riconoscere il legittimo diritto alla detrazione senza costringerlo ad avanzare, dopo aver effettuato il pagamento, un’istanza di rimborso.

Ancor più raccapricciante appare la frase riportata a pag. 9 della circolare 34 laddove dice:

“Appare, infine, opportuno sottolineare che, anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia diritto al rimborso del credito erroneamente utilizzato in detrazione, la prosecuzione del giudizio e i connessi oneri a carico dell’Amministrazione sarebbero giustificati dalla necessità di conseguire le sanzioni pecuniarie relative al comportamento non corretto del contribuente ai sensi del citato articolo 13 del D.Lgs. n. n. 471 del 1997”.

 

Dimenticando così che il giudice, anche nel caso di conferma della pretesa erariale, potrebbe decidere di disapplicare le sanzioni irrogate per obiettiva condizione di incertezza.

Ancora più ingiusta appare la recente circolare se si fa riferimento al fatto che a pagina 10 viene chiarito che in caso di richiesta di rimborso da parte del contribuente non possono essere riconosciuti interessi!

Se il giudice non dovesse condividere queste ragioni bisogna ricordare che la Cassazione, in una recente sentenza (Cassazione civile, n. 5318 del 3/04/2012), per un caso identico a quello di specie, ha comunque annullato la cartella di pagamento per violazione dell’art. 36 bis D.P.R. n. 600 del 1973, e/o dell’ art. 54 bis D.P.R. n. 633 del 1972, in quanto tali norme non consentono il disconoscimento di un credito o di una perdita, attività che presuppone un accertamento sostanziale, che l’A.f. ha sempre facoltà/dovere di porre in essere.

 

 

31 ottobre 2012

Maria Leo