Se manca l'inventario è legittimo l'induttivo

uno dei casi in cui l’inadempienza del contribuente permette al Fisco di usare le armi dell’induttività per ricostruire il reddito

Con sentenza n. 5870 del 13 aprile 2012 (ud. 15 marzo 2012) la Corte di Cassazione ha riaffrontato la questione relativa all’assenza di inventario.

In particolare, i giudici rilevano, in conformità del resto a giurisprudenza più che consolidata (cfr. da ultimo Cass. 23950/11), che “in materia di determinazione del reddito d’impresa, atteso il principio di continuità dei valori contabili, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d’esercizio (C. 11748/08), è legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, qualora il contribuente non ottemperi all’onere della specificazione delle rimanenze distinte per categorie omogenee di beni (C. 9946/03)”.

Prosegue la sentenza affermando che “la presenza d’irregolarità contabili tali da rendere inattendibili le scritture aziendali legittima di per sè sola l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita, potendo l’amministrazione utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture e anche dati da queste emergenti (nella misura in cui risultino singolarmente affidabili), così come può servirsi, nel corso del medesimo accertamento, del metodo analitico, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (C. 27068/06)”.

La ricostruzione presuntiva dei maggiori ricavi può, dunque, avvenire al di fuori di parametri redditometrici, ricorrendo a indici rivelatori tipici dell’attività di ristorazione quali, ad esempio: il consumo di tovaglioli (C. 15808/06), la quantità normale di materie prime necessarie per la preparazione dei pasti (C. 25001/06), il consumo di acqua minerale (C. 17408/10)…

Nel caso di specie “la metodologia adottata dall’Ufficio accertatore (che, attraverso le fatture d’acquisto, ha suddiviso i prodotti impiegati per tipologia merceologica, ha determinato i maggiori pasti con ricostruzione indiretta, tenuto conto dei quantitativi di prodotti utilizzati nelle produzione dei vari piatti così come indicati dalla contribuente e delle percentuali di “sfrido” di cui alla circ. 117/98, e ha, infine, applicato i prezzi medi dei listini esibiti dalla stessa contribuente), è priva di vizi logici e giuridici e appare, peraltro, censurata in difetto di autosufficienza, mancando la trascrizione in ricorso dei passi ritenuti salienti (C. 12786/06 e 13007/07)”.

 

Brevi Note

L’ufficio, ai sensi dell’art. 39, c. 2, del D.P.R. n.600/73, può determinare il reddito d’impresa e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, in deroga alle disposizioni previste dal comma 1, del citato art. 39, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in suo possesso, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili, e con facoltà di avvalersi di presunzioni semplici anche se non gravi, precise e concordanti, nelle seguenti ipotesi:

  • se il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;

  • se dal verbale d’ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o a ha sottratto all’ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;

  • se le irregolarità formali, le omissioni, falsità e inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d’ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture stesse nel loro complesso.

 

L’ufficio, inoltre, può ricorrere all’accertamento induttivo anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 u.c. del D.P.R. n. 600/1973, aggiunto dall’art. 25 L 18.2.1999 n. 28).

L’attività di controllo, unita ad una analisi sulle caratteristiche dell’attività svolta e sulle risultanze complessive delle scritture contabili, può permettere di evidenziare che la parte – in contabilità ordinaria – abbia indicato il valore delle rimanenze finali in maniera sintetica, quando invece nel libro inventari deve essere indicata la consistenza dei beni in categorie omogenee, per natura e valore, ed il valore attribuito a ciascun gruppo, ex art. 15, c. 2, del D.P.R.n.600/19731 (né sono state messe a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario). Oppure non ha tenuto il libro inventari.

In assenza di libro inventari o in presenza di un libro inventari non correttamente tenuto viene riconosciuto all’ufficio il potere di procedere induttivamente, nella considerazione che le rimanenze per l’azienda in esame costituiscono un numero incerto, il cui aumento o diminuzione, diminuisce o aumenta il reddito, facendo venire meno proprio una della caratteristiche proprie della contabilità, sia ordinaria che semplificata.

Ricordiamo che, ancora di recente, con sentenza n. 6623 del 23 marzo 2011 (ud. del 24 febbraio 2011), la Corte di Cassazione aveva autorizzato l’Amministrazione finanziaria a determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza quando risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili. Infatti, “la mancata tenuta del libro degli inventari – prescritta dal succitato art. 14 – legittima l’amministrazione erariale alla ricostruzione dell’imponibile in via induttiva anche sulla base di presunzioni semplici e con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ai sensi dell’art. 3”.

 

22 maggio 2012

Roberta De Marchi

1 Per i soggetti in contabilità semplificata l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse discende dall’art.18 del D.P.R. n.600/73 e dall’art.9, del D.L. n. 69/89, conv. in Legge 27.04.89, n.154.