Nuovo assetto normativo per l'abuso del diritto

Il decreto di delega fiscale prevede che il Governo, con un decreto legislativo, riformi le disposizioni legislative antielusive: ecco le prospettive sull’evoluzione normativa.

La bozza dello schema del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale prevede, finalmente, la tanto attesa riforma delle disposizioni in materia di abuso di diritto.

Si era ormai venuta a creare, infatti, una situazione quantomeno “peculiare”, per cui, sotto il profilo normativo, vige la clausola generale antielusiva, la quale ha una sua specifica codificazione nell’ambito dell’articolo 37-bis del DPR 600/1973, che vincola la sua operatività a precise fattispecie elencate dalla norma stessa; sotto il profilo giurisprudenziale, però, la Cassazione, dapprima ha sostanzialmente mutuato dai principi fissati dalla Corte UE (sentenza C-255/02, causa Halifax) l’esistenza di un principio generale antielusivo in materia di IVA (Cass. 10353/2006 e 21221/2006), che eccede i limiti normativi fissati dall’anzidetto articolo 37-bis, e poi è giunta a stabilire che tale principio generale antielusivo trova applicazione anche nell’ambito delle altre imposte non armonizzate, giacché il suo fondamento risiede direttamente nei principi costituzionali di capacità contributiva e progressività dell’imposizione di cui all’articolo 53 della Costituzione (Cass. SS.UU. nn. 30055, 30056 e 30057 del 2008; Cass. 25726/2009, 21692/2010 e 21693/2010, 10257/08, 25374/08).

Per porre rimedio a questo disallineamento tra normativa e giurisprudenza, la Camera dei Deputati aveva esaminato tre proposte di legge (tra cui quella dell’on. Leo) di riforma delle disposizioni in oggetto, nel marzo dell’anno scorso, ascoltando anche le audizioni di professionisti ed imprese. Poi, però, non si era giunti ad alcun provvedimento.

L’articolo 6 della bozza di decreto in oggetto conferisce al governo la delega ad adottare decreti legislativi, con cui, tra l’altro riformare le vigenti disposizioni antielusive al fine di introdurre il principio generale di divieto dell’abuso di diritto, esteso ai tributi non armonizzati, sulla base di specifici principi e criteri elencati nello stesso articolo 6. A ben vedere, si tratta delle stesse argomentazioni addotte dalla giurisprudenza di legittimità nel delineare il principio generale antielusivo che i Supremi Giudici hanno ritenuto immanente anche nell’ordinamento tributario italiano. Tanto che, in alcun punti, i criteri direttivi contenuti nella delega sembrano quasi ricalcare una delle più recenti pronunce della Cassazione, la numero 16428 del 27 luglio 2011.

Il punto di partenza rimane l’inopponibilità al Fisco delle operazioni considerate elusive, con conseguente disconoscimento da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei risparmi fiscali indebitamente conseguiti. Tale previsione, già recata dall’articolo 37-bis, rimane confermata, però, il decreto legislativo da emanare deve definire, secondo quanto stabilito dalla lettera a) del succitato articolo 6, la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, anche se tale condotta non è in contrasto con alcuna specifica disposizione.

Inoltre, il decreto da emanare deve prevedere che venga garantita la libertà di scelta del contribuente, anche tra opzioni che comportano carichi fiscali diversi, a condizione che la scelta operata non sia motivata dalla “causa prevalente” del risparmio d’imposta; in ogni caso non può configurarsi l’abuso di diritto allorquando, in relazione all’operazione, si configurino altre ragioni extra fiscali non marginali, che non debbono essere necessariamente quelle del conseguimento di un’immediata redditività, ma che possono anche rispondere ad esigenze di natura organizzativa o di miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa.

Sul fronte dell’onere della prova, viene sostanzialmente stabilito quanto già affermato dalla sopra richiamata giurisprudenza, ovvero che spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare il disegno abusivo, che, peraltro, deve ora essere puntualmente indicato, a pena di nullità, nell’avviso di accertamento, ed anche “le modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati nonché la loro non conformità ad una normale logica di mercato”, mentre rimane onere del contribuente provare l’esistenza delle valide ragioni economiche che lo hanno indotto a porre in essere l’operazione.

Un’altra direttiva dell’articolo 6 prevede, poi, che il decreto debba stabilire specifiche regole procedimentali per l’attuazione di un efficace contraddittorio e per la tutela del contribuente in ogni fase dell’accertamento e del contenzioso (anche se la formulazione testuale non dispone la pena di nullità, che era, invece, caratterizzante la proposta di legge dell’on. Leo).

Sotto il profilo sanzionatorio, infine, viene previsto che le sanzioni e gli interessi, in caso di contestazione di abuso di diritto, siano riscuotibili soltanto dopo la sentenza di primo grado, mentre, per quanto concerne l’ambito penale, ne è esclusa la rilevanza per i comportamenti abusivi (ad oggi, invece, superate le soglie di punibilità, “scatta” la denuncia penale).

Le premesse, quindi, per una buona riforma dell’istituto sembrano esserci tutte, tesa, come parrebbe, ad un sostanziale equilibrio tra libertà di scelta economica dei contribuenti e tutela dei principi costituzionali di capacità contributiva e di riscossione delle imposte, ma occorrerà attendere i decreti attuativi per una conferma in tal senso.

 

11 maggio 2012

Alessandro Borgoglio